Parte 10 - Di dolore e di amore

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Se qualcuno qualche tempo fa mi avesse detto che mi sarei ritrovata in un piovoso giorno di settembre nella sala d'attesa del carcere di Poggioreale insieme a Carmine Di Salvo e Ciro Ricci, pronta per incontrare Lucio Di Salvo, il grande amore di mia madre, suo presunto amante e padre biologico di mio fratello mi sarei fatta una grassa risata e l'avrei preso per pazzo.

E invece eccomi qui, seduta su una vecchia seggiola di plastica traballante con un bicchiere di caffè annacquato in mano, mentre muovo freneticamente il ginocchio su e giù in preda all'agitazione.

Non saprei dire se la situazione sia più assurda o più disperata e ho perso il conto delle cose che potrebbero andare storte...

Lancio un'occhiata di sbieco a mio fratello, appoggiato contro la parete con le braccia incrociate e lo sguardo basso sotto la visiera del cappello. Anche se i capelli sono più lunghi e la barba incolta riesco ancora a riconoscerlo nonostante il travestimento che ha adottato, ma cerco di convincermi che è perché conosco la sua fisionomia quasi meglio della mia. Le guardie gli passano accanto come se niente fosse ma ogni volta che qualcuno alza distrattamente lo sguardo su di lui mi sento lo stesso tremare il cuore per la paura.

È stata davvero una pessima idea, far venire qui anche lui. Troppo rischioso. Se qualcuno dovesse riconoscerlo, passerebbe dei guai seri. Sia Donna Wanda che Maria hanno provato a farlo desistere, cercando di convincerlo a far venire solo Carmine e me a colloquio, ma lui non ha voluto sentire ragioni.

Osservo sull'attenti una coppia di guardie che si avvicinano a mio fratello e quasi svengo quando sembrano volersi fermare proprio davanti a lui; poi però mi rendo conto che vogliono semplicemente prendersi il caffè alle macchinette vicino a dove lui è appoggiato.

Mi lascio scappare un sospiro di sollievo, mentre tento di calmare i battiti forsennati del mio cuore.

Un tocco caldo e morbido attira la mia attenzione e mi costringe a distogliere gli occhi da mio fratello; una mano si posa con decisione sul mio ginocchio, fermando il suo saltellare frenetico.

Alzo lo sguardo e incontro quello di Carmine.

Duro. Splendente. E preoccupato.

Lui allunga l'altra mano verso di me per togliermi le dita dalla bocca, ormai sanguinanti per tutte le pellicine che mi sto strappando con i denti.

"Frniscl, uarde che staij combinando...", sussurra, prendendo le mie dita e incrociandole nelle sue.

Mi mordo le labbra "Quanto ce vorrà, ancora?".

"Mo ce fanne trasì, staij quieta...".

Come in risposta alle sue parole, improvvisamente la porta della sala colloqui si spalanca e una guardia ci fa cenno di entrare. Carmine ed io ci alziamo di scatto ma è Ciro il primo a muoversi e ad avvicinarsi al poliziotto, che gli sussurra qualcosa all'orecchio. Lui annuisce, sempre con lo sguardo fisso sul pavimento e capisco che deve essere il contatto di Donna Wanda.

Carmine tiene la mia mano stretta nella sua anche quando entriamo nella stanza e lo ringrazio mentalmente perché non so se mi conviene fare troppo affidamento solo sulle mie gambe che tremano.

La sala colloqui di Poggioreale è diversa da quella dell'IPM: c'è un corridoio lungo e tutta una serie di postazioni con il pannello di vetro e i telefoni; noi però non ci fermiamo qui, ma avanziamo lentamente per tutta la lunghezza fino ad arrivare ad un'altra stanza, un po' più piccola. Non ci sono pannelli di vetro ma solo un tavolo con delle sedie. Il poliziotto dice qualcosa ad un'altra guarda, che annuisce e sparisce dietro un'altra porta, poi ci fa cenno di sederci.

Nessuno di noi tre, però, si muove. Rimaniamo tutti in piedi, Ciro un po' più avanti rispetto a Carmine e me. Quest'ultimo mi stringe la mano con più forza e mi lancia un'occhiata che vuole essere rassicurante ma che non riesce del tutto a nascondere la preoccupazione. Poi i suoi occhi saettano verso Ciro.

I mostri che ci portiamo dentro - Parte IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora