Capitolo 2

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Il sonno nella casetta del bosco le ha sempre mancato durante la notte, che era anche l’unico momento della giornata di cui aveva veramente paura.
       Doveva stare sveglia per protteggersi dai vari animali terrificanti del bosco che molto spesso apparivano agli angoli esterni dell’abitacolo e, come in preda alla fame, infillavano ed affilavano le loro unghie grosse e nere sulla quercia asciutta e porosa delle sue mura.
       Invece, quando ritornava al castello, sapeva che ogni sera avrebbe potuto dormire profondamente ma questa volta non fu così. Questa volta nemmeno la sua stanza sembrava suggerirle un attimo di conforto anzi, il terrore che qualcosa di peggio le accadrà, fece tremare ogni suo muscolo, trasmettendo brividi su tutta la schiena.
       Un oggetto.
       Un’ arma letale senza tagliente o proiettili. Una che non distrugge né uccide ma terrorizza fino a quando ci si rinuncia di spontanea volontà.  Questa è la completa definizione del violare una legge, e non una qualsiasi ma quelle del Erast.
       Tale anello all’interno del castello porterà soltanto rovine e disgrazie e lei ne doveva portare la colpa. Perché non ce alcun modo per evitare le furie del bosco o fermarle e quindi tutta la notte, si preparò mentalmente ad affrontarle a testa alta. Qualsiasi cosa le accadrà.
       Scese attentamente le scale, prudente ai gradini scivolosi e contò i passi fino all’arrivo nella sala da pranzo, ascoltando il silenzio dei corridoi e il suono dei tacchi al contatto con il pavimento lucido.
       Teneva alzati i lati della tunica bordeaux per non calpestare i suoi bordi lunghi che toccavano il pavimento, e prima di entrare a fare colazione sistemò il pizzo nero della scollatura per coprire il suo seno che stava evadendo dalla stretta del corsetto che la strigeva torturando il torace.
       Con un ceno della testa, salutò la serva che stava uscendo dal refettorio mentre si avvicinò al tavolo in completo silenzio, sedendosi lontana dalla granduchessa che stava mangiando beatamente la sua fetta di pane.
       Il granduca pulì la sua barba con il tovagliolo e finì di masticare prima di parlare caldamente. <<Spero che abbia riposato bene.>>
       Avrebbe voluto risponderli con la stessa gentilezza con la quale le ha parlato, ricambiando come ogni volta il suo atto di gentilezza, e l’avrebbe fatto appena il ragno di sua moglie si avrebbe tolto dal suo piatto.
       <<Oggi avrai qualche facenda da risolvere.>>
       Girò la testa ed esaminò ogni movimento di Zelda, mentre stava picchiettando sul margine del tavolo come per chiamare a se il suo dono, di cui specie di aracnidi sembrò essere pericolosa da dover essere tenuti d’occhio ad ogni movimento. E su questo la granduchessa non sbagliò mai perché continua a prendersene cura senza toglierlo mai di vista.      
       <<Vorrei chiedere...>> scusa avrebbe potuto dire davanti al granduca, solo se Davina non fosse entrata nella sala come il silenzio di un tornado in piena estate.
       Svolazzò il suo abito in tessuto di voile color  verde pino, e fece la sua entrata eccessivamente principesca mentre il suo coniglio, stupidamente imbranato, la seguì agitando le sue piccole  e pelose ali, cercando si spiccare il volo e fermarsi poi contro le gambe del tavolo.
       Nessuno sembrò prestare attenzione a quello che voleva dire la principessa. E forse era meglio così perché alla fine se a qualcuno doleva il cuore di come fu stata trattata la scorsa sera, le avrebbero preso la parte e l’avrebbe protetta davanti alla granduchessa.
       Fece un respiro profondo e i suoi sensi vennero immediatamente intorpiditi e stimolati allo stesso tempo dalla fragranza persistente del tè: un infuso di foglie composto da solo sei piante che una volta bollite rilasciano un sapore dolce-amaro che solo Titus, il cuoco, sa come preparare meglio, ideale per una colazione non presa da una settimana intera.
       Dalla finestra bifora, ampiamente aperta, entrarono le grandi ali dell’avvoltoio del granduca Aldrich e volò sopra le loro teste facendo zittire Davina che stava facendo un discorso riguardo il regno di Fedrine, e atterrò sopra il braccio del suo padrone infilzando gli artigli nel tessuto pregiato della sua camicia bianca.
       Una piccola serratura formarono gli occhi dell’uomo sopportando il dolore delle unghie del capovaccaio che riprese la stabilità.
       Adesso che il silenzio regnava, fu il momento che parlasse. <<Spero siano servite le piante di ieri, Davina...>> Le rivolse lo sguardo mentre prense la teiera versando un pò del liquido caldo nella sua tazza. <<Mi dispiace non averle portate ancora fresche.>> Continuò scusandosi timidamente.
       Passarono ormai due minuti abbondanti e ancora nessuno sembrò di rivolgerle lo sguardo o parlarle. E per fortuna che la prima regola del palazzo fu rispettare le opinioni altrui, perché a quanto pare, fu stata inventata per coloro che lavorano nel castello, non anche per i suoi padroni.
       Mangiò mettà fetta di pane con marmellata poi fu pronta a concludere qui la sua colazione e dirigersi nella sua stanza, finché qualcuno le avesse detto quali erano le facende da risolvere di cui sembrava voler parlare la granduchessa.
       <<Per i prossimi giorni resterai nel nostro maniero.>>
       Come se le avesse letto nel pensiero, Zelda, posò la sua forchetta al margine del piattino e spostò via dalla fronte i suoi capelli rossi.
       <<Pensavo di dover andarmene molto prima.>> Meira non si alzò ancora dalla sedia ma si sistemò meglio raddrizzando la sua schiena ricordandosi di entrare nel ruolo da principessa.
       La granduchessa la fissò a lungo prima di aggiungere altro e innumidì le sue labbra colorate di rosso. <<Non mi sorprende che tu non sia a conoscenza della grande stagione del Erast.>> Sgranò gli occhi riducendoli in una fissura come se volesse guardare dentro la sua anima. <<Ti ricordo, cara nipote, che in questo periodo è molto pericoloso girare tra la foresta, dal momento che le nostre care maliarde iniziano i loro rituali.>>
       Meira sapeva cosa significasse questa cosa. E Zelda non stava sicuramente provando un attimo di pietà per lei, ma sapeva che le voleva chiedere qualcosa e la conferma stava per arrivare.
       <<Per questo motivo sarai l’unica dell’intero popolo di Viridian ad andarci.>> Quel odioso sorriso sulle sue labbra sottili è puro disprezzo e non le sembra essere una novità. <<Ci andrai da sola e non voglio che tu sia accompagnata da nessuno. Non ci saranno guardie né accompagnatori che ti guardino le spalle perciò sarai in grado di dimostrare il tuo nobile ruolo di futura granduchessa, attraverso questa piccola prova.>>
       Il suo marito era  forse l’unica anima di questa sala che provava un attimo di compassione nei suoi confronti. E lo sapeva dalla delicatissima stretta che formò sui manichi delle posate, dopodichè le lasciò silenziosamente sui bordi del piatto.
       <<Credo che Meira possa dimostrare attraverso altri modi, di meritarsi il tuo rango. Questa, mia amata moglie, è una prova troppo rischiosa per lei.>> La voce serica del granduca e il suo sguardo confuso dimostrava un sentimento di preoccupazione nei suoi confronti ma la granduchessa non sembrò fregarle di meno.
       Aveva paura e deglutì il nodo che si formò nella sua gola secca, abituandosi già all’idea che per Zelda non contava cosa faceva per dimostrarle di essere in grado a guidare un intero regno. Per lei, Meira era altro che una principessa. Era la sfida. La vittoria dopo una lotta in cui sua figlia non sarebbe in grado di resistere. Per lei era la notte scura e cupa che porta mistero di qualsiasi genere, e Zelda in qualche modo, voleva trovare la cosa che più si nasconde nell’interno della sua anima: il suo potere latente.      
       <<Oh Aldrich>> Posò la mano su quella del marito mentre lo guardò negli occhi. <<Tutti sappiamo che Meira è più brava di qualsiasi altro cercatore del nostro regno nel procurarci quello di cui abbiamo bisogno. Per questo motivo l’ho scelta.>> Gli occhi verdi della granduchessa squadrarono la sua figura esile prima di riprendere e alzando il mento e scuotendo la mano lentamente disse: <<Ora sbrigati. Troverai nell’atrio la serva che dovrai accompagnare al mercato e mi raccomando, preparati già ad assistere alle lezioni di portamento, quando torni.>>          
       Senza ribattere si alzò dalla sedia e si diresse verso l’uscita incontrando lo sguardo della serva che la stava aspettando proprio come aveva detto sua zia e Meira la salutò cortesemente.
