Deserto Illune, Anatolia centromeridionale
La carovana procedeva senza animali da traino, spedita e carica di beni necessari.
Erano in viaggio da un giorno e tutto andava bene, si chiedevano chi mai avesse inventato le storie sull'assoluta pericolosità di quelle terre: c'era nient'altro che desolazione. Avevano fatto una sosta per attingere acqua potabile a Fonte Criptica, considerata una benedizione tra le profonde formazioni rocciose del deserto. Amara e la sua scorta avevano cessato ogni formalismo, dandosi del tu.
«Una volta arrivati ai Varchi Alteri non potremo prevedere il comportamento dei Santi» diceva il Gran Sacerdote, Fasto, piluccando formaggio di cammello da una ciotola. «Ammesso che siano ancora lì.» Vedere il religioso fasciato da poche e semplici vesti incuriosiva i presenti all'interno del convoglio. Ammirare il corpo scolpito di un sacerdote non era sconveniente; culturalmente era convinzione che l'estetica dovesse riflettere la qualità dell'anima.
«In effetti, gli ultimi racconti sui Santi risalgono a millenni fa, addirittura prima dell'Età Dorata con la Grande Madre tra gli uomini» convenne Vitrèo, una delle guardie templari, legando rozzamente i rasta alla base della nuca.
«Ricordo che i primi esploratori furono anche gli ultimi. L'unico sopravvissuto tornò a Petrosa raccontando di un attraversamento: quelli che erano con lui sono spariti dopo essersi avvicinati troppo ai Varchi. Passare attraverso i Santi potrebbe essere come morire, chi lo sa. O magari, il coraggio sarebbe ripagato con l'arrivo nel Regno dei Cieli» commentava Plumbeo, la seconda guardia del tempio, un uomo di mezza età dallo spirito giovanile e la zazzera crespa. La sua fede nell'aldilà era gioiosa e pura, a differenza di molti uomini profondamente timorati della Dea.
Amara ascoltava in silenzio, le gambe incrociate sotto al vestito. Giocherellava con gli anelli di ottone intrecciati alle dita, aveva lo stomaco chiuso. Sebbene l'interno della carovana fosse quanto di più comodo cuscini di piume e coperte di pecora potessero garantire, l'oracolo si sentiva costantemente scomoda. Cambiava posizione più spesso degli altri e questi lo notavano, ma non osavano disturbarla con domande inopportune: non volevano sapere dell'abisso di quegli occhi scuri, dalle palpebre calate a metà. Le guardie credevano che l'oracolo portasse in sé verità esclusive, segreti al di sopra del volgo. Solo Amara e il Gran Sacerdote sapevano che non era affatto così: la ragazza non sapeva nulla più di quanto sapessero le caste religiose più basse; le leggi e il sapere pratico che la dea Sol aveva lasciato era sintetizzabile in un unico tomo comprensibile ai più. Nel tempo, il clero aveva innalzato una cortina di mistero mettendo insieme i più disparati contorsionismi teologici. Amara era cresciuta pregna di quello: gomitoli di discorsi volti a celebrare il mistero della dea, la sua divinità cosmica. Nei secoli dei secoli, i teologi della dea Madre avevano astratto il suo essere e le sue eredità, volutamente. Così avevano unificato il popolo in un eterno monoteismo.
«So che siete tesi» Amara prese parola; voleva tirare fuori l'argomento che gli altri tre evitavano. «So cosa pensate sui rischi di questo viaggio. Ma finora è andato tutto bene, significa che la Dea Madre ci protegge, che è con noi. No?»
Gli uomini reagirono diversamente. Fasto le prese la mano e iniziò a pregare con lei, Vitrèo guardò in faccia Plumbeo, che si era unito al salmo, ma non volle partecipare; la guardia più giovane nutriva uno scetticismo malcelato, quasi irrispettoso nei confronti dell'oracolo. Quest'ultima stringeva il piccolo ciondolo d'oro al collo, l'incisione della figura mistica di Sol: l'aureola di santità e le fattezze negroidi erano all'apice del gusto estetico dell'etnia. I suoi devoti avevano scavato intere montagne solo per riempirle di Lei, della figura dell'Altissima.
«Oh, Eterna. Tu che sei il sole, la luna, il varco per l'aldilà. Unica speranza dopo la morte, il principio e la fine. I Tuoi occhi percorrono distanze siderali, Tu che tutto sai e tutto muovi, sostienici. Proteggi il nostro viaggio» recitarono all'unisono. «Guarda i tuoi figli, stendi il Tuo manto di stelle, oh Regina, Madre, stella nel mattino e faro nella sera...»
«Eccoci ai Solchi Sabbiosi» disse Vitrèo, mettendo gli altri sull'attenti. «I Varchi sono vicini.»
Il piccolo convoglio levitava a pochi centimetri da suolo, appesantito dal carico umano, di cibo e di armi da difesa. La rotta era preimpostata con una programmazione magnetica; la navetta non poteva sbagliare, era quanto di più tecnologico possedessero i nobili di Petrosa: uno dei pochi superstiti dell'antica tecnologia divina. Tuttavia, non era un mezzo di trasporto a prova di insidie.
«Plumbeo, tu sai come si guida questa cosa, no? Dobbiamo rallentare, vedo una macchia in lontananza» annunciò Fasto, spingendo la guardia più anziana verso la plancia di comando.
Quello che sembrava un miraggio si fece sempre più vicino, i contorni si fecero nitidi in ciò che erano proprio figure di uomini, strutture, macchine da scavo.
Increduli, i viaggiatori fecero fermare la carovana nei pressi; nessuno li aveva segnalati o fermati, per un attimo sembrò che volessero ignorarli, poi gli uomini accerchiarono la navetta levitante. Non sembravano ostili, ma Amara tremava lo stesso.
Il sole accecava i volti arsi degli stranieri. «Dove state andando?» chiese uno, vestito di una tunica dalla fattura aliena, per un abitante di Petrosa.
Parlò Fasto, scendendo dalla vettura alzò una nuvoletta di sabbia: «Voi, piuttosto, cosa state facendo? È pericoloso sostare in queste terre. Cosa sono quelle macchine?» indicò incroci metallici dotati di ruote che non aveva mai visto, una tecnologia sconosciuta ma quasi arretrata, rispetto alle opzioni che offriva la levitazione.
«Fratello, che cosa stai dicendo?» l'omone scoppiò a ridere, sebbene fosse nero come i viaggiatori la stazza era sensibilmente maggiore. «Non c'è nessun pericolo, qui. È una terra di mezzo, non c'è nessun eloah ad amministrarlo. Noi veniamo da Uruk, ma estraiamo rame per gli dèi gizi di Saqqara. Si dice che abbiano in mente un glorioso progetto piramidale.»
Allora Amara barcollò fino a lui, sentiva la bocca secca. «Ma di quali dèi vai parlando, empio? Esiste una sola dea, Creatrice dell'universo, ed è Sol.»
Un silenzio surreale calò tra i presenti, che si raccolsero ancora più vicini. Anche Vitrèo e Plumbeo erano scesi dal convoglio e tacevano, fissando i minatori. Questi avevano la fronte aggrottata e sembravano irritati. «A lavoro» ordinò il capo dei manovali, «ignorate questi poveri pazzi.»
Amara accolse l'offesa con sdegno. Il vento del deserto le scompigliava i capelli corvini, i pendenti dei bracciali tintinnarono furiosamente quando fece cenno ai suoi accompagnatori. «A bordo, svelti! Andiamo avanti» disse.
Eloah? Uruk? Che significano queste parole? Chi erano quegli uomini? Dove sono le creature mitologiche che dovrebbero abitare questi posti? Pensò, sconvolta. Quello fu l'inizio della malattia che l'avrebbe corrosa: il dubbio.
Il gruppo procedette per pochi minuti, finché fu investito da una nube grigiastra: proveniva da una delle macchine in lontananza degli estrattori di rame. Quella colonna asfissiante invase il piccolo ambiente della navetta, i viaggiatori iniziarono a tossire spasmodicamente. Nessuno ebbe il tempo di parlare. Vitrèo allungò una mano, appena in tempo per aumentare la velocità del convoglio, poi collassò, seguito dalla guardia più anziana. Non avevano mai sperimentato un simile evento di asfissia, ma Amara e Fasto ebbero l'istinto di coprirsi naso e bocca con un doppio tessuto filtrante. Non erano attrezzati per quello, ma lino e lana svolsero il compito di salvare loro la vita.
Rinvennero al tramonto. Si accorsero che la navetta si era fermata, una strana luce biancastra proveniva da fuori. Sembrava viva, si muoveva in fasci come un'aurora boreale.
«State... State tutti bene?» chiese sommessamente Amara, strizzando gli occhi e tossendo.
Rispose solo Fasto: «Li ho buttati giù. Ora sono con la terra.»
«Cosa hai fatto?» scattò l'oracolo, ma il sacerdote le rivelò che erano morti nell'invasione di fumo e la navetta aveva viaggiato per troppo a lungo con quel peso. Appena destato, Fasto li aveva fatti rotolare fuori, tra le sabbie del deserto.
Amara rimase svariati minuti con una mano davanti alla bocca. Non aveva la forza di pregare, così cercò negli occhi scuri di Fasto una speranza. «Dove siamo arrivati?»
Lui le fece cenno di guardare fuori. «Ai Varchi Alteri.»
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SOL
Science FictionTurchia, tremila avanti Cristo. Nell'epoca dei patriarchi, Amara è l'oracolo di una divinità assente, patrona di una città-stato isolata. Amara vorrebbe riuscire finalmente a stabilire un contatto con la dea Sol. Non ha la minima idea di quanto caro...