𝐈𝐈𝐈

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𝐑𝐚𝐜𝐡𝐚𝐞𝐥

Ci misi un secondo per farlo arrivare al suolo, estrassi il coltellino nella tasca sinistra del cappotto mentre i suoi occhi urlano pietà.
Sa cosa sta per succedere.
Lo sa bene.
Ma non come.
Mi rannicchiai sopra la sua figura tremolante, il suo sguardo parla per lui, è terrorizzato da me.
Dalle mie azioni.
Dalle mie parole.
E dal potere che possiedo su di lui.
Presi delicatamente il suo braccio destro, alzai la manica del maglione nero che lo protegge dal freddo, fino al gomito.
Nell'avambraccio si posa la macchia d'inchiostro che ritrae il simbolo di appartenenza alla mia banda.
È fottutamente eccitante avere il pieno controllo su tutte le loro azioni.
La mia presenza incute timore.
Molti mi conoscono ma solo loro sanno per certo cosa sono in grado di fare.
Accarezzai dolcemente quel disegno che decora il suo braccio, il sangue gli scorre veloce lungo le vene dalla paura.
Respira affannosamente timbrando ogni boccata d'aria, come se volesse godere degli ultimi attimi a lui concessi.
Presi la piccola lama impugnandola per bene in un pugno stretto, la posai dolcemente sulla parte superiore del tatuaggio. Il suo corpo iniziò a fremere completamente vulnerabile a me.
Iniziai con un movimento ritmico dell'oggetto tagliente, sopra la sua pelle morbida, che perde sempre più sangue dal mio tocco deciso.
Quel simbolo si avvicinava sempre di più per lasciare completamente la sua carne, l'uomo scaccia dei gemiti di dolore straziante per lui.
Continuai fino alla fine, recuperando con un fazzoletto quella fetta di carne umana, lasciando una porzione scavata nel suo braccio.
Le sue urla disperate alimentano il mio piacere, fissai quel simbolo qualche attimo, sorridendo leggermente. La ferita perde sangue che viaggia per il suolo scuro, segnato da delle regolari linee gialle.
Feci penzolare la sua parte mancante tra l'indice e il pollice, avvicinandomi al suo volto, quando gliela sventolai davanti lo sguardo terrorizzato.
«Non tutti sono degni di indossare un certo ruolo...» lo guardai dritto nelle iridi scure, cerca di mantenere il controllo e la mente lucida con scarsi risultati. «...lo sai bene Carl, perché hai dovuto farmi questo» rilasciai una piccola risata soddisfatta, quando una goccia di sangue lasciò la parte tagliata, ricadendo sul suo viso innocente.
Scivolò lungo la sua guancia, come una lacrima amara, racchiudente di tutto il dolore che stringe nella sua mente.
Scagliai il coltellino violentemente sul suo polso.
Urlò.
Disperato.
Non pronto per morire.
«Guardami» ordinai, ancora sopra il suo corpo fragile, schiuse le labbra inchiodando le sue iridi con le mie.
Avvolto in una nuvola di sofferenza.
«I miei lineamenti devono essere gli unici che ricorderai, fino alla fine, hai sprecato un'intera vita dietro i miei ordini. Appartieni a me. Dovrai sempre ricordarti di me» sputai acida estraendo la lama dalle sue vene sanguinanti, gliela portai al lato del collo, sorridendo maliziosamente, godendo del suo dolore.
«Sarò il tuo incubo, anche in una prossima vita» furono le ultime parole che i suoi timpani furono in grado di percepire prima che con un gesto netto tracciai il suo collo decisa, lasciando una scia di rosso.
I suoi occhi persero colore e la sua anima abbandonò quel corpo addolorato.
Mi alzai ancora col suo tatuaggio avvolto in un fazzoletto in bagnato del suo sangue.
Guardai Bill abbozzando un sorriso, ricambiò guardandomi avanzare verso la sua figura, mi accarezzò una guancia con il pollice.
«Sei il veleno più letale di tutti» sussurrò a pochi centimetri dal mio volto, lo guardai dal basso, con degli occhi che non dovrei riservare per lui.
Lo dovrei guardare dall'alto, mentre gli punto una pistola contro, mentre manifesto tutto il mio odio per la sua persona, con gli stessi occhi con cui si guarda un rivale.
Per quanto possa andare contro la mia volontà.
Lui sempre un rivale rimarrà per me.
Per sempre.
«Puoi accompagnarmi a casa?» dissi con un filo di voce, annuii leggermente baciandomi dolcemente la testa, proprio come faceva mio padre.
Come la protezione che voleva mostrare mio padre nei miei confronti.
Mi accomodai al posto del passeggero, avvolgendomi con la cintura stretta al mio stomaco.
«Non hai la moto?» chiese lui, iniziando a mettere in moto il veicolo.
Con un cenno del capo indicai il mio vecchio mezzo di trasporto rovinato e mal ridotto.
«Dev'essere stato Carl» mugugnai, raggirando ancora la sua porzione tra le dita.
«Non farti vedere» furono le uniche parole che ci scambiammo durante il tragitto, lui annuii mentre prosegue per la strada buia illuminata da qualche povero lampione.

Accostò qualche metro lontano dalla mia abitazione, gli rivolsi un rapido sguardo, gesto che copiò von un leggero sorriso verso destra.
«Alla prossima» ridacchiai, scendendo frettolosamente dal veicolo, solcando il portone di casa.
Raggiunsi prima il piano inferiore, la maggior parte dei miei uomini giacciono nei rispettivi letti, sparsi per le numerose stanze.
«È l'unica cosa che rimane» sputai acida lanciando a pochi passi da loro il pezzo di pelle dell'amico.
Visto che sono tanto legati all'altro.
Uno di loro spalancò gli occhi, guardandomi con pietà, mentre le iridi gli tremano leggermente.
Come nella speranza di rimuovere quell'ora.
«Non tutti sono degni di stare qui, Henry» gli accarezzai delicatamente una guancia, dove le lacrime già si fecero strada.
«Dovresti reputarti fortunato» sussurrai, mentre lui raccolse da terra il resto del suo amico, le sue mani iniziarono a prendere colore di quel rosso sangue che macchia anche le mie.
Mi alza l'attimo seguente, voltandomi per arrivare fino a casa.
«Non è una perdita così grande quale credi...Hanry»









spazio autrice:
Come state? Spero bene.
Spero continui a piacervi anche questa storia, grazie per il tanto supporto.
Vi voglio bene ♥️

𝗬𝗼𝘂 𝗮𝗿𝗲 𝗺𝘆 𝗽𝗼𝗶𝘀𝗼𝗻 [ 𝗕𝗶𝗹𝗹 𝗞𝗮𝘂𝗹𝗶𝘁𝘇 ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora