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È un'opera di fantasia.

Nomi, personaggi, avvenimenti e luoghi sono immaginari e non corrispondono a nessun essere vivente reale, a nessuna persona esistita, cyborg o animale domestico.

Ogni somiglianza con Caterina, Aurora e Giusy è puramente casuale.

Non è stato usato olio di palma per la realizzazione di questo racconto.

Nessun vichingo è stato realmente maltrattato durante la stesura, la gabbia di contenimento era puramente a scopo precauzionale.

La Rosa di Jericho - Giuditta Ross

1

L'aria era incredibilmente tiepida per essere una sera di novembre e il silenzio in cui rimbombavano i miei passi, così innaturale da essere sconcertante. Come se tutta la nave stesse trattenendo il respiro in attesa di quello che sarebbe avvenuto.

All'orizzonte il sole stava per tuffarsi tra le acque brumose della Baia delle Spine, mentre la flotta aeronavale di sua maestà attendeva mesta, che uno dei suoi eroi più blasonati subisse il destino che egli stesso si era scelto.

Giunta al parapetto mi sfilai i guanti mozzi con cui proteggevo i palmi e posai le mani sulla balaustra di legno liscio, carezzandone con un sospiro, la superficie levigata. Amavo sentire quel contatto, la sensazione setosa sulla pelle, la grana fine sui polpastrelli. Un piacere che pochi esseri umani potevano sperare di trasmettermi allo stesso modo.

Vezzeggiare la Jericho era un gesto automatico e consolatorio, e mi era perfettamente chiaro che a trarne beneficio fossi io e io soltanto.

Sentire il legno liscio sotto le dita e ascoltare il tonfo sordo dei miei stivali sul ponte erano alcuni dei modi che avevo per gettare l'ancora ai miei pensieri più funesti e tenere a bada quei sentimenti molesti che proprio non avevo bisogno di provare.

Ero il capitano: mie erano le leggi, mia la responsabilità di farle rispettare. Disobbedire a un ordine diretto, quale che fosse il motivo, era intollerabile. Prendere possesso di una navicella e guidare parte della ciurma in una missione non autorizzata era solo un gradino sotto l'ammutinamento.

Rhysier Butler sapeva di sfiorare la morte nel momento in cui aveva deciso di ignorare le direttive del suo capitano. Sapeva anche molto bene che, se avesse avuto successo, niente l'avrebbe tenuto lontano dal palo di fustigazione o magari dal ceppo del boia. Me lo avevano detto i suoi occhi nel momento stesso in cui l'avevo visto scendere la scaletta putrida per venirmi incontro in quella cella infernale. L'avevo visto nella piega ironica delle sue labbra mentre mi liberava dai ceppi e si caricava il mio corpo distrutto sulle spalle robuste. Il maledetto idiota sapeva a cosa andava incontro, anzi mi aveva sfidata a tirarmi indietro.

Dannato, diabolico Butler.

Un puntino si allargò nel cielo a sud ovest e non mi stupii affatto di veder giungere altri ospiti per l'evento, anche se, di sicuro, non avevo spedito alcun invito. Con uno sbuffo sganciai il cannocchiale dal suo fodero in vita e scrutai la nave in avvicinamento.

Ottimo: le tre voci della mia coscienza, sempre ammesso che ne avessi una, in avvicinamento.

La Cerbero era una bellezza veloce e agile, gemella della Rosa di Jericho, era una delle aeronavi pirata della flotta ombra di sua maestà. I suoi tre capitani la gestivano con mano inflessibile spadroneggiando sulla loro fetta di cielo. Non avevo la più pallida idea di come riuscissero a far filare tutto liscio tre teste così diverse con le mani su un unico timone; ma la verità era che erano il terrore dei cieli e ne andavano giustamente fiere.

Catrina, Jhosefine e Dawn erano una forza della natura e niente era mai riuscito a dividerle. Quando incombevano su di te, come in quel momento, l'unica possibilità di cavartela era quella di accucciarsi e aspettare che passasse. Sapevo cosa volevano da me e sperare che si limitassero a guardarmi con riprovazione per tutto il tempo, (come era avvenuto in altre occasioni), era pura illusione.

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