Capitolo 2

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La temperatura si era abbassata, ma non in maniera netta e di colpo come succedeva in America. Se ne rese conto quando non le si accaponò la pelle, quando non le dispiacque la brezza che le accarezzava il viso e quando la luna assieme alle stelle coronavano la sera. Non c'erano rimorsi assordanti, clacson delle automobili, tram, treni, traffico. Si udivano i rumori di gufi, civette, animali notturni che cullavano la sua testa che non sentiva più la voglia di pensare. Non voleva, pensare: faceva male, sebbene fosse nata e cresciuta con il mondo allo sfascio.

Poteva odiare l'unica realtà che conosceva? Poteva amare qualcosa che aveva appena visto?

Pensare: no, non voleva farlo. Solo che, azzerando la sua ragione, il suo cervello, abbassava la guardia.

La sua corporatura si era rilassata a contatto con il letto piacevolmente comodo e soffice. Le lenzuola di seta erano profumate, sottili quanto bastava in caso avesse sentito il bisogno di coprirsi la notte ma senza sudare al mattino.

Si stava lasciando assopire piano piano, nonostante tentasse in tutti i modi di non abbandonarsi al sonno.

Ma il viaggio era stato lungo, tormentato, preoccupante e lei era stara vigile per troppo tempo. Nauseante, sottosopra da scomporla e da farle chiedere se sarebbe arrivata a domani in quello stato.

E ora, ora avrebbe potuto lasciarsi andare. Perché non aveva qualcuno da cui tornare a casa, solo la mera speranza di poter essere d'aiuto alle ricerche. Perché conosceva l'espressione di chi era crudele, spietato, e il signor Moore non corrispondeva a quella descrizione.

Era al sicuro per la prima volta nella sua vita e le faceva paura.

Non era quel tipo di paura che incatenava la vittima, che le impediva di muoversi. Era un terrore diverso, una paura che si vestiva d'amica. Un volto familiare che immaginava essere quello della madre che le diceva: "Adesso puoi smettere di lottare."

Lo desiderava, dormire, sognare i monti, il mare, il sole, persino la pioggia non acida.

Ma troppo vicino, a respirare la stessa aria, c'era un ragazzo di cui conosceva a malapena il nome e la nazionalità. Non avrebbe voluto mostrargli la sua vulnerabilità.
Non adesso, non così presto, non ad uno sconosciuto.

Aaron dormiva tranquillo, come se niente potesse toccarlo. Immaginò potesse essere così, vivere davvero.

Poi, non riuscì più a resistere al terpore, al silenzio, alla necessità di chiudere gli occhi anche solo per qualche minuto.

Buio. All'improvviso, caldo. Il caldo che appicicava i vestiti, che voleva rimuovere gli abiti di dosso e pure la pelle, caldo che faceva impazzire e scaldare gli animi. La natura davanti a lei, vasta, verde più che mai. I fiori, le api, le vespe, gli animali. Gli alberi alti, nidi di volatili, scoiattoli che si arrampicavano.

Era uno spettacolo. Era meraviglioso.

Freddo. Freddo da bloccarla. I piedi ancorati al suolo che volevano portarla con sè. Muschio, fango, acqua. Acqua che bruciava come quella di New York. Ma non era la sua America, era l'Inghilterra.

I suoi denti battevano per il clima, aveva smesso di lottare. Si era arresa.

"Adesso puoi smettere di lottare". Non era più la voce di sua madre, ma una metallica, neutrale, che il suo orecchio non potè identificare.

"Adesso puoi smettere di lottare, Ava."

Si svegliò di soprassalto. Il cuore a mille, la faccia arrossata, il nodo alla gola da non voler scoprire se possedesse ancora il dono della parola.

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