2 - RIVER

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Il terreno scricchiola sotto la suola consunta delle scarpe, il vento gelido mi sferza il volto spigolo senza tregua e le luci soffuse dei faretti mi investono gli occhi. Nonostante ciò, l'unico fastidio che percepisco è il lamento seccante di Grana che mi prega ancora una volta di non fare ritardo.

Mi presento, no? È questo che conta.

Ottengo comunque il riconoscimento, le belle ragazze, la grana e la soddisfazione di aver stracciato l'ennesimo patetico ragazzino che si sente spericolato.

Potrebbero sfrecciare nelle loro preziose Ferrari per le strade di Detroit senza problemi, giocare a chi ce l'ha più grosso e comunque avere una donna sul sedile del passeggero. Eppure, puntualmente, decidono di venire qui e sentirsi degli Dei scesi in terra.

Idioti. Imbarazzanti mammolette che non hanno idea di cosa stanno facendo.

Del resto, i figli di papà sono tutti uguali, si riconoscono all'istante. Si presentano nei loro completi firmati, persino con delle stupide polo, e si atteggiano da dannati.

Brutti, incoscienti e dannati.

Non sanno cosa si celi davvero dietro questo posto, cosa nasconde e quali pericoli possa portare nelle loro vite.

A solo trenta minuti dal centro, il Trap, una ex discarica ormai abbandonata a se stessa, è proprio come viene definito: una trappola. Non importa se per i soldi, le scommesse o le litigate. Dieci volte su dodici, le cose finiscono sempre male.

Ed ecco perché non bisogna mai avventurarsi qui, a meno che non si sia equipaggiati adeguatamente: si rischia tutto, persino la vita.

Ahimè, sono stati tanti quelli avvertiti, tanti quelli pregati di smammare perché non è posto per certa gente, ma nessuno ha mai ascoltato quei sussurri d'avvertimento.

Meglio sballarsi si un'auto in corsa che restare vivi.

Meglio gareggiare contro gente esperta che contro chi è più "innocuo".

Meglio perdere tutti i soldi che sperperarli per locali e donne.

Se fossi al loro posto non mi avvicinerei mai a un luogo del genere. Chilometri e chilometri di percorsi ormai fin troppo familiari, lande desertiche provviste di gomme usate a sancire il punto d'arrivo, quello di partenza e le curve spericolate.

Nessuno si addentra in questo lato della città, le autorità fingono di intervenire ogni tanto e fissano dei nastri che vietano l'accesso. La sera successiva c'è di nuovo il pieno.

La gente che si diverte, le risate, le urla, la musica a palla e lo speaker sempre pronto a fare la cronaca.

Il Trap è il Trap, luogo di incontro di tutti e nessuno, agiati e reietti. Purché si entri con il denaro e si esca senza.

A volte, però, non si esce e basta.

«Ehi, River!»

«Ciao, River!»

«Bella serata, eh, Riv?!»

Ignoro i saluti della gente che mi circonda, non perdendo nemmeno il tempo di correggerli. Non è una bella serata e non mi chiamo Riv. O quantomeno, di sicuro non per un branco di sconosciuti. Poca gente ha il permesso di chiamarmi così e si contano sulle dita di una mano. Fine.

Raggiungo lo stand delle bibite, dove trovo Xander intento a buttare giù una IPA.

«Incredibile, non sei in ritardo.»

Vero.

«Lo sono mai?» ribatto.

Quello che posso definire il mio migliore amico da anni, mi scocca un'occhiata ovvia. «Sì. Ma hanno tutti bisogno del tuo culo per guadagnare, quindi lasciano che faccia quello che ti pare.»

Vero anche questo.

«Qualcosa da bere, River?» domanda il tizio dietro al bancone. È fastidioso, da un lato, sapere che tutti conoscono il tuo nome ma tu non conosci il loro. Sono solo volti qualunque, privi di importanza o interesse.

Eppure, dovrei saperlo che non è vero, che sono persone e come tali vanno rispettati. È vero, continuerà a non importarmene un accidente di loro, ma almeno avrò la coscienza a posto.

«Come ti chiami?» chiedo al ragazzo.

«Jo-Joshua» risponde, intimorito.

Mi basta un solo cenno del capo. «Una Bud, Joshua.»

«Arriva subito» scatta, dandomi le spalle per poter recuperare la birra dalla cella frigorifera.

Xander mi scruta perplesso e arcua un sopracciglio. «A cosa sto assistendo?»

Lo ignoro e recupero la birra che il ragazzino, Joshua, mi serve. «Faresti meglio a trovarti un'altra occupazione, ragazzo. Questo posto non porta a niente di buono.»

«Ci pago gli studi» mormora lui. «Se perdo il posto...»

Perde la possibilità di pagarsi l'università. A differenza di qualsiasi lavoro in regola, anche ben pagato, il Trap gli fa guadagnare molto di più. Tra le mance e la mazzetta che gli passa Grana, riesce sicuramente a pagarsi tutto.

«Lascialo in pace, Riv» asserisce Xander.

Gli rivolgo uno sguardo. «Tutto pronto?»

Lui annuisce. «Come sempre.»

«Bene. Andiamo a fare un po' di soldi» sospiro, già infastidito dalle urla che mi sovrasteranno.

Nonostante l'urto di avere tutta questa gente intorno, l'idea di rimettermi dietro al volante, di sfrecciare sulla mia bambolina, manda scariche di piacere per tutto il corpo. Una Porsche 911 dello stesso colore della pece, rimessa a nuovo, la mia più grande proprietà e fonte di felicità.

Non vado da nessuna parte senza di lei e di sicuro non permetto a chiunque di salirci. Al momento, la lista si estende a Xander e basta.

Lo stesso vale per la sua auto, una Chevrolet Corvette vinta proprio qui circa due anni fa. Dice che è stato amore a prima vista e che doveva essere sua. Ha scommesso con il proprietario, un viziato figlio di papà troppo stupido e senza alcuna esperienza, che si è fottuto con le sue stesse mani. Se c'è qualcuno bravo quanto me nelle corse quello è sicuramente Xander. Correre contro di lui significa perdere.

L'unico a cui non è ancora riuscito a fare il culo è il sottoscritto, è questo perché sono più bravo di lui. Non è un vanto, bensì un dato di fatto.

Scherziamo spesso su questa cosa, non c'è astio, soprattutto sapendo i motivi per cui facciamo tutto questo. Discutere sarebbe idiota, dividerci una pazzia. Per questo restiamo uno accanto all'altro, indipendentemente da ciò che ci succede.

Raggiungo la mia auto, stringendo già le chiavi in mano. Non so chi sia il mio sfidante, la maggior parte delle volte non chiedo nemmeno. Oggi vale lo stesso.

Mi importa solo di porre fine a questa gara e poi smammare. Niente feste, niente alcol, solo un dannato letto in cui sprofondare e una dormita prima di ricominciare un'altra giornata in officina.

«Siamo pronti, gente?! Pronti a farci sentire per il nostro Bat?!!» urla Grana, tra le due auto e accanto a una ragazza avvolta da un abito striminzito. Non le importa che sia ottobre inoltrato a quanto pare.

Ignoro il famigerato soprannome che mi hanno affidato tempo fa e poso la mano sul cambio dopo aver portato in vita la mia bimba. Il motore fa le fusa, riversando vibrazioni lungo le gambe e l'addome.

La folla continua a gridare e gridare, io entro nella mia bolla e stringo la presa sul volante.

«Pronti... partenza... via!»

𝐇𝐈𝐃𝐃𝐄𝐍 [𝐃𝐞𝐭𝐫𝐨𝐢𝐭 𝐃𝐢𝐥𝐨𝐠𝐲 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora