Numeri Nascosti e Interviste Improvvisate Male

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I tre giorni che seguirono quel fatidico evento furono l'inferno sceso a Roma. L'officina era stata talmente piena di clienti da costringerlo bloccato lì, senza possibilità di fuga nemmeno nello spacco in pausa pranzo. Mangiava un panino al volo e ricominciava a lavorare, senza sosta. Le giornate gli scivolano sulla pelle e a lui nemmeno sembrava di averle vissute realmente, fermo com'era in quel limbo di non-vita.

Tornava a casa la sera, stremato, senza la possibilità (volontà) fisica di rassettare: cucinava, si lavava, moriva nel letto e poi ricominciava. Un loop infinito scandito dalle passeggiate notturne di Luna-piedi-di-piombo per l'appartamento, che puntualmente gli impedivano di fare un sol sonno tirato.

In libreria non c'era proprio stato, né tantomeno aveva sentito Monica per informarsi circa l'andamento settimanale, come invece era solito fare. Tanto cosa poteva essere cambiato?

Quel venerdì Matteo l'aveva anche lasciato da solo, a vedersela con i clienti scazzati che per un motivo o per l'altro avevano preteso che facesse il lavoro di una settimana intera in un paio d'ore, perché: andiamo amico, c'avemo er week-end davanti.

Come se il suo, di week-end, valesse meno.

Doveva accompagnare Chicca dalla ginecologa, il collega e amico, per il tracciato settimanale: solitamente se ne occupava Luna che aveva modo di gestire autonomamente il proprio lavoro, ma a quel giro "proprio non mi riesco a liberare, ho una scadenza e mi stanno con il fiato sul collo!"

Dunque a Matteo toccava fare il papà e lui era stato fregato, sotto tutti i fronti.

Quando quella sera rientrò non ebbe nemmeno il coraggio di togliersi le scarpe. Le piante dei piedi gli bruciavano da morire, ma abbassarsi per poter dare loro sollievo dalla costrizione dei lacci stretti gli pareva tanto alto tradimento nei confronti di una schiena a pezzi. Si trascinò fino al divano e cadde tra i cuscini, socchiudendo gli occhi e beandosi per alcuni istanti del silenzio di una casa vuota. Il suo attimo di pace durò poco, il cellulare prese a squillare, costringendolo a controllare lo schermo.

Chicca.

Non si preoccupò di rispondere, Matteo gli aveva mandato un messaggio poco prima per avvisarlo del fatto che bimba e mamma stessero bene. E lui non aveva proprio voglia di sentire l'ennesimo rimprovero da parte della sua migliore amica, circa lo stile di vita che stava conducendo.

Impostò il silenzioso e chiuse nuovamente gli occhi.

Solo per pochi istanti, si ripromise, ma questi evidentemente durarono di più perché, quando li riaprì la stanza era immersa nel buio e Luna era seduta a gambe incrociate sulla poltrona alla sua destra, intenta a smanettare davanti al portatile che emanava una luce tanto fioca da imbronciarle lo sguardo e segnarle le occhiaie. A tutti gli effetti un horror a basso costo. Se avesse avuto la forza, probabilmente avrebbe urlato. Invece si limitò a sobbalzare e a sbattere le palpebre ripetutamente, per mettere a fuoco la vista.

«Che ore sono?» Le domandò, stupendosi per
primo del fatto che avesse la voce così arrochita. Adocchiò il pacco di biscotti vuoto adagiato sul tavolino basso che si frapponeva tra lui e il televisore. Erano suoi quelli e lei li stava mangiando.

Sospirò, ma non disse nulla.

«Le dieci.» Non lo guardò nemmeno, presa com'era da qualsiasi cosa stesse facendo. Manuel si alzò di scatto, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, per poi afferrare il cellulare e controllare di persona che la ragazza non gli stesse mentendo. Occhi spalancati prima rivolti allo schermo, poi a lei.

«Perché non mi hai svegliato?» Le domandò, il tono più accusatorio di quanto realmente volesse. D'altronde la sua coinquilina gli aveva messo un plaid sulle gambe e sfilato le scarpe, probabilmente mossa da un moto di compassione generato dall'averlo trovato in quello stato. Decisamente non meritava di essere aggredita perché a lui piaceva campare male (come diceva Chicca, maledetta Chicca).

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 30, 2023 ⏰

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