Parte 1

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-Cosa vedi?- chiesi ad Adam.

-Intendi di diverso dal solito oppure rivuoi, come tutti i giorni, la solita descrizione?- sbuffò.

Sorrisi a quel tono esasperato che ormai da molti mesi mi era familiare.

-Devo prenderlo come un si-.

-Hey! Tu sei i miei occhi, dovresti rispondere ad ogni mia richiesta, e non sbuffare sempre-.

-Già, e vero. Allora partiamo dalle cose che ti stanno più vicine per poi andare gradualmente a quelle più lontane, ci stai?-.

Scossi la testa affermativamente.

-La panchina su cui sei seduta e di legno, deve essere qui da quando hanno costruito l'ospedale perché non ha un bell'aspetto. Sinceramente sono sorpreso che riesca a sostenere il tuo peso-.

-Non sono così pesante!- era vero, l'ultima volta che mi ero pesata l'infermiera mi aveva dello che pesavo cinquantacinque kg, dieci kg in meno di quelli che pesavo un anno fa.

-Non ho detto questo, e che sembra poter crollare da un momento all'altro. Non capisco perché ti ostini ogni giorno a sederti qui, ci sono tante panchine più nuove e più sicure-.

Adoravo quella panchina e vero, e avrei continuato a sedermici ogni giorno, fino a quando non mi avrebbe più retta.

Avevo saputo della sua esistenza il primo giorno che accettai di uscire dalla mia stanza, sotto braccio con un infermiera che aveva detto di chiamarsi Anneth. Avevamo percorso il parco che circondava l'ospedale privato Oshea. Si trovava alle spalle della struttura, in un angolo affianco ad un imponente quercia.

-Mio dio, questa panchina e ancora qui- disse.

-Quale panchina?- la mia voce uscì roca, quasi irriconoscibile alle mie stesse orecchie.

Ad Anneth ci vollero alcuni secondi per rispondermi, forse scioccata nel  sentire per la prima volta la mia voce dopo un mese.

-Questa-.

Con una mano sulla schiena mi sospinse gentilmente in avanti. Anche se avevo le scarpe da tennis, i fili d'erba erano abbastanza alti da solleticarmi le caviglie. Anneth mi fece girare sul posto, per poi farmi sedere. Il legno scricchiolò leggermente sotto il mio peso, ma resse..

Feci scorrere le mani, cercando di comprendere con il tatto quello che gli occhi non potevano mostrarmi. Le mie dita affondarono in diversi solchi creati probabilmente dalle intemperie, ma anche alcune scritte incise probabilmente con delle chiavi.

Con il dito mi soffermai su una di esse, all'inizio era una linea dritte, che però dopo andò ad incurvarsi ritornando giù, per poi tornare se e ritornare giù, ritornando al punto di partenza. Un cuore.

-Vuoi sapere una storia?-.

-Si- dissi, continuando a tracciare con il dito le profonde linee nel legno.

- Ti avviso che mel'hanno raccontata, io ancora non lavoravo qui quando successe quindi non posso assicurarti la veridicità di questa storia e da un lato spero che non sia vera, comunque...- prese un bel respiro – si dice che la moglie di un grande magnate del petrolio fosse in cura qui, non so per che cosa, ma credo fosse qualcosa di grave tanto che interruppero le medicine alla donna e dissero al marito di prepararsi al peggio, visto che non c'era più niente da fare...il marito la voleva portare in un altro ospedale, non volendosi rassegnare, ma la moglie riuscì a convincerlo e lasciarle vivere i suoi ultimi giorno qui-.

Un vento leggero ci colpì, facendo svolazzare sul mio viso le ciocche corte che erano sfuggite alla treccia.

-L'uomo aveva scoperto questo posto poco dopo aver ricevuto le cattive notizie sulla salute della moglie. Si era allontanato dal suo capezzale solo per non piangere davanti a lei. La portò qui tutti  i giorni, rimanendo seduti su questa panchina per ore, restando in silenzio, mentre osservavano le fronde degli alberi. Il giorno che la moglie morì, l'uomo venne qui, rimase seduto per un po' per poi tornare a casa-.

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