Prologo

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Thame, Oxfordshire

1760

Elinor Bates tirò un altro calcio all'anta dell'armadio in cui era rinchiusa. Sentì una resistenza; le parve di avvertire una forza che le spingeva contro.

«FATEMI USCIRE!» gridò, con tutta l'aria che le era rimasta nei polmoni. La sua gola bruciò, ma lei rispose al dolore con un altro battito della mano. Anche quella doleva: non aveva fatto altro che martellare la superficie indifferente del mobile. Dovette riprendere fiato. Fu in quel silenzio che la sentì urlare. Ancora.

La sua sorella maggiore. Lei, che l'aveva sempre protetta, e le aveva detto di scappare dalle cucine quando aveva visto chi si avvicinava a cavallo.

«È lui», aveva detto, prima di prenderla per le spalle. «È venuto con i suoi fratelli. Non credo... non credo di poterlo respingere, questa volta.»

Tessa le aveva ravviato un ciuffo di capelli. Aveva tentato un sorriso, uno dei suoi: le sue labbra che si incurvava, stanche, e i suoi occhi che rimanevano intoccati, tra piccole rughe premature. Elinor aveva sempre colto la bugia che sua sorella nascondeva nei suoi sorrisi, eppure, ne era comunque rassicurata. Sapeva che sua sorella, rimasta sola a crescerla, era invecchiata in fretta. E che in quella vita avere qualcuno che fosse disposto a sorriderti mentre il mondo bruciava era molto di più di quanto avessero tanti altri. Era qualcosa di speciale.

Ma Elinor non le aveva obbedito.

La curiosità aveva preso il sopravvento: da troppo tempo, ormai, Tessa le nascondeva qualcosa, qualcosa che aveva a che fare con un ragazzo. Qualcuno di ricco e importante, se si dava adito ai sussurri delle loro vicine. Tessa negava, all'inizio, e lo faceva con un brillio negli occhi e le guance rosse; nelle ultime settimane, tuttavia, aveva iniziato a mordersi il labbro, a farsi schiva, e a contare i pochi scellini che avevano da parte tutte le notti. Elinor l'aveva vista. Le aveva fatto mille domande a cui Tessa non aveva saputo rispondere, se non con menzogne.

Non si mentivano mai a vicenda: quello era un patto sacro tra di loro. E quando erano arrivati quei tre giovani a cavallo, che lei era riuscita soltanto a intravedere dalla porta (non era ancora abbastanza alta per arrivare alla loro unica finestrella sulla strada), Elinor aveva desiderato una risposta più di quanto aveva voluto mostrarsi obbediente a sua sorella.

Aveva finto di andare nelle cucine, ma poi era tornata indietro, accucciandosi dietro il cesto delle fave vicino alla sedia a dondolo. A otto anni, era abbastanza minuta da nascondersi lì dietro senza essere vista. Aveva spiato Tessa allungare una mano verso l'attizzatoio, ma poi ritirarla. Si era sistemata la cuffietta ed era andata ad aprire. Ma la porta si era spalancata prima che lei potesse avvicinarsi.

«Milord», aveva detto Tessa, con un inchino. Dal suo nascondiglio, Elinor aveva strabuzzato gli occhi: i due ragazzi che erano entrati avevano vestiti di seta, cappelli costosi, ciocche acconciate in boccoli ai lati della testa. Elinor era stata troppo assorta dalla ricchezza dei loro abiti per guardarli in volto, ma aveva comunque sentito il più alto parlare.

«L'ultima volta sei sembrata un po' riluttante», aveva detto, sfilandosi i guanti da cavalcata. Superava Tessa in altezza di qualche centimetro, e parlava con l'autorità di un uomo molto più anziano, anche se doveva avere l'età di Tessa. «Ti avevo detto che non potevo tollerarlo. Ho pensato quindi di farti visita con i miei fratelli, dal momento che la catapecchia in cui vivi si trova sul mio terreno. Sai che potrei sfrattarti per un qualunque capriccio, non è vero?»

«Pago l'affitto al signore vostro padre», aveva risposto Tessa. Elinor era troppo tesa, troppo preoccupata dal modo in cui Tessa stava indietreggiando - lei, la sua sorella maggiore, che non aveva mai avuto paura di niente - per accorgersi che quel giovane ben vestito aveva parlato di fratelli al plurale, mentre solo uno era con lui. 

«Lord Devon non mi sfratterebbe per un capriccio, signore. È un brav'uomo.»

Era risuonato uno schiocco, così rapido che Elinor lo aveva capito solo in ritardo: il signorotto aveva schiaffeggiato sua sorella.

«Non sarà una lavandaia a dare opinioni su mio padre. Dovresti ricordarti del tuo posto. In effetti, sono qui proprio per questo.»

Si era tolto il soprabito, e intanto si era portato una mano alla cintola. 

«Chinati su quel tavolo. È ora che tu impari chi comanda.»

Tessa non si era mossa, ed Elinor l'aveva ammirata: non sapeva che cosa volesse il signore, ma lei non avrebbe mai avuto il coraggio di disobbedire a qualcuno che era tanto più importante di lei. Invece, Tessa era indietreggiata fino al camino. Dal suo nascondiglio, Elinor l'aveva vista far sfilare la mano verso l'attizzatoio.

«Hai una sorella, se non sbaglio?» aveva continuato il ragazzo. «Sarà grande abbastanza per i miei fratelli. Magari per Atticus.  Perché non la vai a prendere, Therese? Portamela qui, e giudicherò io stesso.»

Tessa non si era mossa. Aveva solo afferrato l'attizzatoio dietro la schiena. Era stato allora che il ragazzo aveva tirato fuori qualcosa dalla cintola.

Una pistola. 

«Devo ripetermi?»

Il click con cui si caricava il cane dell'arma era stato l'ultimo rumore prima che Elinor gridasse, o almeno, che cercasse di farlo. Proprio in quell'istante, una mano le si era premuta sulla bocca, da dietro.

«Non parlare. Non parlare, o ti sentirà.»

Elinor aveva tirato calci e pugni mentre veniva trascinata via. Era stata sbattuta in un armadio in cucina senza avere il tempo di vedere in faccia il suo assalitore. Poi, dal salotto, sua sorella aveva iniziato a gridare.

Era stata presa dall'angoscia. Aveva urlato e tirato calci e battuto le mani sull'interno dell'anta fino a farsi male. Aveva pianto finché il buio intorno a lei non era diventato liquido. Aveva pregato il ragazzo che la teneva chiusa nell'armadio, vedendo soltanto un frammento della sua manica, e le pietruzze rosse che la chiudevano, mentre lui stendeva il braccio e la teneva lontana da ciò che stava accadendo in salotto.

Lo aveva maledetto, rabbrividendo a ogni urlo di sua sorella, a ogni risata crudele che proveniva dall'altra stanza. Era ancora troppo piccola per rendersi conto che senza di lui, lei avrebbe fatto la stessa fine.

Lily of the Valley - Amore e VendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora