12.

193 9 7
                                    

▶️ Play: Bitch affianco - Baby Gang, Il Ghost

"Fingi a me che ti conosco bene, i tuoi occhi parlano, i tuoi occhi non stanno bene e dicono che a noi due ci conviene lasciar tutto e tutti all'improvviso e partire insieme"

*

In generale, quello era un bel periodo per noi. Di fatto eravamo ormai una coppia ed ero davvero felice di potermi vivere al 100% Ludovica.

Ma tutta questa spensieratezza ci era stata bruscamente strappata via un pomeriggio di inizio marzo, quando Ludo mi aveva telefonato preoccupata. Avevo capito che c'era qualcosa di strano dal momento stesso in cui aveva optato per una chiamata anziché per un messaggio: odiava parlare a voce, odiava persino i vocali, per cui avevo intuito subito che fosse successo qualcosa di importante di cui voleva parlarmi con urgenza.

"Sami, hey, ciao", mi aveva risposto non appena appena avevo accettato la telefonata. "Che fai, ti disturbo?".

"Sto facendo una passeggiata. No che non mi disturbi, dimmi".

Stavo tornando a casa a piedi dopo aver consegnato qualche grammo di coca ad un cliente in cambio di 150€, ma non mi sembrava il caso di essere così specifico.

"Ehm... io... volevo dirti che ho incontrato mio papà prima".

"Ok".

Balbettava ed era nervosa, ma inizialmente non ne capivo il motivo. Sapevo che non aveva un bel rapporto con suo padre, che c'era una situazione a dir poco tesa tra loro, ma onestamente Ludo non mi aveva mia raccontato niente nei particolari ed io mi immaginavo un classico rapporto turbolento tra figlia e genitore.

Aveva esitato un attimo, poi aveva spiegato: "Ha saputo che io e Tommaso ci siamo lasciati, era questo il motivo per cui voleva vedermi".

"Ok, e...?".

"Quei due si sono incontrati in banca, quella dove lavora Tommaso, e quando papà gli ha chiesto perché non andassimo più a cena a casa dei miei, Tommy gli ha raccontato tutto. Ma proprio tutto quello che gli ho fatto".

"É la tua vita, non vedo dove sia il problema".

Non capivo, genuinamente non riuscivo a comprendere che cazzo fregasse ad un uomo di 50 anni la vita amorosa della propria figlia.

"Papà non era affatto contento di come mi sono comportata. Te l'ho detto, stavo con Tommaso da anni e i miei lo adoravano... credo che avessero più piacere a vedere lui che me".

"Ma che dici, habibi? Fottitene di ciò che pensa tuo padre, sono scelte tue e non...".

"No, Sami", mi aveva interrotto lei. "Non hai capito. Ha detto che ti vuole conoscere. Stasera. Dice che ha il diritto di sapere chi cazzo faccio entrare nella casa che lui mi sta pagando, quindi ci ha invitati a cena".

"Scherzi?".

"É un fottuto casino, Sami".

Lei era in panico, anche se non era fisicamente di fronte a me ma si trovava a qualche chilometro di distanza, all'altro capo del telefono e dall'altra parte della città, me la immaginavo gironzolare ovunque per tutto l'appartamento e fumarsi una sigaretta dietro l'altra. Ironico il fatto che in cuor suo aspettasse solo di conoscere i miei genitori mentre la sola idea che io conoscessi i suoi la faceva morire dentro.

"Dai, tranquilla. Anche se è da fuori di testa volersi intromettere fino a questo punto, non dobbiamo fare altro che cenare con i tuoi, che vuoi che sia?".

"No, no, tu non conosci mio padre. Lui è... cristo, come cazzo faccio a...".

All'improvviso, l'illuminazione. Quanto ero stato uno stupido ingenuo a non arrivarci prima. In quel momento mi ero sentito come quando frequentavo le scuole elementari: era da una vita che le mie origini e il colore della mia pelle non mi facevano sentire a disagio.

"Ah, ho capito. Certo, il problema è che non sono italiano. Ovvio, cazzo. Tuo papà è un ricco milanese imborghesito del cazzo, scontato che sia questo il problema. É così, vero?".

Lei aveva sospirato, poi, con la voce rotta, aveva ammesso: "Sì".

"Beh, continua a non fregarmene un cazzo. Anzi, sarà divertente farlo incazzare. Assurdo che la sua figlia perfetta si possa innamorare di uno come me, eh?".

Ero sicuro di me, forse un po' sprovveduto, ma comunque non mi importava e non mi era mai importato del pensiero di quel tipo di persone. Che si fottano i razzisti e gli ignoranti.

"Piantala, cazzo!", mi aveva urlato contro Ludo, quasi isterica: "Ti ho detto che non lo conosci!".

Se fossimo stati nella stessa stanza l'avrei abbracciata, ma purtroppo tutto ciò che potevo fare era rassicurarla a parole.

"Ohi, habibi. Calma, l'affrontiamo insieme questa cosa. Ci siamo già passati in situazioni stressanti... per cui tranquilla, ci sono io con te anche oggi".

"Non ce la posso fare, Sami", aveva iniziato a sbuffare e piagnucolare. "Vorrei scappare".

Non capivo il perché di tanta ansia e paura, ma l'avevo assecondata: "E dove vorresti andare?".

"Non lo so, ovunque che non sia Milano. Che non sia casa dei miei. L'importante è che non sia qui".

"Ok, perfetto", le avevo sorriso attraverso il telefono. "Ti ci porto. Andiamo ovunque, partiamo ora. Hai la valigia pronta?".

Dall'altro capo della cornetta avevo sentito una minuscola risatina, abbastanza per farmi sentire il cuore un po' più leggero.

"Scemo".

"Lasciamo tutti e tutto e partiamo insieme. Ti porto a Champs Elysees, sulla Statua della Libertà, alle Piramidi di Giza, sull'Everest, in un'isola caraibica o in cima al mondo. Giuro, mi piacerebbe farlo, andarcene in un posto segreto, lontani da tuo padre, che sia solo nostro. Te lo immagini, Ludo?".

"Sarebbe bello", aveva sospirato. Si era zittita per qualche secondo, poi si era schiarita la voce: "Sami, ascolta...".

"Dimmi".

"Al di la delle cazzate... Vuoi davvero farlo? Venire a cena dai miei, dico".

"Pensavo intendessi se volessi davvero scappare via insieme", l'avevo presa in giro. "Comunque in entrambi i casi la risposta è sí".

"Non sottovalutare la cosa".

"Le palle non mi mancano, Ludo. Non mi fa paura conoscere il tuo paparino razzista, mica è la prima volta che ho a che fare con quel tipo di persone. Ho la pelle dura ormai, non mi frega di quello che pensano di me o di noi".

"Non è di te che mi preoccupo, Sami. So che tu potresti tenergli testa, ma io...".

"Che vuoi dire?".

"Lascia stare, niente", aveva tagliato corto, quasi come se fosse stanca di quella conversazione. "Passo a prenderti alle 19:15, okay? Mi raccomando, non fare tardi".

"A dopo, habibi. Vedrai che andrà bene".

LeiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora