9-Dipende

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2015

La palestra era vuota, ci erano stati milioni di volte, quel posto lo conoscevano a memoria, ogni angolo, ogni oggetto, ogni piccolo particolare. Gli altri non erano più rientrati in palestra dopo l'ultimo allenamento, solo Hinata e Kageyama l'avevano fatto. Loro erano gli unici dell'ultimo anno che vivessero effettivamente per quello sport, gli unici che non avevano nemmeno pensato di andare all'università ma di concentrarsi solo sul loro futuro nella pallavolo.

Erano passati tre anni, tre lunghissimi anni trascorsi troppo velocemente. Tre anni in cui non avevano fatto altro che stare insieme dentro e fuori dal campo. Tre anni in cui erano diventati conoscenti, poi rivali, poi amici ed infine fidanzati. Dove avevano conosciuto tutto l'uno dell'altro, dov'erano diventati parte delle rispettive famiglie. Erano sempre e solo stati semplicemente Tobio e Shoyo, come avevano stabilito in passato.

Avevano deciso di rientrare in quella palestra in preda alla malinconia, dopo la cerimonia, con il diploma ancora in mano. Prima di riconsegnare le chiavi le avevano utilizzate di nuovo e con la divisa scolastica, palesemente troppo scomoda per giocare, Tobio aveva di nuovo alzato per Shoyo. Si erano messi a parlare, seduti su quel legno lucido e familiare, a ricordare qualsiasi istante di quei tre anni.
C'era solo una cosa che non si erano raccontati in tutto quel tempo, forse per paura.
«Tu cosa farai dopo il diploma?» Hinata era illuminato dalla luce fioca che entrava dalle finestre della palestra, con le luci lasciate spente.
«Entrerò in nazionale e andrò a giocare in V-League. Tu?»
«Io mi prenderò un anno sabbatico e dopo andrò a giocare a beach volley a Rio de Janeiro.»
«In Brasile?»
«Si.»
«È ...lontano. Perché?»
«Devo fare ancora un po' di strada prima di diventare un professionista, con la sabbia sotto sarà diverso e magari aiuterà.»
«Per quanto starai?»
«Due anni.»

Un ultimo anno prima che partisse. Trecentosessantacinque giorni prima di essere separati da migliaia di chilometri per il doppio del tempo. Settecentotrenta giorni, era tanto, troppo.
«Cosa ne pensi?»
«Mi mancherai.»
Kageyama accarezzò la superficie liscia della palla e poi guardò il compagno. «Ti faccio un'alzata?»
Shoyo accettò con una certa malinconia, quell'alzata era impregnata di malinconia. La loro ultima alzata del liceo, la loro ultima alzata per chissà quanto tempo. Ma non era l'ultima e basta, loro si sarebbero rincontrati, avrebbero giocato ancora insieme e contro. Tutto dipendeva dalla reazione chimica creata al loro incontro. Dipendeva dal gwaa che provavano ogni volta che giocavano insieme, dipendeva dall'orbita che aveva preso quel piccolo astronauta nel suo sistema solare, che ormai era totalmente diversa da quella dell'inizio.
Nel loro futuro, ampio e sconosciuto, c'era scritta una sola frase che sempre avrebbe cambiato le loro strade anche se di poco, perché da quello dipendevano le loro vite:
Kageyama Tobio e Hinata Shoyo erano destinati per stare insieme. Quell'alzata era il loro più grande gesto d'amore.

2016

A Tokyo gli aeroporti erano sempre gremiti di gente proveniente da tutto il mondo. Prima del gate erano di nuovo insieme, Hinata e Kageyama, per l'ultima volta dal vivo per un tempo non definito. Entrambi diciottenni verso un futuro ignoto ma allo stesso tempo già scritto: prima o poi avrebbero giocato di nuovo sullo stesso campo, con o senza una rete in mezzo. Si stringevano in mezzo alla folla, un ultimo abbraccio per riempirsi dell'odore dell'altro, un ultimo bacio per assaporarsi il più possibile e cercare di non dimenticare quel sapore.

«Tobio, anche tu mi mancherai» Shoyo aveva sentito le sue parole anche senza che lui l'avesse dette, perché ormai aveva imparato a capire anche il silenzio del suo ragazzo, comprendeva ogni singolo gesto fatto o rimasto nella sua mente.
«Sho...» Si sforzava a trattenere le lacrime, Tobio non piangeva quasi mai e non avrebbe pianto, "niente pianti fuori dal gate" si era detto.
«Non preoccuparti, ci saranno le olimpiadi quest'anno, riusciremo a vederci di nuovo dal vivo, poi ci chiameremo ogni giorno.» non sarebbe bastato, ma avrebbero sfruttato ogni minimo momento da poter passare insieme.
«Sho, volevo darti una cosa» Prese a frugare nella sua borsa, tirò fuori una maglia e la porse a Shoyo.
Il numero due al centro, i colori inconfondibili arancione e nero che avevano entrambi portato per tre anni.
«Tobio, io...» fecero un sorriso entrambi.
«Non mi serve più ora, no? Meglio che la tenga tu.»
Poi l'ultimo bacio prima di lasciarsi. L'ultimo vero abbraccio prima di salutarsi, entrambi a scuotere in alto le mani finché Shoyo non girò l'angolo.
Mentre Tobio se ne andava sentiva gli occhi pesanti, trattenere le lacrime era più difficile del previsto.

Kageyama non riusciva proprio a immaginarselo, il Brasile. Gli era sempre sembrato così lontano che non ci aveva nemmeno pensato, tanto che nemmeno con le immagini riusciva a immedesimarsi bene nel luogo.
Rio dalle immagini sembrava un posto bellissimo, doveva vederlo, l'avrebbe visto, per le olimpiadi e per Shoyo. Neanche quando si trovava sull'aereo riuscì a immaginarselo, come avrebbe potuto essere davvero?

Si fece venire in mente Shoyo, in quei mesi gli era mancato troppo, si sentiva come se mancasse un pezzo di sé. In effetti era vero: Shoyo era parte di lui. Se n'era reso conto all'aeroporto, lo amava più di quanto pensasse, con tutto il suo cuore, tutta la sua anima, tutto il suo corpo, con tutto sé stesso. Si domandò cosa volesse farne di loro il destino. Eppure, lui al destino non ci aveva mai creduto, si era sempre sudato tutto, aveva sempre sbattuto la testa contro i muri troppo bassi e inciampato contro ostacoli più insidiosi finché non capì come evitarli. Si era fatto vari pianti, in segreto, quando nessuno poteva vederlo, perché era pesante andare avanti. La vita era una corsa continua, non si fermava mai, gli ostacoli prima o poi sarebbero tornati. Quello era un momento pieno di ostacoli, ma la spalla su cui aveva sempre contato fino a quel momento era a diciottomila chilometri da lui. Tanti, pensava, troppi, aveva capito in realtà.

Cadde tra le braccia di Morfeo su quell'aereo intercontinentale che trasportava lui, la sua squadra e altri vari atleti che avrebbero rappresentato il Giappone a quelle olimpiadi. In quel caso era una vera e propria fortuna, far fronte al jet-lag era difficile anche a una settimana dal vero e proprio evento. Quel sonno era frastagliato di ricordi, immagini passate di lui e Shoyo. Momenti dei loro allenamenti, momenti insieme a casa dell'uno e dell'altro o al parco, quel parco dove andavano sempre, Tobio non sapeva se ci sarebbe mai ritornato.

Quando aprì gli occhi, alzò la tenda dal finestrino. La luce entrava da quel piccolo oblò ma bastava ad illuminare lo spazio che Tobio aveva riservato sull'aereo.
In mente cercava di ricostruire i capelli arancioni e l'odore fruttato che aveva Shoyo. Chiuse gli occhi e aspirò, per un momento gli parve quasi di sentirlo.

Poco dopo una voce in perfetto accento inglese avvisava i passeggeri che in poco tempo sarebbero atterrati Rio de Janeiro. Mentre si sistemava la cintura, Tobio si rese conto di avere le mani sudate, il cuore batteva più veloce: Shoyo sarebbe stato proprio lì ad aspettarlo, lo aveva promesso.
Ogni secondo in più senza vederlo passava come un'ora. Quando sarebbe atterrato? Quando l'avrebbe visto?

Tobio, fortunatamente, con la sua divisa rossa si sarebbe notato facilmente nell'aeroporto. Lo cercò fuori dal gate, in quel posto era internazionale, soprattutto in vista dell'evento sportivo più importante di quell'anno. Un braccio sputò dalla folla cominciando a muoversi freneticamente, attirò lo sguardo di Kageyama che noto quei capelli rossi che si scorgevano un po', i suoi. Tobio avanzò passando vicino alle tante persone presenti. Poi tornò a stingerlo dopo tre mesi, il tempo più lungo in cui erano stati distanti da quando si erano trovati nella stessa squadra al liceo. Neanche una parola, solo il contato tra loro due, le braccia strette che non volevano lasciarsi.
«Sho-» provò a dire Tobio appena allentarono la presa, ma l'altro lo baciò prima che potesse finire il suo nome.
«Mi sei mancato tantissimo» Shoyo teneva entrambe le mani attorno al viso di Tobio. Entrambi erano pieni di tristezza e felicità allo stesso tempo.
«Anche tu mi sei mancato.» Si prese tempo per scrutarlo, notare ogni suo piccolo cambiamento. A partire da quelli estetici come l'abbronzatura che era spuntata dopo le ore a giocare sotto il sole, o quelli più impercettibili come il suo odore, che ora era quello della salsedine.

Quella stessa sera, Tobio era andato sulla spiaggia insieme a Shoyo, non sarebbe riuscito a dormire neanche volendo; quindi, aveva accettato la proposta del suo compagno di vedere un po' il posto. Avevano entrambi mangiato dei pastéis e ora si abbracciavano sulla spiaggia di quella città che sembrava voler restare sveglia. Sedersi sulla sabbia con il buio della notte era piacevole, era molto fresca rispetto alla temperatura di luglio.

Tobio osservava del suo compagno in controluce, si notavano molto i muscoli che aveva messo in quei mesi. Sorrideva, ora finalmente poteva farlo davvero, avrebbe voluto dirli tantissime cose, come il fatto che adorasse quell'abbronzatura o che stesse benissimo con la massa che aveva messo. Ma non disse niente, si limitò a baciarlo, perché Shoyo in realtà l'aveva già capito.

Ecco a voi il nuovo capito!
Come vi avevo anticipato questi ultimi capitoli saranno incentrati sul timeskip. Spero vi piacciano.
Stavo pensando, solo io preferisco di gran lunga il timeskip? Per me è l'arco narrativo più bello. Qual è il vostro arco narrativo preferito di haikyuu?

Non dimenticatevi di votare e di lasciare un commento!

-J

Dipende [KageHina]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora