11.2 Passato

151 18 137
                                    

Calò il silenzio, e Chiara aprì gli occhi. Non si trovava più a casa di sua nonna, ma in una cantina dall’odore di muffa, il pavimento di legno fradicio e le pareti macchiate. I suoi compagni erano accanto a lei, tutti tranne Gennaro, che si era afflosciato su un materasso buttato a terra in preda a una delle sue visioni. Lorenzo e Edoardo erano già chini su di lui, mentre Cassandra era concentrata su una figura lontano da loro, alla fine di una serie di scalette in legno che portavano in alto, verso un posto da cui entrava tutta la luce nella stanza.

«Benvenuti, amici!» esclamò una voce, alla fine delle scale. «Eccovi qui! Vi aspettavo.»

La sagoma in controluce iniziò a scendere verso di loro a passo svelto. Chiara gettò una rapida occhiata a Gennaro, ancora privo di conoscenza, poi tornò con gli occhi sull’uomo misterioso che li aveva accolti.

Quando si avvicinò, Chiara poté distinguerne i tratti in quella penombra. Era basso, poco più basso di lei. Aveva i capelli neri lunghi sino appena sopra le spalle e vestiva in modo un po’ buffo, con una sopraveste verde ricamata in bronzo, una camicia bianca e delle calzebrache verdi che gli fasciavano le gambe magre. Sorrideva, il volto cosparso delle stesse lentiggini di Gennaro. Chiara gli attribuì circa trent’anni, a giudicare dal volto.

«Non temete, il vostro compagno si riprenderà presto… tra circa otto minuti. Sta solo recuperando il futuro che prima era passato, e dunque non conosceva.»

«Chi sei tu? E come fai a sapere tra quanto si riprenderà?» chiese Edoardo, accovacciato accanto a un Gennaro esanime.

«È la Sibilla di questo tempo, idiota» rispose Cassandra, gelida.

«La signorina ha ragione!» esclamò l’uomo, in tono gioviale. «Il mio nome è Umberto Lucignano, e sono la Sibilla della mia generazione. Sapevo che sareste arrivati, ho preparato per voi dei vestiti e tutto quello che vi occorre. Sapevo da tempo che sareste venuti da me.»

«Perché ci sta mettendo tanto?» chiese Lorenzo, che sembrava interessato solo a una parte di tutte quelle informazioni. «Le sue visioni non ci mettono mai così tanto.»

«Ha solo molto da recuperare. In qualche minuto sarà come nuovo. Sapevo già che avrebbe avuto bisogno di tempo, per questo ho disposto il materasso nel punto in cui sarebbe svenuto. Tranquillo, è tutto sotto controllo. Ora venite su, avanti, vi mostro la casa. Lui ci raggiungerà a breve.»

Edoardo si accigliò. «Dovremmo lasciarlo solo in questa cantina mentre è privo di sensi? Non se ne parla.»

«Nessuno lo disturberà» liquidò Umberto, picchiettandosi la tempia con un dito. «Se accadesse lo saprei. Ve l’ho detto, starà benissimo. Non dovete preoccuparvi. Quando si sveglierà sarà come nuovo… solo un po’ irritato. Tutto qui. Vi assicuro che niente può fargli alcun male qua sotto.»

Detto questo, si voltò e iniziò a salire le scale verso la luce che splendeva in cima. Cassandra lo seguì senza esitare, e Chiara si infilò di lei. Dopo qualche istante, sentì i passi dei due ragazzi rimasti che le seguivano.

Non appena furono sopra la rampa di scale, Chiara spalancò gli occhi dalla meraviglia. La stanza in cui si trovavano era inondata di luce, che entrava da grandi finestre senza vetri, dotate di sbarre di ferro per impedire intrusioni esterne. Erano a livello strada, e il pavimento era coperto da un tappeto ricamato di fino col motivo di un pavone; erano presenti tre grandi divani in legno laccato in oro e stoffa imbottita; dal soffitto pendeva un ricco lampadario con delle candele spente; le pareti affrescate di rosa pesca erano decorate con motivi dorati di piante rampicanti.

Cassandra fischiò, impressionata.

«Bello, vero? Quando sono venuto su dal Regno di Napoli, l’anno scorso, il Gran Consiglio mi ha comprato questo posticino niente male. E dovreste vedere quanto mi pagano per i miei servizi! Ho fatto un vero affare.»

L'Ultima StregaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora