Prologo

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Sei mesi prima...

"Single ladies" risuona a tutto volume nel bistrot in cui sono appena entrato

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"Single ladies" risuona a tutto volume nel bistrot in cui sono appena entrato. Faccio per richiudermi la porta alle spalle, ma da un gruppo di vecchietti che giocano attorno al biliardo – in una stanza laterale – mi arriva una voce che mi dice di non farlo.

«Sta arrivando mio nipote, lascia pure aperto.» Uno di loro viene a tenere l'anta alla mia destra, lasciandomi un po' stupito. Da come me ne avevano parlato, non credevo di trovarmi in un posto dall'aria semplice, ma in uno più raffinato. O forse il fatto che me ne abbia parlato proprio Eric, uno dai gusti snob, me l'ha fatto pensare.

Diverse tonalità di verde e bianco campeggiano sulle pareti, accogliendomi come se dovessi entrare in una piscina. I tavolini sparsi in giro, di color marmo chiaro, sono rifiniti in ferro scuro e una delle bariste è china a recuperare alcune tazze e tazzine su un vassoio. Solleva lo sguardo e incrocia il mio.

Per un istante, un eterno istante, mi perdo in quegli occhi verdi, grandi, circondati da ciglia lunghe che li rendono ancora più magnetici.

Ma lei è costretta a distogliere lo sguardo da me per tornare dietro al bancone e mettere a lavare ciò che ha raccolto dal tavolo e borbotta qualcosa all'altra barista, una bionda con i capelli raccolti in una lunga coda sulla nuca. Anche lei ha degli occhi invidiabili, dal taglio sottile e azzurri. Ma non belli come quelli dell'altra.

«Ciao» mi sorride la bionda, con cordialità. «Cosa prendi?»

«Vorrei un ginseng» le rispondo, poggiando i gomiti sul bancone. «Mi hanno detto che qui lo fate buono.»

«Se ne occupa mia cugina, te la chiamo. Alizée!»

L'altra barista, quella con quegli occhi da mozzare il fiato, si avvicina a noi, dopo aver passato un paio di croissant ai pensionati, che se ne tornano al biliardino.

«Il ragazzo prende un ginseng, pensaci tu.»

«Ma certo.» Lei mi sorride, puntando quei due occhi magnetici nei miei. Mi guarda per un istante di troppo, tanto che un altro cliente la richiama.

«Alizée, io un caffè macchiato.»

Alizée... ha anche un nome meraviglioso. Sembra un accordo musicale rubato a un compositore.

«Sì, Pierre, ma lui è arrivato prima, quindi devi aspettare.» Alizée gli sorride, ma in maniera fredda, distaccata. Quasi infastidita. Si sistema alla macchinetta del ginseng, che è dal lato in cui mi sono appoggiato io, e mi rivolge un'occhiata di sottecchi, stavolta incuriosita, come se cercasse di scoprire qualcosa su di me solo guardandomi.

E io ricambio l'occhiata, perché questa ragazza sembra avere tutto un mondo che voglio esplorare.

Si sofferma sul tatuaggio che sbuca dalla manica sinistra, tirata su della felpa, poi sul mio viso o, per essere più preciso, sull'orecchino all'orecchio sinistro, come se mi trovasse curioso e non capisse come sia finito da queste parti.

Cenerentola al bistrotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora