Storia di una professoressa bruttina e della ragazza che se ne innamorò

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Lei era la prof di filosofia del liceo linguistico che frequentai solo il 1° anno, dopodiché capendo che i miei interessi andavano oltre l'apprendere lingue straniere, fu lei stessa a suggerirmi di iscrivermi al liceo classico, e specificamente in un istituto dove aveva insegnato anni prima.

Sulla trentina, magra come un chiodo, occhiali spessi, una cascata di riccioli corvini che le ornavano il viso fino alle spalle. I miei compagni maschi l'avevano soprannominata "legno" suscitando i risolini stupidi delle mie compagne. Già verso aprile era frequente vederla arrivare in sandali, e io rimanevo come ipnotizzata nel guardarle i piedi ogni volta che passeggiava tra i nostri banchi, o quando stava appoggiata alla cattedra. Era innamorata della materia che insegnava, e per me era davvero una sofferenza vederla seminare perle ad una classe di capre. Glielo scrissi in un bigliettino anonimo che le feci scivolare nella giacca che aveva l'abitudine di appoggiare alla sua sedia: "la tua passione qui è sprecata. TVB ".

Alla fine di quella lezione, che era l'ultima ora della giornata squillò la campanella, ognuno di noi pronto a scattare fuori, quando lei mi chiese di restare un minuto per parlarmi. Mi si gelò il sangue. Con un'espressione seria mi mostrò quel bigliettino dicendomi di aver riconosciuto la mia calligrafia.

Non potei che ammettere di averlo scritto io. Mi sorrise e mi ringraziò, e ci tenne a sottolineare che non c'è nulla di più bello e soddisfacente per un insegnante: "cercare di piantare germogli anche sui terreni più aridi e sassosi, e siccome ti voglio bene anche io Valeria, il mio consiglio è cambiare scuola, tu hai l'amore per l'umanistica quindi sai già dove vorrei che studiassi dal prossimo anno. Perderò una delle mie studentesse migliori ma sarò felice di saperla nel posto giusto." 

Si chiamava Elvira e l'avrei rivista sei anni dopo, quando ormai ero al primo anno di università. Era una mattina di maggio, di quelle che a Genova se non si hanno impegni sono un richiamo irresistibile verso qualche scogliera del levante cittadino, così dalla zona popolare in cui vivevo inforcai lo scooter  diretta a Nervi, uno dei miei posti preferiti. Una volta arrivata in Passeggiata Anita Garibaldi scavalcai la piccola ringhiera e scesi lungo la scogliera trovando un bel posto al riparo da occhi estranei. Mi accorsi però di una donna; era ad una decina di metri da me e prendeva il sole a seno nudo. Stesi il mio stuoino e mi liberai dei vestiti restando in topless. Decisi poi di farmi una nuotata, ma in realtà fu per osservarla da vicino visto che prendeva il sole su uno scoglio quasi a pelo dell'acqua. Appena sentì il mio rumore in acqua sollevò la testa,  facendomi un cenno di saluto, e solo in quel momento notai che il suo viso mi era familiare. Detti due bracciate per avvicinarmi e guardarla meglio e la riconobbi. 

"Professoressa ma è lei? Sono Valeria DB" , le si illuminò il viso in un sorriso meraviglioso. 

"Valeria ma certo, dai porta la tua roba qui" 

Senza farmelo ripetere due volte raggiunsi il mio angolo, presi l'asciugamano, la borsa e andai a sedermi accanto a lei. Era la prima volta che la vedevo senza occhiali, ma soprattutto fu la prima volta che la vidi  a seno nudo: piccolo e con due capezzoli ritti come chiodini. Cercai a fatica di non indugiare sui dettagli del suo corpo ma notai che lei non risparmiava occhiate al mio.

"Ma che bello rivederti Vale, come vanno i tuoi studi? Voglio sperare che tu abbia seguito i miei consigli".

"Assolutamente prof, per filo e per segno, dopo aver lasciato lei..cioè..il linguistico dove insegnava mi sono iscritta al liceo classico che lei stessa mi ha indicato, e adesso sono al 1° anno di lettere all'università. 

"Mi sorrise soddisfatta e si ridistese al sole senza aggiungere altro. Socchiuse gli occhi senza spegnere quel sorriso meraviglioso ed io rimasi imbambolata a guardarla; dagli slip del costume potevo intravvedere il ciuffo dei suoi peli pubici...e poi tornai a guardarle dopo anni i suoi piedi, quelle sue estremità su cui fin da ragazzina avevo sempre sognato di posare le labbra, e che ora erano lì che li avrei perfino potuti toccare, o magari anche solo sfiorare. Ad un tratto aprì gli occhi e mi gelò.

Valeria e le altreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora