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Carmine guardava un punto fisso nel vuoto mentre il pianto di Futura echeggiava nella sala da pranzo. Lui era nel suo mondo, con le lacrime che gli solcavano il viso; non aveva fatto altro che desiderare una famiglia con Nina e adesso che vi era tutto mancava solo lei.

- Dovevo morire io... Ero io il bersaglio, PERCHÉ TI SEI MESSA IN MEZZO?! - sbraitò saltando dalla sedia. Futura piangeva, senza sosta.

Improvvisamente la porta di casa si aprì rivelando la figura di Sara, che si precipitò dalla piccola non appena la sentì piangere.

- Che cosa pensi di fare? C'è tua figlia che sta piangendo, datti una mossa! - urlò la donna contro il viso sconvolto dalle lacrime di Carmine.

- Sara, non ce la faccio a toccarla. Non riesco a guardarla. Ogni cosa mi ricorda lei e io non ho le forze di accettare la realtà e andare avanti. Non posso prendermene cura. -

Carmine scattò in piedi e si allontanò ancora di più dal passeggino di Futura.

- Io non riesco ad amarla come vorrei senza Nina, non ce la faccio. Non ne ho le forze. -

- Cosa diavolo stai insinuando Carmine? Forza, vieni a controllare. -

- Sei sorda?! Intendo proprio quello che ho detto! Sarò pure egoista, ma non ci riesco! Senza Nina non ha senso! - urlò non riuscendo a trattenere le lacrime. - Rimani pure, io ho bisogno di scappare via dalla realtà. Non riesco più ad affrontarla. -

Dall'altra parte della città...

- Armando, sei tu? -

La donna attese una risposta che tardò ad arrivare.

- Si, sono io. - rispose l'uomo entrando in casa, sbattendo la porta alle sue spalle.

Si inoltrò verso la cucina e notò come Agata stesse attentamente lavando le posate.

- Il pranzo è gia pronto, spero. -

- Manca poco, non preoccuparti. Siedi pure a tavola. -

L'uomo sbuffò, ma fece ciò che gli era stato consigliato.

- Non dirmi che hai iniziato a cucinare tardi perché studiando hai perso la cognizione del tempo. -

Agata fece un sospiro pesante prima di alzare lo sguardo e guardarlo. Annuì e poco dopo l'uomo le scattò contro con l'intenzione di sferrarle un pugno in pieno viso. Agata si scansò in tempo evitando il colpo, ma dando spazio ad una grandissima angoscia dentro di lei.

- Perché non dovrei studiare?! Voglio essere indipendente! -

- Io sono l'uomo e io lavoro. Io porto i soldi a casa e io li gestisco. Indipendente da cosa?! Se vuoi una borsa dimmelo che te la compro! -

- Io non voglio le borse, ma poter essere libera. Voglio poter fare tutto quello che mi piace. Tu non puoi impedirmi di studiare e realizzarmi. -

- Io sono il capofamiglia, mando avanti questa casa e permetto le tue cure e quelle di nostro figlio Ettore. Comando io qui, quindi non ti conviene fiatare minimamente. Sta zitta ed obbedisci, o te la vedrai con me. -

Agata rimase imperterrita davanti le parole dell'uomo.

I due si conobbero in Sicilia, dove nacque e crebbe Agata, durante l'inaugurazione di una pizzeria napoletana a Catania. Lui rimase molto colpito quando la vide e da quel giorno non la lascio più.
I due convivevano da due anni a Napoli e da quattro mesi a questa parte l'uomo che amava era diventato un mostro; la picchiava, maltrattava il piccolo Ettore, le proibiva di farsi delle amicizie, divertirsi, studiare, lavorare. Le proibiva di vivere e per quanto volesse denunciarlo, lo temeva tantissimo.
In carcere se la sarebbe cavata facilmente e una volta uscito sarebbe stata la sua fine.

Quiete e Tempesta || Mare FuoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora