𝐈

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𝑻𝒚𝒍𝒆𝒓

«Who cares if one more light goes out
In the sky of a million stars?»
ーLinkin Park, One More Light


   Da quel giorno non sarei mai stato così lontano da Lizzy per un lungo periodo. Sin dal giorno del nostro matrimonio avevamo fatto qualsiasi cosa insieme, come – ovviamente farebbe qualsiasi coppia sposata – un semplice viaggio, ma questa volta era diverso.
   Tornare a casa dei miei a Willits sarebbe stato più che altro una pausa da tutto ciò che mi tormentava a Seattle, a partire dal lavoro. D’altronde, Willits potrei definirla sempre come una seconda casa, essendoci vissuto per quasi trent’anni o meno.
   Lizzy in quel periodo non era in ferie dal suo lavoro, quindi per questo decisi di passare un mese e mezzo da solo con la mia famiglia: casa loro era l’unico posto adatto per poter rilassarmi un poco.
   «Prima della tua partenza ti ho preparato una cosa che tanto ami». Lizzy arrivò con un vassoio fumante sotto al mio naso.
   «Cioè?», chiesi con lo sguardo immerso nel mio pc, poiché sì, sarei stato in ferie dal giorno dopo, ma quella sera alle ventuno stavo ancora terminando alcune cose che mi chiesero stesso quella mattina in azienda.
   «Ta-dah
   Alzai lo sguardo e sul vassoio giaceva una profumatissima Red Velvet.
   Ad essere sincero, Lizzy sapeva cucinare molto bene qualsiasi tipo di dolce.
   Quando ci conoscemmo ricordo che la prima domanda che mi fece era se io apprezzassi i dolci, poiché a lei piaceva tanto prepararli; quindi, sarebbe rimasta contenta se qualche volta fossi andato a casa sua e ne avrei assaggiato qualcuno. Le dissi che la mia torta preferita era proprio la Red Velvet, perché era una torta che preparava spesso mia madre ai miei compleanni quando ero piccolo.
   E quindi sì, a fine serata del nostro primo appuntamento mi portò a casa sua per mostrarmi una Red Velvet che fece apposta per me. Mi conquistò così.
   «Che buon profumo», le feci un sorriso tirato.
   Capii subito perché quella sera se ne uscì con quella torta: non voleva che partissi, poiché tra di noi le cose non stavano più filando così tanto bene. Era spaventata che andandomene dai miei genitori poi non sarei tornato più a Seattle. Non sarei mai stato il tipo così stronzo, da andarmene e non farmi più sentire; e poi a Seattle avevo il mio lavoro, quindi sarei tornato a prescindere.
   «Ti piace?» chiese. Le sue mani tremavano mentre appoggiava il vassoio davanti a me.
   La guardai negli occhi. «A te piace?»
   Incurvò le labbra, in una smorfia. «Non lo so, io l’ho fatta per te».
   «Lizzy, quante volte ti ho detto che devi imparare che le cose che fai devono piacere prima a te se vuoi che gli altri le apprezzino?».
   La torta mi piaceva, ovvio, pure se non fosse perfetta esteticamente.
   L’importante in un dolce era il sapore.
   Sì, lo so che starete pensando: “Ma, Tyler, l’importante è che sia fatta anche con amore”, ma ascoltatemi, non vi fate illudere da Lizzy.
   C’è un motivo al perché io non sia stato così gentile con lei sin dall’inizio.
   Lizzy soffriva di una “grave sindrome di bassa autostima”, come la definivo io e, vi posso giurare, che sono state tante le nottate che ho fatto insieme a lei perché prima di dormire si riservava qualche pianto isterico e diceva che, se io tornassi tardi la sera era perché la stessi tradendo con qualche altra donna, non perché lavoravo seriamente in azienda fino a tardi.
   E, vi dirò la verità: non ha mai avuto ragione.
   Prendeva queste fisse, faceva la sua solita scenata serale e poi la mattina dopo si difendeva dicendomi: “Scusa è che sei un uomo così affascinante, quindi immagino quante donne ti stiano dietro”.
   Non importa quante donne mi riservino qualche bella parolina o qualche gamba scoperta per provocarmi: se io amassi davvero mia moglie non potrei guardare nessun’altra donna.
   Con lei perdevo la pazienza perché il duro lavoro che svolgevo durante tutta la giornata veniva poi ripagato così.
   Non le ho mai giustificato questi comportamenti, poiché lei non ha mai avuto prove concrete per accusarmi. Si sarebbe dovuta fidare di me dal principio, come le ho sempre detto, ma a quanto pare, non l’ha mai fatto per colpa della sua grave sindrome, e al finale doveva scaricare tutti i suoi problemi su di me.
   Questo del “tradimento”, comunque, è solo uno dei tanti esempi che posso riservarvi per ora.
   In quell’ultimo periodo non mi andava nemmeno più di tanto fare discussioni perché sapevo che sarebbe finita con un suo pianto, quindi chiusi subito lì la questione.
   «Comunque è buona, sta tranquilla», la rassicurai mentre ne assaggiavo una fetta.
   Mentre ne mangiava un po' anche lei, tossì, e posò immediatamente il suo piatto con la sua piccola fetta.
   La guardai, preoccupato. «Tutto bene?»
   Annuì. «Sì. Ho solo un po' di bruciore alla gola e faccio difficoltà a deglutire.» Abbozzò un sorriso, come quasi per tranquillizzarmi.
   Annuii anch’io e ritornai sul mio lavoro.
   «Domani a che ora hai intenzione di partire da qui?», chiese riprendendo il vassoio dalla mia scrivania per riporlo in frigo.
   Ma, ripensandoci, alla fine, l’avrebbe finita tutta lei quella torta se io il giorno dopo fossi partito?
   E se oggi scoprissi che fosse proprio a lei ad avere un altro…
   Farlo venire a casa, e mangiarsi tutta la mia Red Velvet.
   «Penso verso le sei di mattina, se voglio arrivare per ora di cena» le risposi, convinto già del mio calcolo per arrivare alle cinque del pomeriggio a casa dei miei genitori.
   «Ma se partissi un po' più tardi comunque potresti arrivare ad ora di cena» disse.
   «Partendo tardi trovo traffico».
   «Prendi qualche altra strada dove non c’è traffico», continuò imperterrita.
   «Devo arrivare comunque prima, lo sai che i miei alle sette e mezzo già cenano».
   In quel momento ci fu silenzio, ma solo perché lei non sapeva come controbattere.
   Pregai che non continuasse, e che la questione fosse finita lì.
   Ma ovviamente, no.
   «Perché sembra che tu voglia scappare di qui?» chiese con poca voce, come se fosse già sul punto di piangere.
   Sbuffai. «E perché sembra che tu invece sia fissata con questa cosa, Lizzy?».
   Mi incazzai come poche volte mi capitava. Quando ero già stressato di mio ci mancavano solo le sue lamentele a farmi impazzire.
   «Non so», si grattò l’avambraccio, ed era una cosa che faceva spesso quando era tesa. «Percepisco che stai cercando in tutti i modi di andartene presto da qui. Devi incontrare qualcun’altra lì, vero?»
   «Cazzo, Lizzy, smettila», mi alzai dalla mia scrivania, non avevo intenzione di sentirla più.
   «Perché non affronti questo argomento?» continuò.
   «Perché tu invece non affronti un po' la questione di andare in terapia?» la ammutolii con una delle cose che lei maggiormente odiava.
   Le avevo detto parecchie volte di andare in terapia, perché ciò che faceva non fosse del tutto normale.
   Le sue fisse erano troppo disturbanti, non facevano vivere tranquillamente nemmeno me.
   Inspirai, scocciato. «Adesso basta, comunque». Mi passai le mani in volto, affranto perché ormai non riuscivo più a reggere questa situazione. «Quando vieni a letto non continuare, perché non voglio sentire altro. Buonanotte», conclusi uscendo dallo studio – quando Lizzy iniziò a passare sempre più troppo tempo in cucina, iniziai a pentirmi di avere il mio studio proprio di fianco.
   Dopo il mal di testa che mi aveva fatto venire, volevo soltanto domire bene per poter affrontare un viaggio di dodici ore il giorno dopo.

𝐓𝐇𝐄 𝐋𝐈𝐆𝐇𝐓 𝐁𝐄𝐇𝐈𝐍𝐃 𝐘𝐎𝐔𝐑 𝐄𝐘𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora