13. Skin

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"Dai, andiamo."
Le misi una mano al centro della schiena e la spinsi leggermente avanti.
Non parlava. Non mi guardava. Non ero nemmeno sicuro che respirasse.
Neve si affacciò alla porta osservandoci ma le feci un segno di negazione con la testa.
Non volevo che sapesse, anche se potevo fidarmi di lei.
Ne avrebbe sofferto. Si era incredibilmente legata a quella stronza della detective. Meno sapeva, meglio stava. Alcuni affari restavano solo nostri, era nostro compito fare funzionare le cose.
L'aria era fredda quel giorno, sembrava stesse per nevicare. Mela non usciva all'esterno del locale da quattro giorni ma non alzò nemmeno gli occhi per scrutare il cielo.
Aprii la portiera della macchina e la aiutai ad entrare.
Non aveva nulla con sé. Aveva indossato i jeans che le avevano comprato le altre e aveva una giacca pesante ma non si era portata altro.
Chiaramente, passaporto e telefono le erano stati ritirati e gli avevamo dato fuoco giorni fa dopo aver estrapolato ogni dato utile.
Mi sedetti da parte a lei e mi preparai a svolgere quel viaggio verso un destino non programmato. Non era il primo.
Quanti nemici avevamo dovuto posizionare o, nel peggiore dei casi, fare sparire, nel corso degli anni.
Solitamente li drogavamo.
Non volevamo che facessero il viaggio in macchina consapevoli di ciò che li aspettava, con le loro suppliche che ci grattavano le orecchie e ci ricordava cosa facevamo per vivere.

Avevo fatto la scelta giusta dieci anni prima quando ero entrato in quel mondo? Me lo chiedevo così spesso.

Se erano assopiti, non si rendevano conto di nulla e non sentivano dolore.
Ma per lei era diverso.
Innanzitutto non sarebbe morta, non era questo che la vita aveva in serbo per lei, secondariamente non mi sembrava giusto dopo tutte le costrizioni che le avevamo imposto, obbligarla ad assumere sostanze che non avrebbe mai preso di sua spontanea volontà.
Sarebbe stata bene. Felice non potevo saperlo ma chi lo era realmente? Lo era lei prima di incontrarmi? Ero sicuro di no. Viveva in un mondo fatto di carta, con mille illusioni e mille promesse pronte a cedere al primo colpo di vento.
Le passai la cintura quando mi resi conto che non si muoveva.
La prese dopo qualche secondo come se i suoi riflessi fossero addormentati.

Il posto era bello. Carlos era una brava persona. Faceva ridere dirlo ma non era uno che faceva del male senza giustificazioni. Anche tra di noi c'erano dei principi e un senso etico.
Non aveva acconsentito subito. D'altronde, non avevamo voluto svelare la sua vera identità ma sapevo che non avrebbe indagato.
Gli avevo salvato il culo anni addietro e ne era immensamente grato.
Me lo doveva.
Sarebbe stata in una fattoria, in mezzo al nulla ma protetta. C'erano tanti animali, poteva anche lavorare magari.
Mi sembrava proprio il posto adatto a lei.
Me la immaginavo con i sandali che passeggiava nei campi e raccoglieva pannocchie.
Stavo facendo la scelta giusta.

Però lei stava in silenzio, gli occhi gonfi dal pianto, il petto che si muoveva in maniera irregolare e la morte negli occhi.
Aveva paura. Non lo avrebbe mai ammesso ma era terrorizzata.
Perché sei venuta da me? Che cosa ti ha fatto credere che avrebbe funzionato?
Forse stava scappando. Scappava dalla sua vita e da tutti quegli uomini che comunque, anche prima avevano sempre scelto per lei.
Questo non lo sapeva ma nulla nella sua vita rispecchiava la realtà che credeva.
Non sarei stato io a raccontargli tutto. Non le avrei sgretolato le sue certezze.
"Stai bene?"
Le chiese Billo voltandosi di scatto.
"A sapere che c'era un modo di zittirla ce la tenevamo." Continuò con il suo solito ghigno stampato in faccia.
Sam lo rimproverò.
Faceva il coglione per sdrammatizzare, per mettere a posto i suoi sensi di colpa ma non era questo il momento.
Una macchina della polizia ci passò accanto e per un attimo temetti che Mela potesse dare di matto.
I vetri erano oscurati, sarebbe stato inutile ma non volevo vederla torturarsi.
Invece, non mosse nemmeno un singolo muscolo e continuò a rimanere ferma.
Le sfiorai il braccio.
Voltò piano lo sguardo sulla mia mano e poi riprese a guardare la strada.
Mi dispiace, avrei voluto dirle. Le parole morirono nella mia gola.
Che merda.
Se ci fossimo incontrati in altre circostanze, forse l'avrei pure invitata fuori a cena.
Ma in quel gioco, io ero il topo e lei il gatto. O vinceva lei, o vincevo io.
La sentii sospirare.
Ribellati, fai qualcosa, fammi vedere che sei tu.
Non era una che si faceva scivolare addosso le decisioni degli altri ma combatteva fino all'ultimo istante.
Erano anni ormai che la seguivo. Le ero sempre dietro, sapevo ogni singola sua scoperta che faceva su di me.
Se non mi avessero incastrato ora non saremmo stati in quella macchina.
L'avevo anche sottovalutata. Aveva fatto dei collegamenti degni di nota per arrivare al club.
Sapevo che erano stati anni duri. Le avevano tolto i casi più importanti, i giornali c'erano andati giù pesanti con lei eppure, continuava a lavorare fregandosene del parere dei colleghi che la incolpavano per il caso andato male.
Le era arrivato il mio caso tra le mani per pura disgrazia. I poliziotti erano corrotti, i giudici erano corrotti.
Se uno di noi finiva in galera era solo perché qualcuno di più potente ci rubava la scena e faceva in modo di farci sparire.
Volevano tenerla buona, darle un caso senza soluzione per silenziarla. Non si aspettavano che sarebbe riuscita a risolvere qualcosa.
Invece lei aveva fatto di meglio; era arrivata a me, da sola, dando prova al mondo del suo fottuto coraggio.
Eppure ora era così spaventata, indifesa e triste.
Non combatteva più e questo mi straziava.
Io le avevo fatto questo.
Mi schiarii la voce quando vidi l'aeroporto in lontananza.
"Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, Carlos ti aiuterà e se non dovesse bastare, noi ci preoccuperemo sempre di saperti viva."
La rassicurai nonostante gli sguardi increduli dei miei amici.
Le slacciai la cintura appena posteggiamo sulla pista di decollo.
Feci il giro della macchina per aprirle la portiera che era altrimenti bloccata.
Sam e Billo si avvicinarono velocemente sicuri che avrebbe tentato la fuga.
"Skin! Amico mio!"
Mi girai di scatto sentendo la voce di Ivan. Gli andai incontro e lo abbracciai forte.
"Grazie per quello che fate." Gli dissi sincero baciandogli la guancia.
"Il pilota è pronto così come lo sono io. In meno di sei ore saremo in Messico. Lei è tranquilla?"
Scossi la testa. Ivan sorrise.
"Non lo sono mai."
"Questa in particolare bello. È un bel lupo da domare, vi divertirete."
Guardai di traverso Billo.
"Non abbiamo mai avuto problemi a domare una donna."
Rispose ridendo Ivan facendomi rabbrividire. Osservai la fila di denti gialli che stava esponendo col suo sorriso e per un attimo, pensai di saltare in macchina e scappare lontano.
"Questa è diversa.." Billo scoppiò a ridere e io gli tirai un pugno.
"Non deve succederle nulla, avete promesso."
Si mise la mano sul cuore ma non mi tranquillizzai.
Sam era già alla portiera e la aiutava a scendere.
Rimasi bloccato quando la vidi tremante.
Si strinse la giacca addosso e il suo sguardo andò prima verso Ivan, poi implorante verso di me.
Il bastardo la guardò contento.
Volevo tirargli un pugno.
Invece la presi sotto braccio e la accompagnai verso l'aereo.
Camminava piano. Forse sperava che cambiassi idea.
I primi fiocchi di neve iniziarono a cadere e lei inciampò nei suoi piedi come un'ubriaca.
"Auguri, buon Natale." Mi disse allora Ivan e io mi resi conto di che giorno era.
La stavo condannando il giorno della vigilia.
A Mela cedette di nuovo una gamba e dovetti sorreggerla per non farla cadere a terra. Sembrava uno zombie.
"Anche a te." Risposi in un sussurro.
Eravamo ormai arrivati alle scale del jet.
"Ora la prendo io." Disse l'uomo afferrandola per un braccio.
Nessuno tocca le mie ragazze.
Risuonò nella mia testa. Ma ero un uomo di merda, quindi misi a tacere quella voce.
"Mi raccomando.."
Lasciai andare la presa e li vidi salire su per le scale.
Mi voltai di scatto e mi incamminai verso la macchina senza aggiungere altro. Dovevo mettere della distanza tra di noi prima di pentirmi di tutto.
"È la scelta giusta!" Urlò Sam correndo per raggiungermi.
"Che cosa abbiamo fatto?" Chiesi alcuni passi dopo.
Non si era nemmeno ribellata.
"Ci siamo messi in salvo?" Mi chiese Billo esponendomi l'ovvio.
Li guardai in faccia entrambi.
Avevamo fatto un giuramento.
Non ci volteremo mai le spalle, usciremo da questa merda ed inizieremo a splendere, non faremo del male a nessuno se non strettamente necessario.
I fanali del jet si accesero rendendoci ciechi e i motori ruggirono nelle nostre orecchie.
Era necessario?
"No amico. Togliti quel cazzo di sguardo dalla faccia!" Sam si parò di fronte a me e posò entrambe le mani sulle mie spalle.
Lo sapeva che era sbagliato.
"Non posso." Sussurrai scuotendo la testa.
"È l'unico modo. Devi pensare a noi."
La scossi di nuovo con forza.
"Respira bello, quando sarà arrivata in Messico tu l'avrai già dimenticata."
Impossibile.
Spalancai la bocca per parlare e mi misi le mani in testa.
Che cazzo mi stava capitando?
Come eravamo finiti in una situazione del genere?
Eravamo dei cazzo di delinquenti. La feccia del mondo. Noi distruggevamo tutto ciò che ci capitava tra le mani, eravamo quello che avevamo sempre odiato.
E ora stavo facendo del male ad una donna, avevo appena ucciso la sua vita nonostante avessi lasciato lei in vita.
Billo si avvicinò a noi e anche lui mise la sua mano sulla spalla, ma non la mia, quella di Sam.
"Fallo andare." Gli disse, serio per la prima volta.
"O il peso sulla sua coscienza lo cambierà per sempre."
Sam allentò la presa sulle mie spalle.
Ci guardò entrambi per qualche istante.
"Vai."
Non me lo feci ripetere due volte. Corsi con tutta la forza che avevo verso il jet che già aveva iniziato a muoversi. Corsi come se la mia esistenza stessa dipendesse da questo.

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