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Quella mattina si alzarono tutti di buon’ora: era il giorno della Scelta e le due ragazze erano agitate a dir poco.
Thalika si unì agli altri in cucina per la colazione e, spronata da Justin, mangiò un biscotto o due e bevve un po’ di tè. Non faceva altro che pensare alla reazione che avrebbe avuto la sua famiglia; Justin era stato umiliato davanti a tutti da sua nonna che si era rifiutata di stringergli la mano quando aveva chiamato il suo nome dalla lista dei civili. 
A Thalika metteva rabbia ripensare a come l’avevano trattato. Una rabbia immensa. E le dava ancora più fastidio sapere che Marga, il Grande Capo, sua nonna, si fosse scusata con lui una volta tornati a casa, ma probabilmente ce l’aveva con suo fratello per averla perdonata: le sue scuse non cambiavano ciò che aveva fatto.  
«Thalika, sono le sette del mattino, hai già pensato troppo», le disse Lanik ridendo, sedendosi a tavola e toccandole la fronte con un dito.
Lei si mise a ridere e il tè che stava bevendo le andò di traverso, appoggiò la tazza sul tavolo e iniziò a tossire; quando riuscì a smettere e riprendere fiato era rossa in viso.
«Tutto ok?» le chiese Arael divertito. Non l’aveva mai detto a voce alta, ma gli piaceva la complicità che c’era fra la ragazza e Lanik e sotto sotto sperava che ci fosse qualcosa di più tra loro, qualcosa di cui magari non si erano ancora resi conto.
Lei annuì ridendo per la figuraccia appena fatta e si soffiò il naso. «Sì, scusate», rispose con il viso rosso per l’imbarazzo.
Tanya entrò in cucina, ma non sembrò felicissima di trovarsi lì. Purtroppo non ebbero modo di scoprire cosa realmente avesse perché si giustificò dicendo che era solo un po’ d’ansia e poi si sedette per fare colazione. Né i suoi cugini né i due ospiti le chiesero altro: non aveva voglia di parlare, non l’avrebbe fatto; insistere non serviva a nulla se non ad allontanarla di più.
Il silenzio che si era creato nella stanza fu interrotto dall’orologio di Arael che iniziò ad emettere un “bip” acuto e insistente. Il ragazzo posò sul tavolo la tazza che aveva in mano e controllò chi lo stesse chiamando, poi uscì e rispose. 
Lanik si mise a parlare, spiegando alle due ragazze che non avevano nulla da temere per la Scelta perché non era nulla di doloroso e non stavano andando al patibolo. Lo fece più per far sì che la conversazione tra Arael e chi l’aveva cercato non venisse ascoltata che altro. Il rosso tornò in cucina, non sembrava preoccupato.
«Tutto ok?» domandò Tanya sentendo l’ansia nel suo petto aumentare.
«Comunicazione di servizio, la cerimonia della Scelta è spostata a dopodomani», spiegò il ragazzo tranquillamente.
«Perché?» domandò Thalika confusa, corrugando la fronte. «Si è sempre fatta il quindici di giugno.» 
«Lo so. E nessuno è felice del cambiamento, ma a causa della rivolta dell’altro giorno molte case e strade sono state danneggiate. E Marga ha deciso di spostare la cerimonia», spiegò Arael. «O almeno questo è quanto è stato detto all’Istituto», aggiunse senza esserne troppo convinto: certe cose rimanevano tra Combattenti, l'Istituto riceveva giustificazioni diverse come contentino per poter dare spiegazioni nel caso fossero richieste. Questa, almeno, era sempre stata l'opinione di Arael e ogni tanto gli sembrava che non fosse solo un suo sospetto.
Con un misto di sollievo e delusione le due ragazze sospirarono: sapevano che non avevano evitato i pensieri, ma almeno non avrebbero dovuto affrontarli quel giorno.
«Thal, visto che è così, ti andrebbe di andare a casa?» le chiese il fratello.
Lei annuì tentando di bere un altro sorso di tè. «Va bene. C'è una cosa che vorrei prendere», rispose riflettendoci.
