III. Il teorema degli sguardi

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Inui aveva rivisto Koko altre cinque volte.

Lo aveva riaccompagnato a casa e lui lo aveva lasciato salire. Avevano cenato insieme, avevano fatto l'amore contro ogni superficie della casa; sul bancone della cucina, dove solitamente Inui preparava i dolci, sul divano grigio dove per la prima volta Koko si era seduto quando era andato a trovarlo, contro la parete del soggiorno, nel punto in cui Inui avrebbe voluto attaccare il quadro con le lucciole che aveva comprato al mercatino, sul pavimento contro il suo parquet gelido, con Inui su di lui perché Koko aveva detto che non voleva che l'altro avesse freddo, contro la porta del bagno che aveva rischiato di aprirsi e farli cadere entrambi per terra.

Ad Inui piaceva che Koko giocasse con lui, che lo trattasse come qualcosa di speciale, qualcuno di unico.

Gli piaceva quando dopo una giornata stancante poteva chiamarlo e sentire la sua voce, decretare quanto su una scala da uno a un milione la sua giornata fosse stata stancante, - si, le sue risposte erano sempre un milione - e Koko lo stava a sentire. Gli raccontava di come il nuovo proprietario del chiostro fosse così gentile con lui da metterlo in imbarazzo facendo sentire lui il capo, - sospettava che c'entrasse qualcosa Koko per questo ogni volta cercava di estorcergli qualche confessione - gli raccontava del cliente Ronald che non faceva altro che sedere al tavolino ventuno e piagnucolare su quanto l'Inverno facesse schifo e le persone pena. Gli parlava di tutto e di niente, steso sul divano, in vivavoce mentre preparava i muffin o i cupcake, gli rivelava quanto amasse preparare dolci.

Koko non gli diceva mai di smettere o di chiudere.

Parlavano fino a che uno dei due non iniziava a sbadigliare e l'altro decretava che era ora di andare a letto. Così, si salutavano col sorriso, il maledetto sorriso che nasceva ad entrambi quando sentivano la voce dell'altro, e si addormentavano pensando al mattino seguente, quando l'altro lo avrebbe svegliato col buongiorno scritto nei messaggi.

Inui non c'era abituato a qualcuno che ci tenesse così tanto a lui.

A volte, guardava Koko e si chiedeva se non fosse tutto un sogno. Un sogno dove la realtà si era azzerata e lui continuava a vivere nei suoi ricordi modificati. Poi però, si ricordava dei baci di Koko, dell'odore della sua colonia limpida, del fruscio dei suoi trench ogni giorno di un colore diverso. Ricordava la sua voce, il suo tocco.

Koko era reale o almeno doveva crederlo.

Accettò di uscire con lui.
Hajime me fu così felice che insistette per comprargli una nuova auto, un nuovo cappotto, un nuovo cellulare. Inui non poté fare molto se non accettarli; , ovviamente aveva provato a rifiutarli, appellandosi al buon costume, ma Koko si era offeso e non gli aveva più parlato per due giorni.

"Devi accettarli i regali, Inupi. Voglio viziare il mio ragazzo, non posso forse?" era stata la prima volta che lo aveva definito così.
Il suo ragazzo. Inui, a volte, la sera mentre era nel suo letto, si ritrovava a pensare a quella vita, a quella definizione.

Il ragazzo di Hajime Kokonoi, il famoso stilista del marchio Inupi.

Lui che aspirava solo a diventare unvesvo pasticcere poteva volere tanto? Perché, se c'era una cosa che gli era divenuta chiara, era quanto Koko e lui fossero divenuti diversi.
Non erano più bambini, né adolescenti che ridevano in faccia agli adulti. Erano cresciuti, avevano dei problemi da affrontare, dei quesiti da porsi, delle situazioni da risolvere e gestire. Non potevano dedicare tutto il loro tempo a quella storia, ma ci stavano provando.

Forse, Inui si frenava troppo.
Forse, Koko era fatto così.
Si era trasformato in qualcuno che odiava aspettare e che voleva tutto presto, cotto e mangiato.

But you're not her, KokonuiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora