La lore di Ingrid

51 6 0
                                    

Il giorno X, infine, arrivò.

L'attuazione del piano più privo di logica e raziocinio mai partorito dal genere demoniaco era oramai imminente.

Il camion era in parte nascosto da una pila sconclusionata di casse da frutta vuote, appostato tra due edifici e in una zona che i lampioni stroboscopici di Hell City fallivano a illuminare a pieno. Oh, era ancora visibile, per carità, solo un cieco ubriaco prossimo alla demenza non se ne sarebbe accorto, ma almeno dava l'impressione di essere stato lasciato lì da tempo ad ammuffire.

Il piano, se così lo si poteva definire, non piaceva per niente ad Akame.

La prima fase prevedeva che Lucas e Andrej entrassero nella base nemica e spingessero la Strega a uscire fuori, e già questo crollava sulle sue stesse fondamenta di idiozia.

Non credo le dispiacerà scambiare due chiacchiere con me, aveva detto Lucas, e non sembrava star scherzando. Sa che non posso ferirla e non sono una minaccia. Però credo inizi a darle fastidio il nostro irrompere continuo a casa sua per farne un macello. Quindi, farò finta di proporle una sorta di tregua.

Akame credeva che quella fosse una scusa per mascherare qualche azione dell'ultimo minuto ben più intelligente da non rivelare subito, ma quando poco prima aveva chiesto conferma a Lucas in proposito la sua espressione da pesce lesso basito l'aveva fatta ricredere.

«Che sete» Ingrid poggiò le gambe sul cruscotto e si aprì una lattina di birra. Akame nel vederla fu assalita dai tremori.

«Ti prego, ne ho bisogno» le fece e la rossa ne riesumò un'altra da sotto il sedile. Tempo due secondi e il fresco dell'alcool che scivolava lungo la gola la fece tornare a respirare. Serviva come minimo qualcosa di ben più forte per affrontare quella situazione, ma meglio di niente.

«Ti vedo nervosa» commentò Ingrid «Penso che per trovarti qui - e cogli il senso lato di questo qui - hai affrontato di molto peggio, quindi sta' tranquilla.»

«Già, di molto peggio» le dita di Akame tamburellarono sul volante, poi le pupille saettarono di nuovo sull'altra ragazza. «Anche tu, immagino.»

Ingrid sogghignò e la costellazione di efelidi sul volto accompagnò il movimento.

«C'è qualche dubbio che bolle in pentola, cinesina?»

«Oh, credo troppi da comunicare nella parentesi di pochi minuti che abbiamo» commentò Akame. Dei due ragazzi non c'era ancora traccia, non che potessero fare molto in loro soccorso se fossero morti da bravi idioti dopo essersi lanciati di pancia nella tana del lupo. «Però... se ho capito le leggi di questo posto insensato, tutti qui a Hell City sono rimasti intrappolati in questa specie di limbo demoniaco per propria scelta. O meglio, dopo aver fatto qualcosa di parecchio brutto e vendicativo.»

«Ci hai preso» Ingrid alzò la lattina come a brindare al genio dell'altra (Akame suppose ci fosse una velata presa in giro sarcastica nel gesto). «E vuoi sapere che ho fatto di spregevole per essere stata sputata qua dentro.»

La ragazza sporse il capo verso di lei e quegli occhi così dannatamente svegli le procurarono i brividi. Era lo sguardo di qualcuno il cui cervello era una locomotiva a mille sempre in funzione, Akame lo riconosceva, del resto era così simile a quello della persona che le era stata strappata via.

Ingrid tirò indietro il busto e Akame tornò a respirare, poi lasciò scivolare la schiena contro il sedile. Rimirò la lattina tenuta con la mano metallica.

«Ho passato buona parte della mia vita in un paesino molto poco interessante e parecchio noioso. I miei ricordi migliori li ho costruiti nell'officina di mio padre. Prima ancora di iniziare a camminare mi portava con lui a lavoro: mia madre non so che fine avesse fatto e non c'era nessuno che potesse badare a me. Giocavo con bulloni al tetano quasi tutto il giorno e miei compagni d'infanzia erano i cinquantenni sudaticci e stempiati che frequentavano l'officina. Ero una bambina sveglia, questo papà me lo ripeteva spesso. A scuola andavo più che bene, ero un genietto matematico e scoprii, una volta diplomata, che aveva tenuto da parte parecchi soldi per me. Non voleva che mi tarpassi le ali rimanendo con lui ad ammuffire nell'officina sotto casa per sempre, e a dire il vero non lo volevo neanche io. No, sarei diventata qualcuno di importante e avrei guadagnato una barca di soldi per me e mio padre. Cascasse il mondo avrebbe passato la pensione anticipata ad abbronzarsi il culo in qualche isola caraibica.

Revenge PartyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora