Erano le sette di una mattina come tante quando ricevette la telefonata.Il cellulare squillò per diversi secondi prima che potesse trovarlo, lì, sul mobile della cucina, dove l'aveva lasciato la sera prima.
Non riconobbe il numero sullo schermo, nonostante gli sembrasse vagamente familiare.
Rispose, formale e cauto, non sapendo bene cosa aspettartsi. Dall'altra parte del telefono c'era il Detective Gumshoe. Sembrava scosso, turbato, come se si stesse trattendo dal piangere.
C'era senza ombra di dubbio qualcosa che non andava.
Tentò di fargli diverse domande, tutte rimasero senza risposta.
"Devi venire qui allo studio di Mr. Edgworth, il più presto possibile." L'urgenza nella sua voce era evidente, nonostante il non tanto celato tremolio.
Questa fu' l'ultima cosa che gli disse, prima di terminare la chiamata.
Potè sentire il suo cuore perdere un battito a quelle parole. Lo studio di Edgeworth, Miles Edgeworth, perché voleva che lo raggiungesse lì? Che cosa era successo? C'era qualcosa che non andava con l'uomo?
Non poteva che pensare a qualcosa di tremendo, il peggio del peggio.
Erano passate poco meno di due settimane dalla conclusione del processo a Lana Skye, appena cinque giorni dall'ultima volta che aveva visto il procuratore.
Non poteva dire che stesse bene. Sapeva quanto l'uomo odiasse mostrarsi debole, poteva contare solo un paio di momenti in cui si era lasciato essere vulnerabile davanti ai suoi occhi, ma era chiaro come il sole che gli eventi degli ultimi due mesi lo avessero segnato.
Aveva potuto vederlo nei suoi occhi, nel modo in cui sedeva stancamente alla scrivania ed era sempre essere perso nei suoi pensieri, lì in quel modo dove non poteva raggiungerlo.
Dio aveva perfino provato a dare le dimissioni.
Era quindi ovvio che inseguito a quella chiamata fosse preoccupato, terrificato, quasi.
Si vestì velocemente, prendendo al volo la sua camicia bianca e un paio di pantaloni dal divano, lasciando invece indietro la giacca, la sua preziosa spilla da avvocato. Salì sul primo autobus per il centro che riuscì a trovare, non fidandosi particolarmente della vecchia bici e le sue capacità di portarlo a destinazione.
L'edificio era deserto per la quasi totalità, i pochi dipendenti presenti sembravano storcere il naso al suo passaggio. L'ostilità non era cessata, nonostante il numero di visite che aveva recato nell'ultimo mese.
Prese l'ascensore per il dodicesimo piano, l'ultimo piano. Solo gli uffici degli avvocati più influenti erano presenti tanto in alto, non c'era quindi da stupirsi che lo studio di Edgeworth si trovasse lì.
Quando entrò nella camera che recava la targa con il numero 1202, si era già preparato a trovarsi davanti a qualche terribile scenario, un omicidio perfino.
Eppure, con sua sorpresa e momentaneo sollievo l'ufficio era completamente immacolato, neanche una singola cosa era fuori posto. Perfino i pezzi della scacchiera se ne stavano nelle loro originali posizioni, pronti per essere usati.
"Finalmente sei qui." Si girò verso la fonte della voce. Gumshoe era in piedi, a pochi passi dalla scrivania, non lo guardò nemmeno in faccia, il suo volto era diretto nella direzione opposta.
Pareva distrutto, il suo tono era fioco e nonostante la sua considerevole statura in quel momento sembrava molto più piccolo.
Cosa poteva essere accaduto di tanto tragico da ridurlo in quello stato? "Detective?" Mormorò e finalmente i suoi occhi incontrarono quelli dell'uomo. Erano rossi, i solchi delle lacrime erano presenti sulle sue guance.
STAI LEGGENDO
«𝙶𝚊𝚢 𝚕𝚊𝚠𝚢𝚎𝚛𝚜 𝚍𝚘𝚒𝚗𝚐 𝚝𝚑𝚎𝚒𝚛 𝚜𝚒𝚕𝚕𝚢 𝚐𝚊𝚢 𝚝𝚑𝚒𝚗𝚐𝚜»
FanfictionDoveva essere una mini oneshot non ho idea di come sono arrivato a questo onestamente