A volte l'Amore è come una festa infinita. Si danza, si volteggia e si ci illude che ogni cosa sia stupenda.
Il gran salone era illuminato a festa, i mobili come per magia si erano rimpiccioliti per far spazio a candele e lampade che, con superbia, quella sera avevano deciso di competere con le stelle. Qui e lì erano stati posizionati piccoli tavoli rotondi, agghindati con tovaglie bianche come nuvole e stoviglie dipinte a mano con angeli capricciosi. Un tavolo, più stretto e lungo, fu posizionato vicino alle grandi finestre, occhi vitrei e sempre vigili sulla nebbiosa campagna. Fu ricolmo di cibarie: selvaggina arrosto con le piume sbiadite ancora attaccate, salumi appesi come ghirlande, un maialino al miele con qualcosa di indistinto tra le piccole fauci, aspic assemblati come centinaia di arcobaleni, ciotole di patate di diverse forme e cotture, frutta colorata e candita, pasticcini spolverati di zucchero lucente. La quantità era tale da far storcere il naso, e anche qualcos'altro.
Gli ospiti ridevano e chiacchieravano fra loro. C'era chi danzava, chi sedeva, chi lanciava occhiatine e risolini verso una signorina per bene o un giovanotto in procinto di essere uomo; chi invece lanciava sguardi affamati verso il buffet e nell'attesa, con lo stomaco capriccioso, si faceva riempire troppe volte la brillante coppa di vino fruttato. C'era anche chi tendeva le orecchie al chiacchiericcio e chi lo faceva, coprendosi la bocca larga e i denti guasti con un ventaglio slavato o con dei baffoni pochi affascinanti.
Il ragazzo osservava tutti con curiosità. Divertito si muoveva tra le ampie e smorte gonne delle signore, e i frac umiditici dei signori accompagnati da bastoni consunti. Tutti erano troppo presi a sparlare tra loro e di loro, a domare i crampi nello stomaco o le gambe traballanti per i troppi bicchieri riempiti. C'era anche chi era impegnato a nascondersi dietro gli orgogliosi tendaggi d'epoca con fanciulle gestite ancora dalle tate.
Nessuno sembrò notarlo. Era invisibile. Scivolò leggiadro accanto a un piccolo tavolino e afferrò avido una bottiglia di vino e una coppa. L'alzò. Il cristallo era sottile, fragile, puro, attraverso di esso i colori della sala pulsavano veloci come il cuore di un infante. Ogni cosa gli sembrò un sogno pronto a sgretolarsi. Paura, tristezza e confusione lo assalirono. Scacciò quei brutti sentimenti agitando i disordinati boccoli color carbone. Si riempì il prezioso cimelio di famiglia di chissà quanti secoli e bevve tutto di un fiato il suo contenuto. Quella era una festa, doveva divertirsi, non cadere nello sconforto più buio.
Il vino sapeva di polvere e lasciava insoddisfatti. Non era forte, l'acqua di qualsiasi fiume avrebbe regalato più ebbrezza, si chiese come aveva fatto mezza sala ad ubriacarsi bevendolo. Li invidiò. Riempì di nuovo il bicchiere e sorseggiando silenzioso continuò a vagare, vagare e vagare. Finché si ritrovò di fronte a due signoroni seduti non come il loro rango esigeva. Indicavano un qualcosa o un qualcuno nel groviglio di gente e ridevano sguaiati dandosi rumorose pacche sui coscioni. Il loro tono era sgarbato, antipatico, crudele. Incuriosito alzò la testa cercando di comprendere quale fosse la causa di tanta ilarità fuori luogo, ma vide solo persone roteare e parlare, più o meno divertite. Si infastidì. Decise di avvicinarsi ancora di più, di posizionarsi in modo da celare qualsiasi cosa scatenasse il loro riso, ma i due lo ignorarono e continuarono a sogghignare. Parlavano persino una lingua a lui sconosciuta. Una lingua fatta di versi, pernacchie e suoni irritanti per qualsiasi orecchio umano o animale. Provò ribrezzo. Dentro di lui qualcosa si mosse, nel suo cuore, nel suo stomaco, nelle sue viscere, persino nei suoi piedi. Come se un serpente, anch'esso ubriaco, strisciasse all'interno dei suoi organi e li scuotesse. Non gli garbava quel modo di fare e, soprattutto, non comprendeva perché tutto quello l'offendesse. La festa non era sua, quelle persone non erano suoi parenti o amici, erano degli sconosciuti. Eppure...
Furioso prosciugò il succo dionisiaco rimastogli e con poca grazia poggiò coppa e bottiglia sul tavolo accanto a quei due individui per attirare una volta per tutte la loro attenzione. Ma nulla, neanche quell'impetuoso gesto li fece voltare, erano troppo immersi nel loro gioco maleducato per accorgersi di qualsiasi cosa. Aprì la bocca, con l'intenzione di urlargli contro, anche se non sapeva esattamente cosa.
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Disincanto
NouvellesChi dice che l'Amore è pura felicità, mente. Amarsi a volte è solo sofferenza. I protagonisti di questi racconti lo sanno... *Le storie dovrebbero essere 7, spero di riuscire a scriverle tutte. Al momento sono a quota 4, o meglio: 1 finita, 2 inizia...