       Uscii dal cortile immenso e solo col pensiero fece apparire Ophir, incaminandosi verso la carrozza senza spiegare il motivo per il quale l’ha invocato.
       <<Con permesso principessa.>> Disse il cocchiere facendo una semi reverenza prima di aprire la porta e lei, fece prima salire Ophir che stava cercando di parlarle ma che invece non ascoltò. Poi si sedette accanto a lui, sistemando l’odioso vestito lungo mentre la sua schiena riposò contro lo schienale del sedile.
       Il vento che si stava intensificando entrò attraverso il finestrino sul lato dello gnomo e d’istinto guardò il cielo grigiastro, dove le nuvole correvano una dietro l’altra e il sole si nascondeva dietro ad ognuna di loro.
       <<Ophir crede che pioverà a breve.>>
       Le sue dita nodose stavano indicando per qualche secondo il cielo ma poi   tornarono a giocherellare con l’anello che prese dalla foresta.
       Con una velocità mai vista prima toccò le sue mani e mantenne fermo il gesto sorridendo falsamente alla serva che salì sul sedile davanti a loro. Non poteva farsi scoprire da nessuno in questo momento. L’anello doveva essere nascosto da tutti gli altri sguardi che avrebbero potuto suggerire a Zelda il reato commesso.
       Lo gnomo cercò disperatamente di togliere le mani dalla sua presa leggera ma la principessa intensificò la stretta per impedirgli di mettere in mostra l’oggetto. Lo guardò negli occhi serrando discretamente le labbra per fargli capire in qualche modo che lo deve nascondere, ma sembrava non voler obedire.
       <<Ophir, ma che mani fredde!>> Esclamò inventando una scusa sotto lo sguardo della serva ormai confusa dal suo gesto. <<Perché non hai preso i guanti?>> Propose mentre mise nelle tasche del suo vestito, la mano dello gnomo dove poteva togliere l’anello senza che la signora lo veda.      
       Con voce talmente soave e bass, la serva cercò di rendersi utile come sa meglio fare. <<Posso fare qualcosa per lei, principessa Meira?>>
       Meira alzò la testa mantenendo un sorriso strambo rispondendo alla sua domanda solo con un ceno del capo, mentre esaminò l’uniforme bianca della serva che toccò la piattaforma grigia e pulita della carozza e le sue mani molto curate e bianche giacevano sul suo grembiule color panna.
       <<Non perdiamo tempo inutilmente.>> Disse per poi rivolgersi al cocchiere:  <<Possiamo partire.>>
        Ophir non ha mai voluto stare nel centro dell’attenzione perché non è mai stato osservato con occhi dolci così come l’ha fatto la serva, e non è mai stato trattato con rispetto dagli altri. E Meira conosceva benissimo il fastidio che provava ancora prima di scoprire che nella vita passata di Ophir, avesse sofferto molto per questo. Quindi senza esitazione, lo sta ercando di aiutare come meglio sa, perché non vuole farle del male, non vuole che si senta in soggezione a causa di alcune persone. Lui è l’unico gnomo rimasto al mondo ed è anche l’unico ad aver avuto un passato diverso di cui non vuole raccontare a nessuno e Meira, rispetta questa sua scelta.
       La carrozza si fermò ed Ophir fu il primo ad alzarsi dal sedile ed aspettare che la porta si apra.
       Il cocchiere allungò la mano verso di lei e la aiutò a scendere nel posto che Meira chiama: Paradiso. Il magico posto di cui non si stancherà mai. Gli strumenti che suonano coloro che amano la musica dal primo mattino fino alla sera tardi sono trattamento per la sua mente; L’odore fragrante del vino bollito insime alla cannella e le buce di arancia si sente appena si mette piede nel bazar; l’immancabile zona delle spezie fresche che profumano tutta la zona del mercato, dove la madre di Alastair lavora e vende orgoliosa le sue coltivazioni. Mentre, accanto allo stand della signora Cimon, si intravede la figura bassa e robusta del signor Hazen che mette in mostra le sue creazioni artistiche in piedra, ferro e marmo: delle sculture realistiche ornamentali pronte ad essere vendute sul mercato.
       <<So che la granduchessa Zelda può essere crudele a volte.>> Fece un sussulto per lo spavento appena sentì la presenza della serva accanto alla sua destra. <<Quindi l’avevo pregata di lasciarla a venire con me al mercato. Spero di non averle tolto del tempo prezioso, principessa.>>      
       Sorrise e abbracciò strettamente la signora senza aspettare un altro istante, poi si allontanò sistemando il colletto del grembiule che le aveva stropicciato, mentre la serva sistemò i capelli che le fuoriuscivano dal bonnet bianco e senza aggiungere altro e si diresse allo stand delle spezie.
       Tracciò con lo sguardo Ophir, che stava in lontananza insieme ad Alastair il quale gli mostrava un schizzo tridimensionale di quello che sembra un aereo personalizzato.
       Camminò verso di loro senza perdere dalla vista il berretto dello gnomo tra la folla e con il sorriso sulle labbra salutò il suo amico, quando un passante incapucciato colpì per sbaglio il suo braccio facendo cadere un  sacchettino in tessuto per terra.
       Lei lo raccolse senza esitazione e ricchiamò l’attenzione dello sconosciuto che si stava allontanado in velocità, lontano dal mercato.
       <<Signore!>> Gridò raggiungendolo.      
       Ormai stava uscendo dalla zona del bazar e Meira lo seguì di corsa dirigendosi insieme a lui verso l’oscurità del bosco.        
       Il suo abito diventò sporco di fango e i tacchi entrarono nel profondo della terra morbida diventando ancora più pesanti. Ma ormai era troppo tardi tornare indietro e cercare di pulirli, quindi continuò a camminare a passo svelto dietro alla persona incapucciata. E quando finalmente rallentò, Meira fece un passo in più per avvicinarsi allo sconosciuto e nel silenzio tenebroso del bosco prese coraggio per richiamarlo un’ultima volta.
       Un soffio di voce bastò per farlo fermare davanti ad una fontana abbandonata e li separò soltanto qualche metro. Quindi passando tra due alberi, si avvicinò all’uomo toccandogli la spalla. E proprio in quell’istante la figura del signore scomparì, lasciando dietro il mantello marrone.
       A Viridian non è ancora mai stato possibile vedere una persona che sparisce in questo modo, perché qui nessuno è mai stato nato, scoperto o identificato con questo potere magico legato all’aria o a qualsiasi altro elemento capace di rendere la persona una con la sostanza.
       Si chinò verso la fontana nella quale vide il proprio riflesso in modo anormale. Distorto. Come se qualcuno avesse toccato l’acqua e avrebbe disturbata la sua tranquillità. E allo stesso tempo sentiva una freschezza leggera che portò i suoi capelli ribelli a ballare sotto il tocco della lieve brezza.
       Un’ombra irriconoscibile stava poggiata tra gli alberi che sorpassò poco fa, raffigurando un corpo robusto di un bel uomo, ma non riuscì a distinguere alcun lineamento faciale né identificò alcun tipo di indumento particolare, ma appena si mosse verso di lei, fece un passo all’indietro, tirando dal suo regiseno un pugnale per protteggersi da qualsiasi cosa sia l’ombra, ma che però la portò a cadere nella fontana poco profonda.
       Urlò ancora sott’acqua rischiando di annegare quando una mano fredda  ma potente la tirò fuori, trasmettendo lungo la sua spina dorsale un forte brivido che le fece diventare la pelle d’oca.
       Strofinò gli occhi e tolse in fretta tutte le impurità verdi dell’acqua stagnante che entrarono nella sua bocca al tempo dell’urlo e quando aprì gli occhi e si guardò intorno, non c’era più traccia di quasiasi fosse stata la persona che l’aiutò. 
       Respirò freneticamente guardandosi attorno in cerca di qualcuno, di qualche traccia o animale, ma tutto quello che riuscì a vedere fu Alastair che le si avvicinò di corsa e confuso, mentre alle sue spalle, l’ombra che vide prima stava svanendo nell’abisso cupo dell’oscurità del bosco.

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