.Why Not?.

32 2 5
                                    

Ellen's POV:

Le persone sono abituate ai lussi. Vivono in grandi case, nuotano in spaziose piscine, hanno fin troppe cucine. Conto a mente tutti i posti che ho già visitato, cosa ho pulito e quanto lavoro ancora mi rimane da svolgere.

"E in tutta questa loro megalomania, cosa gli costa dare un pezzetto a noi morti di fame" penso, con la forchetta argentata incredibilmente pesante in tasca. Vendendola alla persona giusta ci avremmo potuto mangiare per una settimana. Vendendola alla persona stupida anche due.

Spazzavo il pavimento, fermandomi di tanto in tanto per asciugarmi il sudore dalla fronte. Il grembiule grigio che indossavo era ormai tendente al nero, pieno di sporco. Il peso dell'oggetto di valore mi gravava in tasca, l'idea di poter finalmente regalare ai miei fratelli un pasto completo fece comparire un sorriso sul mio volto.
Buttai l'occhio oltre la mia spalla per vedere a che punto stessi.

Una figura appoggiata allo stipite della porta.

Non lo sentii entrare.
Da quanto tempo si trovava lì?
La lenta consapevolezza di essere stata scoperta iniziò a crescermi nel petto, come una nube tossica, ma guardai avanti e continuai a lavorare.
La fronte mi si imperlò di sudore e stavolta non era la fatica.

Devi rimanere calma, Ellen, non commettere passi falsi.
Quell'uomo non aveva l'aria di essere un domestico, i suoi vestiti dall'aria tanto costosa avrebbero potuto donare a molte persone un letto caldo su cui dormire.
Sentivo il suo sguardo bruciarmi addosso, probabilmente se fossi stata ricoperta di benzina ora sarei diventata una vera torcia umana.
Incendiata da uno sguardo.
L'ansia cresceva, la tensione ancor di più, le mani iniziarono a sudare, per poco non persi la presa sul manico della scopa.
Dovevo andarmene di lì.

Mi voltai di nuovo. Che stupida.
Era fermo lì, nella stessa identica posizione, rilassato.
Non riuscii a riconoscere il volto, essendo maledettamente in penombra. Raddrizzai la schiena dolorante, il mio turno era finito comunque.
"Se non mi ha detto niente prima perché dovrebbe farlo ora?".
Tolsi il grembiule e lo ficcai alla bell'e meglio nella mia borsa, perché ovviamente dovevo lavarmelo io.
Ingoiai la rabbia, per una volta, feci addirittura un cenno di saluto verso lo sconosciuto e mi avviai verso l'uscita.
Di solito i Ryder non si curavano delle mie uscite, perché sapevano che non avrei rischiato il lavoro facendo una stronzata.
Ed era esattamente ciò che avevo fatto.

La sua posizione non cambiò d'un centimetro. Braccia incrociate al petto, spalla destra contro lo stipite della porta mentre le gambe erano accavallate.
Se avessi dovuto affibbiargli una qualunque parola in quel momento sarebbe stata spavalderia.
Come se controllasse lui l'intera situazione anche senza muovere un muscolo e forse era davvero così.
Gli passai vicino evitando di guardarlo ma mi sentì sbiancare quando la sua mano afferrò il mio polso.

«Corri a prendere la tua carrozza, cenerentola?» rimasi a fissarlo, sconcertata. Non lo aveva detto davvero. La sua voce era roca, profonda.
Fin troppo matura per appartenere a qualcuno della mia età.
Doveva essere qualche anno più grande.
«Mi scusi?» incerte mi uscirono le parole. Il suo sguardo glaciale si spostò sulla mia tasca.
Inevitabilmente anche i miei occhi si spostarono lì: dannazione, la forchetta! Pensai a tutte le possibili scuse, qualsiasi cosa pur di evitare un licenziamento.

«Ti scuso poiché non è ancora arrivata la mezzanotte per te, cenerentola, c'è ancora un po' di sporco su quel bancone» e indicò un punto impreciso.

Che bugiardo, lo avevo pulito poco prima di prendere la scopa e lucidare il pavimento in modo tale che la sua figura potesse tranquillamente specchiarsi.
Era un bell'uomo ma dai modi totalmente inappropriati, era sgarbato, maleducato.
Avrei voluto avere ancora quella scopa tra le mani, magari una botta in testa avrebbe rimesso in sesto il suo cervello.

«In realtà il mio turno è finito e dovrei proprio andare» finalmente mi decisi a sostenere il suo sguardo ed allora lo riconobbi, il divertimento.

Probabilmente si divertiva a sottomettermi a trattarmi da essere inferiore, contando il rango sociale era davvero così, ma il valore delle persone non si misura in base ai propri beni.
Ero degna di rispetto, oppure mi sarei limitata a prendere più di una forchetta.
Tra le opzioni c'era anche la sua virilità, molto potere poteva avere un calcio.

Sgranò leggermente gli occhi. Era sorpreso anche se non voleva darlo a vedere. La presa sul mio polso si strinse un po' prima di lasciarmi andare.
Mi voltai per andarmene, con il cuore in gola, prima di sentire di nuovo quella voce divertita.

<<Credo tu abbia dimenticato la scarpetta>>
Mi voltai, aveva in mano la mia borsa di tela, sembrava trionfante.
Era un ossimoro associare una bella scarpetta di cristallo a quella cosa che non poteva neanche essere chiamata borsa.
La usavo da quando avevo lasciato la scuola, quattro anni prima, e ci ero stranamente affezionata.
Gliela strappai di mano, incapace di contenere la rabbia.
Lui fece di peggio, rise.
Una risata profonda e priva di vera felicità, solo scherno e sorpresa.

<<Puoi andare>> disse, voltandosi.
Marciai fino all'uscita, non avevo mai avuto così tanta voglia di tornare a casa.
Poi mi fermai e mi girai di nuovo verso di lui.
<<E per la cronaca, non sei TU che mi cacci, sono IO che me ne vado>>.
Ebbi il tempo di vedere il ragazzo girarsi, purtroppo non riuscii a cogliere la sua espressione.
Uscii dalla porta e comincia a ridere, ancora con il peso del mondo sulle spalle.

Bene, ogni opportunità di un pasto degno di quel nome era sparita in fumo.
Non mi aveva licenziata e il motivo mi diede molto da pensare.
Non si sarebbero più fidati di me, avrei dovuto fare più attenzione.
Ma al momento avevo ancora una fonte di guadagno, neanche niente male, mi permetteva di sfamare i miei fratelli anche se non con cibi di miglior qualità.
Mi sarei accontentata, come sempre.
Magari un giorno la fortuna avrebbe girato dalla nostra parte.
Attesi il pullman, quel giorno in ritardo.
Mi dolevano le mani, le gambe stanche erano sul punto di cedere.
Nemmeno il tempo di contemplare la mia stanchezza che il pullman arrivò, affrettai a salire e prendere posto in fondo.

Non c'erano molte persone a bordo, il sedile era così comodo che sentì quasi il sonno trascinarmi tra le braccia di Morfeo.

~I don't deserve you~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora