CAPITOLO 7

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Mi aggiravo per casa in pigiama, con i capelli unti, bisognosi di una doccia. Feci colazione con mia madre in cucina.

Intinsi nel tè i miei biscotti preferiti. Fuori era una vera e propria giornata autunnale, con il cielo grigio e una lieve pioggerella. Adoravo l'autunno. Era il periodo in cui il mondo sembrava apprestarsi a finire. E poi in autunno gli odori erano tutti più umidi.

Sgranocchiavo i miei biscotti mentre mia madre decideva di fare una torta. Era tutto così delizioso. Mi sembrava di essere tornata bambina. Non mi andava proprio di uscire quel pomeriggio. Volevo starmene tranquilla a casa mia, così quando Tristan mi telefonò per sapere a che ora venire a prendermi per andare al cinema, finsi di stare male.

«Che hai?» mi domandò ansioso.

«Ho mal di stomaco» gli risposi semplicemente.

«Potrei venire lì a farti compagnia» propose.

Mi gelai all'istante: «Tristan, non mi sembra il caso. Ho bisogno di riposare. Non voglio che tu mi veda in questo stato».

«Per me sei sempre bellissima, lo sai».

«Sei molto carino, ma preferisco restare da sola. Vai pure al cinema con tua sorella e divertitevi. Poi mi racconterai il film».

Il mio tono di voce era calmo e zuccheroso. Cercavo di tranquillizzarlo e di scrollarmelo di dosso con gentilezza per non offenderlo.

Ci riuscii, ma capii subito che Tristan era profondamente deluso. Era il ragazzo più appiccicoso che avessi mai conosciuto. Mi ricordava il gatto di mia nonna che si strusciava sulle sue caviglie ogni volta che lei si alzava per preparargli da mangiare. Avevo sempre guardato mia nonna trafficare con la ciotola sul tavolo mentre ai suoi piedi il gatto faceva le fusa e si strusciava. Allora lei, infastidita da tutte quelle moine, gli assestava una pedata colossale facendolo volare dall'altra parte della cucina, e il gatto, totalmente indifferente, tornava di nuovo a strusciarsi tra le sue gambe. Era strano che non provassi compassione per quel gatto ma solo fastidio. Odiavo il suo patetico bisogno di tornare a strusciarsi nonostante le pedate. Non aveva dignità, era solo un ruffiano. Voleva solo la ciotola per soddisfare un bisogno, non amava mia nonna.

Esattamente come Tristan. Voleva solo avere la ragazza, ma non era innamorato davvero, e allora io lo prendevo a calci perché m'infastidiva la sua presenza, e più lo colpivo più lui tornava da me.

«Riprenditi, tesoro. Ti amo» disse Tristan.

«Anch'io» risposi a stento, come se qualcuno mi avesse appena costretto a dirlo puntandomi una pistola alla tempia.

Chiusi la comunicazione e gettai il cellulare sul letto. Ero riuscita a liberarmene, finalmente. Almeno per quel giorno.

Pranzai con i miei genitori. Fuori dalle finestre la nebbia era così fitta da coprire ogni cosa. Era fitta e luminosa, metteva sonnolenza.

Nel pomeriggio, mentre mia madre infornava la torta, io agguantai il mio portatile, mi sedetti comodamente alla scrivania, e feci una capatina al social per vedere chi fosse online. Trovai subito Ethan e ci salutammo allegramente. Chattai un po' con lui nell'attesa che comparisse Lester.

Invece spuntò Simon:

Simon: Buongiorno, bimba.

Sally: Ciao.

Simon: Che ci fai online? Una bella ragazza come te dovrebbe essere fuori a divertirsi.

Sally: Ho dato buca al mio ragazzo. Preferivo stare a casa.

Simon: Brutto segno. Avete litigato?

Sally: Più o meno, ma non mi va di parlarne. Parliamo di qualcosa di più piacevole.

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