ANTEPRIMA: Capitolo I

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Legnano, 29 maggio 1176

Lo squillo delle trombe risuonò nella piana. L'esercito imperiale, privato della sua nera aquila, era in rotta.
Richard von Thann sentì solo le urla di angoscia, i calpestii concitati, il nitrire dei cavalli che fuggivano in preda al terrore. Siegfried von Lebenau lo afferrò per la cotta d'arme con la mano guantata e lo strattonò, gridando parole che furono inghiottite dal clamore. Richard non ebbe tempo di pensare; sapeva solo che doveva correre, fuggire al più presto per evitare che i milanesi lo catturassero o lo uccidessero.
Anche nelle retrovie gli uomini abbandonavano i loro posti, lasciando ai nemici armi, provviste, bagagli, perfino i feriti. Per terra giacevano gli scudi sfondati dei tedeschi, i cui colori e simboli erano ormai irriconoscibili. Le rosse bandiere di sangue venivano calpestate.
Scorse un cavallo sbandato, già bardato e sellato, che si aggirava all'ombra degli alberi. Non si domandò nemmeno di chi fosse: gli saltò in groppa e lo spronò verso una distesa d'erba alta, facendo cenno al compagno di seguirlo.
"Più veloce! Li abbiamo alle calcagna!" gli urlò Siegfried.
Richard si guardò alle spalle, la fessura dell'elmo gli restituiva frammenti di scene che si confondevano e si sovrapponevano. Vide alcuni cavalieri fuggire con gli scudi alzati, incalzati dai milanesi che gridavano insulti e minacce nella loro lingua. Uno cadde a faccia in giù nell'erba, colpito alla schiena da una picca. I suoi compagni si gettarono nel fiume con tutte le armi e scomparvero inghiottiti dai flutti, annaspando e sputacchiando. Altri, come bestie braccate, si sparpagliarono a cercare riparo nella foresta.
Siegfried lo chiamò, agitando la mano; dietro di loro i lombardi continuavano a urlare. Richard diede di nuovo di sprone, piegandosi sul collo del cavallo contro il vento che lo spingeva all'indietro.
Quando fu certo che lo scalpiccio degli zoccoli alle sue spalle si fosse affievolito, strinse le ginocchia, scavalcò un fosso e si lanciò a rotta di collo attraverso un campo di spighe dorate.
"Siegfried?"
La sua voce rimbombò nel silenzio. Si voltò di scatto: non c'era nessuno, né amici, né nemici. Era da solo.
Richard tirò bruscamente a sé le redini. Folle di terrore, il cavallo sgroppò e si impennò sulle zampe posteriori, calciando l'aria. Il ragazzo si lasciò scivolare giù dall'arcione col cuore che gli martellava nel petto, e non poté far altro che rimanere a guardare impotente mentre il cavallo galoppava via, tagliando i campi tinti dalla luce dorata del tardo pomeriggio.
"Siegfried!" gridò di nuovo, col poco fiato che gli restava. Gli rispose il gracchiare roco di un uccello.
Richard, le spalle gravate dal peso dell'usbergo e il volto grondante di sudore, si sfilò l'elmo e si guardò intorno. Era circondato da cespugli di rovi ed erbacce. Un refolo di vento scosse le fronde in una quiete che, dopo la battaglia, appariva presagio di morte. Lo scenario era mutato nei particolari ma simile a tanti altri che aveva già incontrato in quelle zone: il verde della pianura era interrotto qua e là da macchie di castagni e campi coltivati, intorno ai quali sorgevano piccoli agglomerati di casupole. Non avrebbe saputo dire dove si trovasse, né se fosse già passato da lì.
Ma Siegfried, che fine aveva fatto? Perché non lo aveva seguito? E suo padre, dov'era? Che ne era stato del loro esercito? Incalzato da quei pensieri, si rimise in cammino cercando di ripercorrere a ritroso il tragitto fatto all'andata, mentre il chiarore già scemava all'orizzonte.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo camminasse, quando intravide il campo sovrastato dalla cappa sanguigna del crepuscolo. Ovunque, facce sfigurate dall'agonia, le membra mutilate, carcasse di animali, elmi sfondati, scudi spezzati, il fetore nauseabondo della morte. Affondò i piedi in un pantano d'erba e fango, mentre i lamenti riecheggiavano nella piana desolata. Qualcuno stava già saccheggiando i cadaveri e le loro ombre si allungavano in forme contorte, il ferro delle armi era scuro come piombo.
Sentì gocce di sudore freddo imperlargli la fronte, ma cercò di dominarsi: passare da lì era l'unico modo per ottenere risposta alle sue domande. Scrutando i volti dei morti, i suoi occhi si piantarono su un uomo coperto da uno scudo rosso e blu. La banda bianca al centro era attraversata da cinque abeti, schizzati di sangue e trafitti da molte frecce.
Con un balzo, il ragazzo scavalcò un paio di cadaveri di lombardi e si chinò sul corpo: una lancia gli trapassava il petto. Rabbrividì al pensiero di scorgere sotto quell'elmo il volto di suo padre; glielo sfilò con mani incerte e si ritrovò il sergente Hildebrand che lo fissava con una sorta di vitreo stupore. Si ritrasse di scatto: dov'erano finiti gli altri? Che doveva fare? E se...
"Juncherre..."[1] gorgogliò una voce vagamente familiare.
Richard si voltò e vide un altro degli armigeri di suo padre, riverso al suolo con una profonda ferita all'addome. Dal sangue che impregnava l'erba e le sue vesti, realizzò subito di trovarsi di fronte a un moribondo. Deglutì, si turò il naso e gli si avvicinò. "Dov'è mio padre?"
L'uomo sollevò una mano e indicò un punto indefinito tra gli alberi. "È andato... laggiù..."
"Laggiù? Perché?" lo incalzò il ragazzo.
"L'hanno inseguito... c'era anche..." furono le uniche parole che il soldato riuscì ad articolare, poi piegò la testa di lato e rimase immobile. Richard sentì crescere dentro di sé il disagio e il senso d'impotenza: ormai il cielo era una distesa di cobalto screziato, e lui era l'unico vivo ad aggirarsi tra cadaveri insepolti, con nugoli di corvi che volteggiavano sul suo capo. Presto avrebbero banchettato con le loro carni, così come gli uomini lo avevano fatto coi loro averi. Si guardò per un'ultima volta alle spalle e si allontanò a grandi falcate.
Il punto indicato dall'uomo si perdeva nell'oscurità. Nessun indizio, nessun segnale che gli suggerisse la direzione da prendere, ma Richard non osava immaginare che alternativa lo aspettasse se non l'avesse trovata. Un tizio con la croce rossa di San Giorgio sul petto lo afferrò per una caviglia e fece per piantargli la daga nel ginocchio. Il ragazzo si divincolò con un calcio e corse via.
Le radici sporgenti sembravano tendersi come per fargli lo sgambetto mentre arrancava e incespicava, i rami bassi gli frustavano il viso e s'impigliavano tra i suoi capelli. I pipistrelli svolazzavano nervosi; i gufi emettevano cupi richiami mentre i loro occhi luminosi lo fissavano nel buio.
A ogni passo, sentiva la tensione accorciargli il respiro, come se la selva volesse chiudersi intorno a lui. Andava avanti orientandosi coi vaghi riflessi della luna, spinto dalla sola consapevolezza che se si fosse fermato sarebbe morto.
Aveva ormai perso il senso del tempo quando intravide una macchia di luce ignea tra gli alberi. Due o tre ombre si muovevano nel suo alone palpitante. Si accostò al tronco nodoso di una quercia, la destra sull'impugnatura della spada, e aguzzò la vista: doveva star attento a non farsi scoprire nel caso fossero stati lombardi, ma non avrebbe potuto stabilirlo se prima non si fosse avvicinato abbastanza.
C'erano due soldati, vestiti di semplici gambeson: uno porgeva un otre a una figura china; l'altro teneva alla briglia un cavallo da guerra. Un terzo, più in penombra, portava l'usbergo e una semplice cintura di stoffa bianca da scudiero sulla cotta d'arme gialla. Era lui che reggeva la torcia. Non poteva vederlo in faccia, ma riconobbe i riflessi dorati dei capelli, che gli incorniciavano il viso come una chioma leonina. Si sporse con cautela per guardarlo meglio. Un rametto scricchiolò sotto i suoi piedi e il ragazzo biondo si voltò nella sua direzione, confermando le sue supposizioni: era lui.
Richard rilasciò il fiato, uscì allo scoperto e si palesò. "Dov'è mio padre?"
"Eccoti, finalmente!" esclamò Siegfried, andandogli incontro. L'espressione preoccupata che aveva in viso si distese in un sorriso appena accennato. "Ti stavamo cercando..."
"Cos'è successo?" Senza perdersi in convenevoli, lo sorpassò e irruppe al centro della radura. "Mio padre, dov'è mio padre?" Prima ancora che qualcuno potesse rispondergli, i suoi occhi ricaddero sul ferito: il conte Eberhard von Thann era seduto su un sasso, le dita che sfioravano l'impennaggio di una freccia che gli trapassava la spalla. Era più pallido del solito, coi capelli scuri appiccicati alla fronte e una vistosa chiazza di sangue che imporporava il blu della cotta d'arme. Quando lo vide, drizzò la schiena e gli rivolse un'occhiata accigliata.
"Padre!"
"Figliolo, si può sapere che fine avevi fatto?" fu la tagliente replica.
Richard ricambiò lo sguardo -- avrebbe voluto rivolgergli la stessa domanda -- ma l'uomo scrollò la testa e sollevò una mano per prevenirlo. "Ne parliamo più tardi, è pericoloso stare qui. Adesso aiutatemi a rimontare a cavallo, dobbiamo tornare al campo." Tentò di rialzarsi, ma ricadde all'indietro barcollando. "Forza, che state aspettando?" abbaiò ai due uomini che gli stavano tendendo il braccio per sostenerlo.

Das Lied der Vergessenen Helden [Il Canto degli Eroi Dimenticati]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora