Sbadataggini

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Bastava uno sguardo per capirlo: aveva un solo ed unico passatempo: rendersi la vita impossibile.

Giorno dopo giorno gli avvenimenti per quest'uomo si ripetevano come in serie, mentre continuava a disseminare di strani oggetti ogni superficie della sua casa. Era lui stesso a costruire quegli oggetti. Per inciso, il fatto stesso che un uomo costruisca degli oggetti non è spettacolare di per sé, ma il suo è un caso eccezionale, in quanto egli ricavava la sua materia prima privando il tetto delle tegole. A suo modo, quest'omino si guadagnava un pezzo di cielo. E niente, gli piaceva tanto quel materiale, la terracotta, che proprio non considerava l'idea di partire dall'argilla. Va da sé: ci provavamo tutti a convincerlo che quel tetto poi tanto non ne giovava, attorno al buco. Scarseggiavano ormai i coppi, alcuni per il forte vento se ne volavano in strada, ma l'arte è l'arte, e se lui voleva partire dalle tegole che gli si poteva dire? Niente, come niente gli abbiamo detto quando ha cominciato a scavare un buco nel cemento per cavarne fuori una finestrella. «Di necessità, virtù» diceva lui sorridendo e noi abbiamo lasciato fare. Così, lo si vedeva spesso indaffarato, arnesi inutili tra le mani, a camminarsi sulle dita dei piedi, tutto preso nel vano tentativo di agire senza infrangere alcunché: queste sue opere, come ninnoli, sbiadivano la monotonia della sua vita, sfumando le sue notti, sempre più lucide e chiare, a tal punto da fare emergere dal buio il riflesso delle stelle: era il senso della vita di questo acrobata insonne. Come si può pensare di negare a qualcuno il senso della vita? E infatti, come ho detto, lo abbiamo sempre lasciato fare. Ma sia chiaro: i ninnoli che costruiva non avevano alcuna forma o funzione, se non quella di trasmetterci un vibrante timore e una solida pietà.

A proposito dei suoi giorni, invece, si sa dell'altro: di quanto la necessità sociale di avere del vile danaro lo portasse, non senza difficoltà, ad abbracciare le trame grigio-arancio di una quotidianità urbana che lui, senza farne slogan o proteste, detestava più profondamente di chi passa il tempo a lamentarsene. Se ne può parlar così...

07:00 – Lo si poteva ammirare imbacuccato in una sciarpa da due chilogrammi, lana di concia densa quanto il piombo, tutto intento a correre e inciamparsi. Ma, per quanto l'orario della suo arrivo fosse sempre posteriore, l'autobus che portava alla fabbrica passava sempre puntualmente alle sette. E lui, puntualmente in ritardo, finiva per piantarsi sempre lì, a mezza via tra l'arte ed il trasporto.

07:15 – Cominciava quindi ad incamminarsi verso il lavoro, era lunga farsela a piedi, e alle otto meno cinque, trafelato e disgustato dalla grigia putredine urbana, riusciva a malapena a timbrare il cartellino prima di crollare, tutto gonfio di stanchezza, mentre ancora s'allacciava le calzature antinfortunistiche.

08:00 – Ma qualcuno lo svegliava e allora, sbadato e sognante, eccolo guidare un muletto con apparente destrezza: la stessa per cui, entro le dieci, sicuramente avrà rischiato di ferire un collega, o di rovesciare un bancale. Solitamente, però, tutto sopravviveva per miracolo alla sua sbadataggine: non si può trovare spiegazione a ciò, se non osservando come persino la più terribile delle tempeste lasci sovente, come commiato, il fragile volo delle farfalle; come diavolo avranno fatto a non morire tutte?

12:00 – Quindi staccava, come si fa con le prese elettriche: timbrava il suo cartellino e per lui ogni onere finiva lì. S'accontentava di poco, d'una busta paga d'un valore non troppo superiore a quello della carta su cui la cifra stava impressa. E l'azienda tutta ringraziava d'averlo solo a tempo parziale, ché nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di licenziare quell'omino dallo sguardo così dolce, perso nel mondo e in se stesso, alla ricerca del mondo dentro di sé, trovandoci nient'altro che se stesso perso in un mondo. Ed erano proprio ricerche come quelle, che gli impedivano di uscire dalla fabbrica...

16:00 – E tutto questo perché quello sciagurato uomo senza notte s'addormentava nello spogliatoio sempre nell'istante in cui maneggiava le sue scarpe. Credeva di pensare ed invece i pensieri gli si rammollivano in testa, ed il sangue gli si faceva caldo, mieloso. Così i colleghi lo ritrovavano spesso lì, appallottolato su se stesso, immobile, mentre sognando si addentava un ginocchio.

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