Mi sono perso

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Un gufo si era accovacciato su un ramo e lo stava guardando.

I suoi grandi occhi gialli si erano posati su Oliver, che continuava a vagare senza una meta.

Più avanzava, più la boscaglia si faceva fitta.

Iniziava ad avvertire la pesantezza delle palpebre e delle gambe dalle ginocchia sbucciate, che erano la conseguenza di tutti gli spintoni che aveva ricevuto dai compagni l'ultimo giorno di scuola.

<<Poveraccio, se hai bisogno dei cerotti te li compriamo noi>>, avevano detto ridendo, e poi se ne erano andati ridacchiando.

Oliver sapeva che quello che possedeva non era molto, ma era così poco da renderlo felice.

Viveva in una casetta di legno con i suoi genitori, una delle più umili, e questo gli bastava.

Era molto bravo a scuola, così tanto da far preoccupare le maestre per quanto fosse intelligente, anche se avrebbe dovuto essere più partecipe secondo loro.

Ma a Oliver piaceva dare sé stesso agli altri un poco alla volta, perché il "poco" che conosciamo noi in realtà è tantissimo, più dell'universo e delle stelle.

Basta saper osservare ed essere pazienti e altruisti.

Anche i bulli prima o poi si sarebbero resi conto delle loro azioni, e avrebbero capito che uno sputo e uno spintone non sono cose da poco.

Ma fanno tanto male.

Continuava ad avanzare, ignaro del sentiero che stesse percorrendo e della meta che doveva raggiungere.

Aveva più volte alzato gli occhi al cielo per vedere se la slitta fosse volata sopra la sua testa, ma lui era molto piccolo e gli alberi erano altissimi, e gli sembrava che i rami accarezzassero il cielo.

Quella notte le stelle brillavano di una luce così intensa da far credere che Babbo Natale avesse lasciato una scia luminosa che si era sparsa in tutto l'universo.

L'unica cosa che lo portava a credere nell'esistenza di Babbo Natale era ciò che era avvenuto qualche settimana prima, quando aveva scritto la lettera da indirizzargli.

Il giorno dopo era sparita, e la mamma e il papà avevano giurato di non saperne niente.

Ma il fatto che quella notte non si fosse ancora presentato lo lasciava perplesso.

All'improvviso la luce della lanterna si affievolì.

Due lucciole se ne stavano in disparte, e la luce che producevano si accendeva e si spegneva.

Oliver guardò attentamente: gli insetti stavano morendo.

Per evitare che accadesse le liberò.

<<Vi chiedo scusa.

Adesso siete libere>>.

Trattenne le lacrime, ma in fondo non voleva che le lucciole morissero.

La terza, quella che aveva fatto fatica ad acchiappare, si posò sul suo naso piccolo e dritto.

La sua luce tornò definitivamente e poi si levò in volo e scomparve, nel bel mezzo della foresta.

Si accorse che per colpa dell'entusiasmo che lo aveva sommerso sin da quando la mamma gli aveva raccontato dell'omone proveniente dal polo nord, era giunto ad un punto di non ritorno.

Gli alberi e la loro posizione erano tutti uguali, e più camminava, più gli sembrava di tornare sempre allo stesso punto.

L'inizio del sentiero che lo avrebbe portato al punto di partenza era scomparso; aveva promesso a sé stesso che non si sarebbe allontanato troppo, ma la foresta lo aveva inghiottito.

Tra i rami e alcuni cespugli si udirono dei passi, veloci, fulminei, che parevano quelli di una lepre.

Iniziò a ripensare alle leggende, alle creature misteriose e a quell'uomo che tutti dipingevano come una sorta di demone che si occupasse di spedire le anime all'inferno.

E se quelle dicerie fossero vere?

Lui, così buono e dall'animo limpido, che era sempre stato capace di scovare la bontà negli animi delle persone, adesso aveva paura.

Il suo essere bambino e la sua eccessiva curiosità lo avevano portato nel cuore della foresta, senza sapere come e quando ritornare al villaggio.

Si portò le ginocchia al volto e, tremolante, liberò anche l'ultima lucciola della lanterna.

La sua luce tornò a splendere e volò via.

Il suo debole pianto si perse tra gli arbusti e la folta vegetazione.

<<Mi sono perso>> ammise infine.



l'uomo delle farfalleWhere stories live. Discover now