8.

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Ninive

Ero seduta su una sedia in legno, il quartierino era semi vuoto mentre il sole faceva capolino fuori dal locale.

Ero tremendamente nervosa, così iniziai a mordicchiare qualche pellicina intorno al pollice. Un gesto involontario e metodico che riusciva a calmarmi.

Erano passati solo due giorni dall'accaduto a casa di Logan, in più non avevo più parlato con Collin del nostro bacio e di noi.

Per lui era sempre tutto troppo facile, accantonava il problema e guardava avanti. Io invece dovevo tuffarmici dentro, finché non trovavo una riva sicura dove poter riposare.

Stavo per affrontare una missione suicida, e l'unico modo per renderla meno dolorosa sarebbe stato fidarmi di lui.
Come potevo riuscirci?
Come potevo credergli?

Mi toccai disinvolta le tempie, facendo roteare lentamente l'indice e il medio su di esse.
Poi mi guardai intorno, le persone ridevano tra di loro o parlavano con leggerezza.

Un sorriso amaro spuntò debole sul mio viso.

Avrei tanto voluto unirmi a loro, ridere della goffaggine della professoressa di composizione oppure del cibo troppo calorico che c'era a mensa. E invece, con poca sorpresa, sapevo che quello non sarebbe mai stato il mio posto.

Era colpa mia?

Mi ripetei questa domanda un centinaio di volte, tanto da volerla incidere sul tavolo in legno che sosteneva le mie braccia, solo per poterla sfilare via dalla testa.

Un'espressione avvilita mi contornò il viso, tanto che chiusi gli occhi qualche secondo.
Le voci che mi circondavano erano ovattate mentre un ronzio cercava di penetrarmi fino al cervello. Troppo flebile per arrivare alla meta, ma udibile a tal punto da darmi fastidio.

Potevo sentire il cuore battere regolare come dei tamburi di una batteria, mentre il sangue fluiva nelle vene come una corda di violino.

Ed era tutto lì, il centro della mia armonia mentale. Tutto era musica.

«Abbiamo fatto ritardo, lo so. Tutta colpa di Amy!» Dylan posò una mano sulla mia spalla interrompendo i miei pensieri, e gliene fui grata. 

«Questa sera c'è la festa di Halloween, sono agitata!» rispose Amy provando a giustificarsi, poi spostò l'attenzione su di me.

«Tu sei pronta?» mi chiese, scrutandomi.
Non ero pronta, non lo sarei mai stata.

«Si» risposi mostrando una finta sicurezza che non mi apparteneva.

«Ci divertiremo come non mai!» concluse Dylan sorridendo.

Il fruscio del vento sigillò i miei pensieri nel silenzio, avevo un brutto presentimento su quella notte.

«Ninive che ti succede? Sono giorni che sei pensierosa» chiese Amy, poggiò repentina la mano sulla mia e mi sorrise dolce.

Avrei voluto dirle la verità, raccontarle di quanto mi mancasse mia madre e di quanto mi sentissi in colpa nei confronti Damon. Avrei voluto confessare il piano suicida per incastrare il padre di Collin e di quanto ne fossi profondamente terrorizzata.

Il cuore prese a battere veloce, mentre le mani iniziarono a sudare sotto le sue.

«Mi manca la California» aggiunsi solo, cercando la sua compassione che non tardò ad arrivare. I suoi occhi si posarono furtivi sui miei, prima di spostarsi su quelli di Dylan che ci osservava.

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