Così i due Pint andarono a prepararsi. Thalika fu più veloce di Justin e tornò al piano di sotto senza aspettare il fratello. Lanik e Tanya stavano facendo un gioco stupido colpendosi le mani per vedere chi aveva i riflessi più pronti e ogni volta che si colpivano iniziavano a ridere e a prendersi in giro; Arael era in cucina, seduto al tavolo mentre coccolava il gatto, e fu proprio lì che andò Thalika.
«Tutto ok?» le chiese assorto nei suoi pensieri, quasi come se fare quella domanda fosse diventata una cosa automatica; Thalika si chiese se il ragazzo si fosse accorto che era lei o se avesse posto la domanda meccanicamente. Ma ovviamente non ebbe mai la risposta. Annuì sedendosi accanto a lui e iniziando a sua volta a coccolare Leo che faceva le fusa con beatitudine.
«Mi chiedevo… la lettera di ieri sera…» iniziò Thalika a bassa voce per non essere sentita dagli altri, titubante se riprendere fuori l’argomento o no e lanciando occhiate furtive ad Arael.  Al sentir nominare la lettera, l’attenzione del rosso fu catturata completamente. «Tu non hai proprio idea di chi possa avertela mandata?» gli chiese lei concludendo la domanda decidendo di rivolgere la sua attenzione al gatto.
Il ragazzo sospirò avvilito. «Ho provato a pensarci tutta la notte, ma non conosco nessuno che parli quel linguaggio», rispose. «E ammetto che mi fa strano che tu invece l’abbia quantomeno riconosciuto», le disse nella speranza che lei potesse dirgli qualcosa di più sulle sue conoscenze.
Thalika annuì pensierosa ripensando alle parole che aveva letto su quel foglio di carta. «Arael, sarebbe molto strano se ti chiedessi di prestarmela per ricopiarla?» gli chiese ignorando ciò che le aveva detto lui, rendendo vane le sue speranze di scoprire qualcosa di lei. 
Il ragazzo tentennò un po’ prima di rispondere: era strano eccome, però, in fondo, sperava che permettendole di copiarla avrebbe scoperto qualcosa di più su di lei. Non sapeva come o se fosse possibile, ma poteva concedersi un tentativo: in fondo lei era una Pint, la sua famiglia era forse la più importante del Cardinale… 
«Sarebbe strano, ma ti concedo di farlo», le rispose quindi. In fondo a sé stesso, il rosso sperava che la ragazza potesse risolvere quell'enigma apparentemente impossibile date le sue conoscenze, alleggerendolo almeno da quel peso.
«Grazie», rispose lei illuminandosi. 
La loro conversazione fu interrotta da Justin che li aveva raggiunti per chiamare la sorella.
«È un problema se andiamo più tardi? Mi gira un po’ la testa», rispose lei guardandolo dispiaciuta.
«Come mai? Stai di nuovo male come ieri sera?» le chiese: l’aveva davvero sconcertato vederla in quelle condizioni, soprattutto perché non era mai successo che si sentisse male da un momento all'altro.
«No. Però mi sento in ansia», mentì lei cercando di essere convincente.
«Vieni, ti va se andiamo nel mio studio? È un po’ più tranquillo lì», le propose Arael reggendo il gioco della ragazza.
«Va bene, grazie.»
«Tra un po’ mi dici come stai?» le chiese suo fratello preoccupato.
Lei annuì ingoiando un leggero senso di colpa: non gli era mai piaciuto mentire, men che meno a suo fratello. 
Insieme ad Arael, andò nello studio. Il rosso chiuse la porta e le diede la lettera, lei si sedette alla scrivania e prese un foglio bianco e una penna iniziando a scrivere quei caratteri che non erano propri della lingua comune, quella del Cardinale.
Arael rimase lì a supervisionarla: voleva fidarsi della ragazza, ma non ancora così tanto da permetterle di restare sola dove lui teneva tutti i documenti, ufficiali e non, dell’Istituto. 
Lei lo sapeva, e in un certo senso le fece anche piacere che lui restasse: dopo il collasso della sera prima aveva il timore che potesse ricapitarle in un momento in cui era sola.
Terminò di ricopiare la lettera e ridiede il foglio originale ad Arael. «Grazie», gli disse piegando il foglio copiato e mettendolo nella tasca dei pantaloncini.
«Spero per te che tu non stia nascondendo nulla di pericoloso», l’avvertì fermandola un momento.
«Non ne avrei motivo», disse lei seria senza aggiungere altro. Le girava un po' la testa, ma decise di dare la colpa alla postura che aveva tenuto per diversi minuti mentre ricopiava la lettera, era senz'ombra di dubbio quello il motivo. 
«Adesso vai da Justin: prima si è preoccupato molto», le disse Arael serio incrociando le braccia: capiva l'ansia di Justin perché lui stesso si ritrovava spesso nella stessa situazione.
Lei annuì; lo sapeva. 
Uscì dalla stanza e passando davanti alla cucina vide che Justin non c’era, così andò nel salotto e lo trovò lì insieme a Tanya e Lanik. Si era unito anche lui al gioco con le mani. 
«Oh, allora non siete spariti», disse Lanik ridacchiando senza dare impressione di volersi fermare.
Justin, invece, interruppe il gioco e si voltò verso Arael e Thalika. Lei stava sorridendo. «Stai meglio?» le chiese un po' più calmo.
«Sì, adesso sto bene», rispose tranquilla. «Scusa se ti ho fatto preoccupare», gli disse abbassando lo sguardo. 
Ad Arael faceva impressione la capacità di recitazione della ragazza: i Cacciatori imparavano a recitare grazie a delle esercitazioni, ma lei sembrava riuscirci naturalmente, nonostante dovesse aggiustare alcuni aspetti. Aveva sempre temuto, in un certo senso, le persone così e per un momento si chiese se avesse fatto la cosa giusta a lasciare che copiasse il messaggio.
«Non ti preoccupare. L'importante è che ora tu stia bene.» 
«Ti va se andiamo adesso a casa?» propose la ragazza spettinando il fratello solo per dargli fastidio.
Lui accettò la proposta e mise le scarpe. Lei bevve un po' d'acqua, in cucina, e poi raggiunse il fratello nel cortile. Insieme si avviarono verso casa loro, dapprima in silenzio e poi punzecchiandosi a vicenda. Justin non aveva paura di infastidire la sorella: sapeva che anche lei, in fondo, si divertiva. 
Quando arrivarono ebbero un tuffo al cuore alla vista della casa nonostante sapessero già che cosa si sarebbero trovati davanti. Si fermarono un momento davanti all'edificio cercando di restare calmi, era stata la loro casa fin da bambini e vederla distrutta fu destabilizzante: quell'edificio, che per anni era stato un posto sicuro, non lo era più.
Thalika, senza quasi rendersene conto, cercò la mano del fratello e la strinse in cerca di una rassicurazione; aveva sempre fatto di tutto per crescere e restare al passo di Justin, per non essere solo "la sua sorellina", ma in quel momento si sentì tanto piccola e disorientata che ringraziò di avere suo fratello di fianco.
«Entriamo?» le chiese lui con un filo di voce continuando a guardare la casa.
Lei annuì e iniziò a camminare verso la porta già aperta; Justin la seguì facendosi coraggio: gli metteva inquietudine vedere sua sorella così scossa: per lui, Thalika era sempre stata un punto di riferimento sicuro nonostante fosse più piccola.
Entrarono cautamente, attenti ad ogni rumore e quando constatarono che non ci fosse nessuno, si concessero di abbassare la guardia rilassandosi.
Insieme iniziarono a raccogliere i vetri sparsi sul pavimento del salotto e a radunarli in un angolo facendo attenzione a non tagliarsi; quando finirono con le schegge, iniziarono a raccogliere le foto che erano state fatte cadere sul pavimento, poi si spostarono in cucina, quella stanza era già stata riordinata, probabilmente, ipotizzarono, i loro genitori c'erano stati prima di loro.
«Thal, ti senti bene?» le domandò Justin vedendola appoggiarsi alla parete e chiudere gli occhi.
Lei annuì. «Mi gira la testa, ma sono solo stanca», gli disse tirandosi su e andando al piano di sopra prima che Justin potesse dirle altro o preoccuparsi di più. 
«Se ti gira troppo siediti un po'. Evitiamo di ripetere la storia di ieri sera», le disse seguendola velocemente.
Lei annuì senza dire niente. Si sentiva strana, ma dava la colpa alle emozioni provate nel rivedere la sua casa in quelle condizioni e alla stanchezza accumulata nei giorni precedenti. 
Il piano di sopra della casa era ancora in pessime condizioni ed entrambi si fermarono un momento ad osservare il disordine, poi Thalika fece un respiro profondo e iniziò a rimettere in ordine. Justin la affiancò per aiutarla. Rimisero al suo posto il mobile che era sempre stato nel corridoio, tra la stanza di Thalika e il bagno.
Entrambi sentirono un foglio cadere e Justin si chinò per raccoglierlo; era una fotografia che ritraeva la ragazza e suo fratello quando erano piccoli a cui lei non aveva mai dato troppo peso: era sempre stata nella cornice di legno sul mobile; eppure solo in quel momento notò che era stata strappata come per farla rientrare nella cornice.
«Justin, guarda», chiamò il fratello e gli mostrò la foto. 
«Oh! L'hai trovata! Meno male che non l'abbiamo persa: non abbiamo molte foto con lui.» 
«Sì, ma… guarda, è strappata», gli fece notare passando il dito lungo il lato strappato. 
«Quindi? Lo è sempre stata», replicò lui con un'alzata di spalle, senza capire cosa ci fosse di tanto strano.
«Perché strappare una fotografia?» 
«Non lo so… magari si è strappata per sbaglio. Perché ti preoccupa tanto?» chiese iniziando ad infastidirsi per le paranoie della sorella: non ci trovava niente di strano, non era la prima volta che una foto si strappava.
Gli spiegò, allora, della fotografia trovata a casa dei Cacciatori.
Justin sospirò e si massaggiò la fronte. «Sarà una coincidenza…» cercò di giustificare.
«Un po' strana, però…» continuò Thalika fissando l'immagine cercando di distinguere e ricordare quando fosse stata scattata. «Tu ti ricordi di questo giorno?» gli chiese corrugando la fronte.
Justin sospirò un'altra volta e decise di dare retta alla sorella: iniziò ad osservare con più attenzione l'immagine. Rifletté un momento sulla domanda della sorella e poi rispose: «No, in effetti non so neanche dove fossimo.» 
Thalika iniziò a mordersi il labbro cercando di pensare a che posto potesse essere, senza che le venisse in mente niente; era come se qualcosa nella sua mente fosse stato rimosso.
«Hey, ti sei incantata», le disse Justin schioccando le dita e facendola trasalire. 
«Sì, scusa», rispose con un filo di voce. 
Justin aveva iniziato a sentirsi a disagio per il comportamento della sorella che era sempre più strano ogni momento che passava. «Metti nello zaino la foto e continuiamo: mancano ancora le nostre camere», disse cercando di distrarla. 
Lei annuì e mise via la foto con cura per non rovinarla, poi entrò in camera sua. Era esattamente come l'aveva lasciata due notti precedenti con l'unica differenza che il comodino era spostato rispetto a come l'aveva lasciato lei. 
Un brivido freddo le percorse tutta la schiena e le braccia. Si inginocchiò sul pavimento per spostare il mobile e vide che la cavità in cui era nascosta la cassettina aveva dei solchi, simili a profondi graffi, che non c'erano mai stati. 
Sistemò il comodino e si spostò alla sua libreria. Tolse qualche libro lasciandolo sulla scrivania e prese dei diari nascosti dietro. Erano due, per la precisione, e mise anche quelli nello zaino, poi sistemò i suoi libri esattamente com'erano e passò all'armadio: fortunatamente c'erano ancora dei vestiti che non si erano rovinati con la distruzione della casa e poté prendere degli indumenti con cui cambiarsi nei giorni seguenti.
I suoi capogiri aumentarono notevolmente quando, spostando due felpe, fece cadere un bigliettino da una tasca. 
Lo prese dimenticandosi dei vestiti e lo aprì.
Non era scritto nella lingua comune, ma per qualche motivo capì il messaggio: "Era qui, ne sono sicuro. lo troverò. -K".
Thalika si sentì male, nascose velocemente il biglietto nella tasca dei pantaloni e cercò di raggiungere il fratello chiamandolo.
Lui, preoccupato, si voltò verso la porta pronto a chiederle se avesse bisogno, ma non fece in tempo poiché Thalika perse la forza nelle gambe e cadde sul pavimento in iperventilazione.
«Hey! Thal!» Justin si inginocchiò accanto a lei sdraiandola a pancia in su. «Cos'hai? Che cosa ti senti?»
Thalika ingoiò la saliva sforzandosi di parlare. «Non ne ho idea…» disse agitandosi. «Mi gira la testa. Non vedo niente.» 
«Riesci a capire quello che dico?»
La ragazza annuì sentendo i battiti accelerare man mano che i secondi passavano. Annuì di nuovo e chiuse gli occhi nella vana speranza che migliorasse qualcosa, continuando a fare dei respiri brevi e veloci.
«Ok, ascoltami. Prova a fare dei respiri profondi, più lenti», le disse sforzandosi di restare calmo per lei: sperava fosse solo un attacco di panico, com'era stato quella mattina, e che non fosse niente di grave come invece era stato la sera precedente.
Justin si alzò da terra per prendere il cuscino e metterlo sotto alla testa della sorella perché non si facesse male, ma nel momento in cui si allontanò, lei si spaventò di più.
«Sono qui, sono qui», disse tornandole accanto. «Alza la testa, ce la fai?» le chiese con calma accarezzadole la guancia con delicatezza.
Lei scosse la testa iniziando a tremare.
«Ti aiuto io. Ti metto sopra al cuscino.» 
«Ok», sussurrò lei lasciandosi aiutare. 
«Va meglio?» le chiese spostandole le ciocche di capelli da davanti al viso e liberandole il collo.
«Sì. Un po'», ammise.
Justin sorrise involontariamente per il sollievo e si sedette meglio dietro alla sua testa. «Dammi le mani, non stringere i pugni, altrimenti ti fai più male», le disse vedendo il sangue sporcarle di nuovo le dita: si era tolta le croste formate dopo essersi tagliata due giorni prima.
Thalika strinse le mani del fratello ascoltando il suo consiglio e lui iniziò a fare dei respiri profondi spronandola a imitarlo. 
«Ti va di dirmi cos'è successo? Come mai ti sei agitata tanto?» le chiese dolcemente.
Lei scosse la testa: non avrebbe detto a suo fratello dello scrigno, soprattutto sapendo che qualcuno lo stava cercando. «Non lo so.»
«È stato tornare qui?»
«Forse.»
«Adesso va un po' meglio?»
«Un po', ma mi gira ancora la testa e ho freddo», rispose Thalika continuando a tremare. Era estate perciò Justin pensò che fosse strano che avesse così freddo, ma non disse nulla decidendo di parlarne con Arael o con Lanik: erano Cacciatori, sperava ne sapessero di più. 
«Prova ad aprire gli occhi», le consigliò poi.
Lei lo ascoltò e dovette ammettere che aveva ragione: i capogiri migliorarono un po', anche se il freddo rimase.
«Vuoi una felpa? O una coperta?» chiese Justin vedendo la pelle d'oca sulle braccia della sorella.
Lei ridacchiò, si sforzò. «Mi sento stupida a usare una coperta a metà giugno.»
«Non sei stupida. Se hai freddo ti copri», le disse prendendo un panno leggero dal cassettone dell'armadio e coprendola.
«Grazie.»
«Prego», le disse accarezzandole la fronte.
Rimasero lì una mezz'ora abbondante e poi ad entrambi venne fame e decisero di tornare indietro: sarebbero arrivati giusto per l'ora di pranzo.
«Ce la fai a camminare?» domandò Justin a Thalika aiutandola a rimettersi in piedi.
«Sì, sto un po' meglio. Mi è anche venuto caldo», ridacchiò togliendosi la coperta.
Justin ripiegò il panno e lo mise al suo posto. «Meglio così.» 
Percorsero la strada del ritorno con molta più calma rispetto all'andata: Thalika stava meglio, certo, ma non volevano rischiare che stesse di nuovo male.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 12 ⏰

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