1 - NIKLA

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Il rumore fastidioso dell'apparecchio elettronico che segna l'apertura della porta si arresta nel momento in cui ho varcato la soglia del corridoio.

«Ehi, bambolina!»

«E tu chi saresti, bel bocconcino?!»

«Vuoi che ti insegni a cavalcare un bel cavallo?!»

Risa invadono le mie orecchie mentre un'espressione inorridita mi riempie il volto.

«Li ignori, signorina Stevens» sospira la guardia al mio fianco.

«Non c'è modo che escano, giusto?» chiedo, un pelo intimorita.

«Certo che no, signorina. Purtroppo, ritrovarsi una donna davanti dopo tanto tempo li porta a comportarsi come fossero animali» spiega brevemente l'uomo.

«Già» sospiro mentre si ripresenta il fastidioso rumore.

«Bene, questa è la sua fermata. Ricordi che ha a disposizione solo trenta minuti. Se dovesse avere problemi una guardia sarà proprio dietro questa porta che, ovviamente, non sarà bloccata. Il detenuto è abbastanza calmo, ma se dovesse infastidirla, lo dica pure e provvederemo a sospendere tutto» accenna un sorriso di cortesia.

Annuisco per poi posare registratore, taccuino e penna sul tavolo grigio posizionato proprio al centro della stanza. Prendo posto su una sedia del medesimo colore e rileggo le domande scritte sul foglio di fronte a me in attesa del detenuto.

Improvvisamente la porta viene riaperta da una guardia che fa passare John Worboys e al suo seguito un'altra guardia che lo fa sedere sulla sua sedia posta dall'altro lato del tavolo. La guardia armeggia con le manette del detenuto, fissandole bene al tavolo, poi si allontana.

Mi schiarisco la gola, osservando bene l'omone seduto a pochi centimetri da me.

Salve, mi chiamo Nikla Stevens e lavoro per—»

«Il Detroit Free Press, lo so già» mi interrompe.

«Bene, direi di saltare i convenevoli a questo punto visto che io conosco lei e lei, a quanto pare, conosce me» sorrido, infastidita dalla sua interruzione.

«Siamo qui per questo, no?» sorride.

«Nel 2009 è stato accusato di aver attaccato, stuprato e ucciso dodici donne all'interno del suo taxi. Da lì il soprannome 'Lo Stupratore Del Taxi Nero'. La polizia, però, afferma che le donne sono in realtà più di cento. Adesso, per quanto mi piacerebbe parlare da giornalista, sono proprio costretta a farlo da donna: è contento del suo operato?» lo studio, in attesa di qualsiasi cosa.

«Immensamente» risponde.

«E mi dica, cosa provava nell'attaccare delle persone indifese, innocenti, magari madri di famiglia o semplici ragazzine?»

«Soddisfazione. Sentirle urlare come pazze... Dio, non c'era suono più bello» ride. «Lo sa, ero persino in grado di arrivare all'orgasmo soltanto guardandole» mi osserva attentamente.

«Perché al suo primo processo ha negato allora? Mi sembra abbastanza soddisfatto.»

«Pensavo che forse avrei scontato meno anni, poi però il lampo di genio... probabilmente avevano già trovato il modo di incastrarmi e poi andavo piuttosto fiero del mio operato, quindi perché nasconderlo? Certo, avrei preferito un soprannome migliore, ma sa, l'FBI non è molto creativa.»

«Ha stuprato sei bambine. Avevano tutte dai sei agli otto anni... gli ricordavano sua figlia?» lo provoco. «Se non sbaglio è quello che ha dichiarato sua moglie e poco dopo la sua stessa figlia. Si è divertito a sentirla piangere, urlare? Ha raggiunto l'orgasmo anche quella volta?!» alzo il tono di voce.

«Sono informazioni personali» ringhia.

«E io invece, le ricordo per caso sua moglie Kate? Abbiamo lo stesso colore di capelli, stesso colore degli occhi...»

«La smetta» sibila.

«Mi dica, signor Worboys, le pastiglie prescritte per i problemi di sonno, le servivano per dimenticare quello che faceva? Credeva che forse lo avrebbero salvato?»

«Non servivano a quello» ribatte, adesso arrabbiato.

«Sì, devo proprio concordare su questo, considerando che usava temazepam o meglio nota come droga dello stupro, sulle sue vittime.»

«Mi servivano per andare avanti» cerca di difendersi.

«Le servivano per sentirsi potente su una donna già indifesa di suo, signor Worboys» asserisco, l'attimo successivo mi alzo e raccolgo le mie cose.

«Voglio dirle soltanto un'altra cosa, signor Worboys; non mi importa se da bambino ha subito traumi, non mi importa se è diventato così, come sostengono alcuni, non mi importa un accidente se tutto ciò che ha fatto è successo a causa di quello che succedeva a lei... e sa perché? Perché lei non ha avuto il coraggio di riprendersi in mano la sua vita, di lottare per scacciare via i brutti pensieri. Al contrario, li accolti come fossero l'unica fonte di sollievo per sbiadire il ricordo di sua madre. Lei è un mostro» lo guardo dritto negli mentre pronuncio le mie ultime parole prima di avviarmi verso la porta.

«Quanto vorrei soffocare quella boccaccia in questo momento. Peccato non sia possibile.»

I miei passi si arrestano un solo secondo.

«Quanto vorrei vederla dieci metri sottoterra in questo momento. Peccato non sia possibile... per ora.»

Quando raggiungo l'entrata principale, saluto la guardia e supero il metal detector.

«Arrivederla, signorina Stevens» mi saluta, avvicinandosi, il direttore.

chino il capo in segno di saluto e mi lascio quel bastardo alle spalle.

Devo tornare in redazione e stilare l'articolo, parlare con Jim, il mio direttore, e poi scolarmi un bel Martini giusto per riprendere fiato.


𝐇𝐈𝐃𝐃𝐄𝐍 [𝐃𝐞𝐭𝐫𝐨𝐢𝐭 𝐃𝐢𝐥𝐨𝐠𝐲 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora