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"Sai", cominciò Mara, mettendole un braccio intorno alla spalla ed ingoiando un boccone di rusticino con salame e formaggio, "lo sai che noi siamo sempre preoccupate per te, per i tuoi sogni", disse guardando Tarim e Syor, la prima vicina a Mara e la seconda a braccetto con Yelena, che annuirono alle parole dell'amica.
"Ma il tuo tenebroso amico qualche volta serve a qualcosa in fin dei conti", concluse Mara, alzando l'ultimo pezzetto di rusticino che aveva in mano.
Yelena sorrise, consapevole che le sue amiche stessero solo cercando di tranquillizzarla, e qualche volta ci riuscivano.
Però lei aveva sempre l'impressione che lui fosse vicino, che il suo respiro le sfiorasse il collo.
Le capitava di girarsi di scatto, per finire col osservare il vuoto che lui avrebbe dovuto occupare. Nessuno la stava osservando.
Usciva dal convento e aveva paura di ritrovarselo davanti, anche se allo stesso tempo desiderava che il momento in cui l'avrebbe affrontato giungesse. Era stanca di rimanere al buio persino nei suoi sogni.
E nonostante ormai ci fosse abituata, quel giorno aveva un'aria persa, così distratta che persino i malati al Lazzaretto avevano notato che non era veramente presente quando parlavano con lei.
Continuava a scontrarsi con le altre persone in strada, come non le riuscisse a vedere, e il fatto che quel giorno le strade fossero particolarmente affollate non aiutava nessuno, neanche la donna che andò a sbattere contro Syor, rovesciando il cesto di frutta che aveva in mano.
"Mir Miseri, mi dispiace, oh... la mia frutta", esclamò la donna, scusandosi e chinandosi per raccogliere cio che le era caduto.
"E' anche colpa mia", ammise Syor, "lasci, la aiuto", disse, chinandosi anch'essa a raccogliere un'arancia vicino a lei.
Così le ragazze si misero ad aiutare le due per velocizzare il tutto, data la calca di gente che camminava e rendeva tutto più difficile.
La donna che stavano aiutando era minuta, dalla pelle olivastra, gli occhi verdi e le ciglia lunghe, indossava abiti lunghi e coprenti dai colori accesi, e i suoi capelli lisci e corvini erano raccolti in una bandana turchese.
"Grazie, non eravate obbligate", disse la donna a tutte dopo che l'ebbero porto l'ultima mela. Un dettaglio che Yelena notò quando le diede il frutto in mano fu un tatuaggio che iniziava dal dorso e probabilmente continuava per tutto il braccio, solo che la camicetta magenta che indossava aveva le maniche lunghe.
"Nessun problema, si figuri", le rispose Mara.
"Athe diadna", concluse la donna con un cenno del capo.
Le ragazze ricambiarono il gesto ed entrambe le parti si congedarono.
Non appena la sconosciuta riprese la sua strada, le orfane del convento si guardarono intorno per vedere dove fosse il resto del gruppo, insieme a Melke Hetyr.
Yelena iniziò a pulire la propria gonna dalla polvere della strada e, nel guardare a terra, si accorse che aveva calpestato qualcosa, così tolse il piede e raccolse quello che sembrava un fazzoletto: ricamato con filo blu e giallo ai bordi, le iniziati T. A. cucitevi all'angolo.
"Aspettate", forze con quel fazzoletto la donna doveva averci coperto la frutta, "credo che questo sia suo".
"Yelena, ormai se n'è andata, dobbiamo raggiungere le altre", le disse Tarim.
La ragazza guardò la folla, la camicetta magenta che si faceva sempre più largo tra la calca, poi guardò il fazzoletto sporco di polvere. Non le importava chi fosse T. A., ma quelle iniziali dovevano pur significare qualcosa per quella sconosciuta.
Se qualcuno avesse ritrovato il ciondolo di Yelena come lei ha fatto con quel fazzoletto, di certo avrebbe sperato nella sua restituzione.
"Voi andate avanti, vi raggiungo, o male che va ritorno al convento da sola, so la strada", disse con tono divertito.
"Yelena, lo sai che non ci è permesso andare in giro da sole, non vale la pena correrle dietro per un fazzoletto", la ammonì Syor.
Solo che Yelena non aveva intenzione di ascoltare le sorelle:" Nemmeno dovessi farmi a piedi la città da un capo all'altro, dai. Dite a Donna Hetyr che sono tornata al Lazzaretto perché ho dimenticato il mio libro delle preghiere. Non è andata lontano, prometto che sarò veloce come la tua spada quando ci esercitiamo", così concluse e, senza aspettare nemmeno una frase di protesta, si avviò nella direzione che aveva preso la sconosciuta.
Presto si ritrovò inghiottita dalla folla del mercato.
Essendo alta alzò la testa giusto quel poco per cercare di scorgere la bandana turchese, e ci riuscì: la donna era ad una decina di metri davanti a lei.
Solo che quei metri, nonostante fossero pochi, le sembrarono una distanza incredibilmente enorme grazie alla maggior parte della calca che la spingeva nella direzione opposta.
Yelena perciò continuò a farsi largo fra la folla chiedendo scusa ad ogni persona che superava in malo modo.
"Che i Misericordiosi vi benedicano!", le disse un vecchio dopo aver riconosciuto la sua veste.
Yelena si girò velocemente per capire a chi dovesse rispondere:" Ab Miseri vir braznast!", e quando tornò a seguire il suo obiettivo, notò che non riusciva più a vederlo tra la folla.
La sconosciuta sembrava essere scomparsa, almeno finché non le sembrò di scorgere di nuovo del colore magenta fra la folla. Vide la donna svoltare nel vicolo a destra del mercato, così Yelena si diresse lì più in fretta che poteva per non perderla nuovamente di vista.
Quando però entrò nel vicolo rimase immobile. Forse si era immaginata tutto, ma la sconosciuta era totalmente sparita. Yelena allora cercò di convincersi che la mente l'aveva ingannata.
Si rigirò e guardò l'uscita del vicolo, in cerca di qualche indizio, ma dovette ammettere a sé stessa che l'aveva persa. Guardò di nuovo il fazzoletto che aveva nel pugno della mano e si ripromise che se avesse incrociato di nuovo quella donna glielo avrebbe restituito.
Rassegnata, fece per uscire sulla strada principale, ma non fece in tempo che un braccio le avvolse i fianchi attirandola e una mano le tappò la bocca. Non poteva combattere, l'Ordine che serviva chiedeva discrezione sulle abilità militari delle sue occupanti, a meno che non le mettessero alle strette.
Aspettò e, non appena il suo rapitore la portò nel cortile di una delle palazzine disabitate, si dimenò e con poche mosse riuscì a liberarsi dalla presa del suo aggressore.
Appena si girò vide una donna vestita in una tenuta nera e aderente, un velo dello stesso colore le circondava gran parte del viso. Ma gli occhi  e il tatuaggio che si propagava dal dorso della mano alla spalla non mentivano: era la donna con il cesto della frutta.
"Chi sei?", domandò fulminea.
"Non ha importanza", la conosciuta le rispose con un tono di voce molto meno gentile di quello che aveva avuto prima con lei e le ragazze, era più ruvido.
Posizionata ad alcuni metri dall'uscita del cortile, Yelena comprese che la sua assalitrice non era intenzionata a lasciarla andare, doveva lottare e, data la notevole prestanza fisica della sconosciuta, capì anche che avrebbe dovuto contare più sulla sua agilità che sulla sua forza.
Con un movimento delle braccia, due pugnali spuntarono fuori dalle maniche del suo tri-jit.
La sua avversaria fu evidentemente sorpresa, ma si riprese subito e, passandosi le mani dietro la schiena, sfoderò anche lei due pugnali, uncinati.
Dapprima in posizione di combattimento, la donna si raddrizzò improvvisamente, come non avesse intenzione di lottare, mentre Yelena, confusa dal suo atteggiamento, rimase allerta.
La donna cominciò a camminare in modo circolare  verso Yelena, che indietreggiò allo stesso modo. Presto le due si ritrovarono agli altri due lati opposti del cortile della palazzina, l'uscita, ad un paio di metri da loro, ora era libera, in mezzo alle due donne.
"Non credevo le suore combattessero", disse ad un certo punto l'assalitrice.
"Io combatto per un bene superiore, tu invece? Chi servi? Non penso tu mi abbia attirata fin qui per una semplice rissa".
"Non è una rissa che cerco, hai ragione".
Yelena diede velocemente un'occhiata all'uscita: la tenda beige leggermente scostata dal vento.
Capendo che la donna non aveva veramente intenzione di lottare, si mossero di nuovo circolarmente e Yelena finì davanti al passaggio da cui erano entrate.
Si raddrizzò, abbassando i pugnali, i muscoli rilassati, come aveva fatto la sconosciuta poco fa.
"Bene, io devo andare a pregare, se non ti dispiace", disse con fare ironico, per poi voltarsi.
Ma non appena diresse il suo corpo verso l'uscita si ritrovò con il fiato mozzato dalla punta della lama che le avevano puntato improvvisamente al collo.
"Le preghiere possono aspettare", disse il ragazzo dalla carnagione bronzea che aveva incontrato per sbaglio quella stessa mattina.
Yelena allora strinse di nuovo i pugnali nei pugni, pronta a combattere.
"Non lo fare, nemmeno io cerco una rissa, voglio solo fare quattro chiacchiere".
La ragazza si ritrovò messa alle strette e, anche se aveva già sperimentato il duello contro due avversari durante l'addestramento, non poteva sapere se, nel caso fosse riuscita a scappare da i due assalitori, ce ne fossero altri fuori dal palazzo che la aspettavano. Era sola.
Decise allora di ritirare i pugnali nelle maniche del tri-jit, al che il suo interlocutore le rispose "Grazie", poi si avvicinò a lei con la parte centrale della lama ancora puntata alla sua gola.
Alzò una mano e la avvicinò al suo viso, sbottonando il lato sinistro del tri :" Preferisco parlare sapendo che volto ha il mio interlocutore", disse una volta che Yelena ebbe la faccia scoperta.
Lei rimase in silenzio: non aveva la minima idea di chi fosse o cosa volesse; gli guardò le mani che, nonostante fossero ruvide, erano di una carnagione troppo scura per essere quelle dello sconosciuto che tormentava i suoi sogni.
"Se non sei tu", pensò Yelena: "Chi sei?".
Il suo assalitore ignorò la domanda e glie ne fece una di rimando: "Dove hai preso quel ciondolo?".
Yelena non gradì il suo fare evasivo, così lo ripagò della stessa moneta: "Lo vuoi? Prenditelo".
"Dove l'hai preso?".
"Chi sei?", rispose lei, non era intenta a fornirgli risposte finché lui non avesse fatto lo stesso.
Il ragazzo sorrise, ma era evidentemente scocciato, forse era abituato ad ottenere subito delle risposte, ma con lei avrebbe sudato.
Non distoglieva mai lo sguardo da Yelena, la sua capacità di concentrazione era incredibile; doveva essere stato addestrato da qualcuno, e anche bene.
"Chiamami Kalal".
"Chi servi?", gli chiese ancora Yelena.
A quel punto lui emise un verso di dissenso e schioccò la lingua, scuotendo la testa: "No, no, io ho risposto alla tua domanda, ora tu rispondi alla mia".
"Era di mia madre... il ciondolo".
Il volto der ragazzo si illuminò, ma grazie al suo autocontrollo tornò ad avere un'espressione impassibile in pochi istanti.
"Vai a preparare i cavalli, ce ne andiamo, subito", disse Kalal alla sconosciuta della frutta.
"Io non vi servo più immagino", intuì Yelena dall'Ordine di Kalal.
Fece per muoversi ma lui si concentrò di nuovo su di lei, premendo leggermente più forte la lama sulla sua gola.
"Dove pensi di andare? Tu vieni con noi".
All'improvviso due pugnali comparvero ai lati del collo di Kalal, minacciando di infilzarlo con le punte affilate: "Non penso proprio", disse una voce femminile alle spalle del ragazzo, "allontana la lama dalla gola della ragazza", disse con tono serio.
Yelena era più che certa che fosse la voce di Melke Hetyr, solo che con la lama ancora al collo non poteva muovere più di tanto la testa per scorgerla.
Kalal non aveva intenzione di abbassare l'arma.
"Ragazzo, abbiamo la tua amica in custodia, giù la spada, siamo in maggioranza".
Yelena lo vide riflettere per un attimo, poi decise di fare come Melke Hetyr gli aveva ordinato: "Yelena, vai dalle tue sorelle", le ordinò con rimprovero.
Il ragazzo buttò la spada a terra e si voltò verso la sacerdotessa, che appena vide il suo volto si turbò. Yelena si mosse il più lentamente possibile per andarsene, così da poter sentire il loro discorso.
"Gli somigli sai?", esordì Hetyr.
Lui non rispose.
"Esatto, so chi sei. Io mantengo il tuo segreto se tu mantieni il mio, e ci lasci in pace".
"Se sapete chi sono allora siete consapevole che non posso".
"Io combatto per il bene superiore e non...", a quel punto Yelena aveva già sorpassato la tenda, non riuscendo più ad udire cosa stessero dicendo.

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