Serene abbassò i mitra. Le canne ancora fumanti. Un’occhiata al cadavere di Steve e una schermata indicò le sue condizioni, attestando la cessazione di ogni attività biologica e neurale. Era morto, finito.
Sapeva che non avrebbe avuto via di scampo, che presto la sicurezza sarebbe intervenuta e, con Arthur Fox alla guida, sperare di uscire viva da lì era pura utopia.
Doveva andarsene prima del loro arrivo. Almeno doveva provarci.
Un flusso di dati ed equazioni scorreva come un fiume in piena nella sua mente, calcolando distanze, probabilità, tempestività degli agenti ed eventuali imprevisti.
La porta che dalla Stanza Ovale conduceva alla Sala del Consiglio di Gabinetto era stata murata decenni addietro.
Attivate dal sistema di sicurezza, delle inferriate in titanio rinforzato stavano lentamente calando sulle finestre dietro la Resolute Desk e la porta-finestra che dava sul Giardino delle Rose.
Le vie di fuga materialmente praticabili quindi erano solo due: la porta che dava sul corridoio e quella che dava direttamente nello studio privato. Rapidamente cercò di avviarsi alla porta sul corridoio, quando da essa irruppero prontamente gli agenti di sicurezza. Uno di loro, un ragazzo giovanissimo, le puntò contro la pistola e la torcia. «Getta le armi! Faccia a terra!» intimò.
Lo guardò per una frazione di secondo. Lo riconobbe, come conosceva tutti: era Michael Fentick, un ragazzo supponente e con l'aria da professorino originario del New Jersey; faceva volontariato nel tempo libero, aveva una passione per le vecchie moto e una matrigna marziana a cui era affezionato. «Mi spiace.» disse. I suoi occhi non funzionavano come quelli umani, né il buio, né la luce accecante della torcia, limitavano la sua visibilità. Risollevò i mitra e fece fuoco per prima.
Pochi secondi e il giovane agente fu crivellato di colpi assieme alla collega alla sua destra, Meredith Lobo, originaria di Puerto Rico. Li vide accasciarsi al suolo come burattini insanguinati.
Gli altri agenti risposero al fuoco.
Serene schivò le pallottole gettando la testa all’indietro e inarcandosi fino ad esercitare un’estrema tensione sulla colonna vertebrale, tanto da sentirne gli echi metallici. I proiettili sibilarono a pochi centimetri da lei. Si rialzò con uno scatto secco che si ripercosse in tutte le giunture e riprese a sparare per coprirsi mentre si lanciava dietro al divano per ripararsi. Raffiche di proiettili ne devastarono il rivestimento, facendo volare brandelli di stoffa pregiata e imbottitura.
Serene riemerse da dietro al divano per una frazione di secondo. Allineando le braccia al sistema di mira, si focalizzò su due agenti e fece fuoco. Una raffica breve e li colse entrambi al petto, uccidendoli.
Tornata spalle al divano, guardò verso la porta-finestra. Era lì, a pochi metri da lei. La salvezza, se non fosse stato per quelle maledette grate.
Sentiva il rumore di passi, la stavano accerchiando. Poteva avvertire il battito accelerato dei loro cuori. Sentiva l’odore della loro paura, il sudore, i feromoni, il profumo che avevano messo e quello sulfureo della polvere da sparo.
Non poteva vedere il corpo di Steve. Ma l’immagine di lui senza vita riverso nel suo stesso sangue era ancora impressa dentro di lei. Registrata e immagazzinata nella sua matrice positronica con tutte le motivazioni, le emozioni e il contesto che accompagnavano quel gesto. E fino a poco prima, l’ultimo presidente assassinato era stato John Fitzgerald Kennedy, quasi centocinquant’anni prima. Non avrebbe voluto arrivare a tanto.
Ricacciò il pensiero in un angolo remoto della propria mente. L’idea di essere presa, processata con le assurde leggi che gli Stati Uniti avevano nei confronti degli antropoidi o di essere uccisa, la costringeva a ragionare più velocemente alla ricerca di soluzioni logiche.
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La Martire d'Acciaio
Science FictionAnno 2107. Il progresso scientifico e tecnologico ha portato allo sviluppo e all'evoluzione delle intelligenze artificiali, arrivando a un punto in cui le macchine sono indistinguibili dagli esseri umani. E questo ha portato grandi cambiamenti nelle...