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Ninive

«Mamma, non stai dicendo sul serio?» ero arrabbiata ma sapevo che prima o poi avrei dovuto mollare la presa.
Le guardavo gli occhi diversi dai miei, avevano quel color miele con qualche striatura sul verde che rendeva tutto più affascinante. Come i suoi tratti morbidi e la pelle con qualche ruga d'espressione accentuata.

Ne aveva una proprio tra le sopracciglia, e l'unico modo per farla scomparire era farla ridere. Ma sapevo che questo era diventato ormai difficile, a tratti impossibile.

«Ho deciso, Ninive» rispose secca, si notava un velo di tristezza nelle sue parole. Come se, in fondo, le dispiacesse davvero. Se ne stava lì seduta, sulla sedia della cucina, fingendo di cucire non so cosa.

Era buffo pensare che saremmo arrivate a questo punto.

I raggi del sole entravano dalla finestra, illuminando il tavolo della cucina dove eravamo sedute una di fronte all'altra, quando qualche nuvola gli passava sopra tutto diventava più cupo, e lo preferivo perché era proprio così che mi sentivo.

«Maman, que tu pense?» le intonai nella sua lingua madre, sperando in una risposta differente.
Aveva le gambe accavallate e un portamento sempre sofisticato ed elegante, i capelli raccolti accuratamente con una ciappa nera, mentre sul naso alla francese le cadevano leggeri gli occhiali da lettura.

«Parlare francese non mi farà cambiare idea» le sue mani si fermarono a mezz'aria, cercando di infilare un filo blu nel buco quasi invisibile dell'ago. Dopo qualche secondo lo poggiò sul tavolo in legno, impazientita.

«Tu, tesoro, hai un talento unico. Hai lavorato sodo per avere questa borsa di studio, e anche io ho fatto tanti sacrifici affinché tu potessi seguire il tuo sogno!» notai i suoi occhi lucidi da dietro gli occhiali, così si inumidirono anche i miei.

Aveva ragione, avrei voluto contestarla o ribadirle che non importava più, ma sapevamo entrambe che era una grande menzogna. Appoggiai i gomiti sul tavolo facendoci sprofondare il viso.

«Prima c'era papà. Prima era diverso!» ero arrabbiata e il mio tono di voce era flebile ed esausto. Sapevo di poter parlare di queste cose con mia madre, lei l'aveva superato.
Io invece facevo fatica anche solo a pronunciare il suo nome.

Poggiò delicata una mano sul dorso della mia e l'accarezzò con il pollice. Le sue labbra accennarono un sorriso sincero, prima di assumere un'espressione sicura.

«Tuo padre ha provato ad essere un uomo migliore per noi, purtroppo non ci è riuscito».

«Ha saltato il lancio della toga, il mio discorso, il mio compleanno e quando ho suonato per la prima volta nel pub di fronte casa di Derek, il suo migliore amico» alzai le sopracciglia, afflitta e rassegnata.

Ormai erano passati anni dall'ultima volta che vidi i miei genitori baciarsi o sfiorarsi le mani. Mi ricordavo ancora quando mia madre correva intorno al divano, per non farsi prendere da lui.

«Inés, se ti prendo ti farò il solletico» diceva lui con il fiato corto, le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere le energie. Mentre la guardava affascinato e amorevole.
«Oh Mark, questa è una minaccia?» rispondeva lei ridendo e continuando a correre. Io invece ero seduta sulle scale di legno a fissarli, come una bambina che osservava l'amore e lo incamerava.

Se mi avessero chiesto, quando ero piccola, cosa fosse per me quel sentimento, avrei risposto i miei genitori. Oppure giocare a rincorrersi.

«Ho già parlato con Matt, è entusiasto di ospitarti» mia madre mi fece ritornare alla realtà, con la sua voce dolce e propositiva. Ma io sapevo che era tutto sbagliato.

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