Fish & chips

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«Sveglia, ragazzina.»

Akame sussultò, riemergendo dall'intreccio di braccia poggiate sul banco. Con un tonfo sordo le ginocchia colpirono la superficie sovrastante e una fitta di dolore saettò lungo i fasci muscolari per farle stringere i denti. Attraverso la cascata disordinata color inchiostro che erano i suoi capelli, si geolocalizzò in classe. Era ricreazione, a giudicare dal chiacchiericcio concitato con cui alcune sue compagne di classe cinguettavano tra loro. Gli altri dovevano essere usciti in cortile.

Una figura, seduta alla sua sinistra, incrociò i gomiti sul banco per entrare di prepotenza nel suo campo visivo.

«Colpa mia che ti tengo sveglia tutta la notte, lo so» sogghignò Lucas da dietro la maschera «E non nei modi giusti.»

«Ma che...» farfugliò Akame. Fece saettare le pupille dalla faccia pallida del mentecatto a quello che rimaneva della sua classe. Lui era proprio , tanto reale da poterlo toccare. E nessuno sembrava essere turbato da una presenza sinistra e inaspettata in classe.

«Cosa?» Lucas roteò il capo per intercettare il motivo della sua confusione «Ah, ma non mi vedono? Chissà perché.»

«Tu non avevi detto...? Lasciamo stare» Akame portò le dita a massaggiare il principio di emicrania che minacciava di farle esplodere la scatola cranica. Le sue compagne le avevano lanciato un'occhiata interdetta, chiedendosi forse perché avesse preso a parlare da sola di punto in bianco. Aggiungiamo un nuovo punto alla lista dei motivi per cui ho bisogno di cure psichiatriche urgenti.

«Che ci fai qui?» boforchiò tra i denti. Lucas alzò le spalle.

«Non so, avevo voglia di fare un salto a romperti le scatole. Wow, era da un sacco che non mi trovavo in un'aula come questa» il demone scrutò l'ambiente con un entusiasmo infantile. Probabilmente si stava rompendo le palle a Hell City e aveva pensato bene di venire a romperle a lei.

«È la classe scolastica standard italiana, con tanto di allegro crocifisso. Nulla di strabiliante» sibilò. Prese a grattare il banco con un'unghia, nel tentativo di non farsi notare dalle altre. Tentativo in cui fallì: quelle si alzarono e, dopo un'occhiata allarmata nei suoi confronti, zampettarono fuori.

Sospirò di sollievo a quella solitudine momentanea. La solitudine era aria per lei.

«Non ti piace la scuola, mi sembra di capire». Se solo ce l'avesse avuta, un po' di sacrosanta solitudine. Lucas abbassò la maschera a mostrare le labbra piegate in un sorrisetto. Una mano volò a portare all'indietro i capelli corvini e poggiò la schiena alla sedia. Le iridi scattarono nelle sue. «A me piaceva. Mi divertivo, sai. Non studiavo manco per sbaglio ma avevo degli amici con cui chiacchierare. Tu mi sai di vecchia acida che tira il malocchio a chiunque si avvicini.»

«Ci sei vicino» gli rivolse una smorfia. Dopo un attimo di esitazione, gli chiese: «Di quanto tempo fa stai parlando? Andavi a studiare in un castello medievale, un collegio studentesco o qualcosa di più recente?»

«Akame, lo sai che divento timido a parlare di me.»

«Non sparare cazzate.»

Lucas sollevò i palmi.

«Ok, ok. Ti infrango il sogno: ho l'età che dimostro.»

Akame non seppe se credergli. In realtà, faceva fatica a credere quasi a tutto quello che sparava quel rincoglionito. Lucas prese a esplorare l'apparato auricolare col mignolo mentre lei gli rivolgeva un'occhiata indagatrice.

«Quindi... quanto, venti?

«Boh, credo di sì, su per giù. Ad Hell City non si percepisce granchè lo scorrere degli anni.»

Revenge PartyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora