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Solo un mese prima.


«Diamine. No!»

Tazzina di caffè rovesciata sul tavolo ricoperto di planimetrie: un disastro. Il lunedì non può iniziare così. Servono in cantiere tra meno di due ore. Venerdì in copisteria le hanno stampate solo perché li ho implorati con tanto di finte lacrime, ma questa è la punizione che merito, non esistono le menzogne a fin di bene. Devo ricordarlo una volta per tutte.

Come faccio adesso?

Sono un'autentica tragedia, prendo in fretta un pezzo di carta e tampono il danno. Troppo tardi, ormai la stupenda piscina con giardino è ridotta ad un'enorme pozzanghera marrone, sembra il Padule di Fucecchio in panoramica.

Cammino su e giù per la cucina cercando di arginare il danno mentre maledico il momento in cui ho deciso di fare colazione a casa, a volte ho queste malcapitate idee, perché? Prepararsi il caffè e prenderlo a tavola per organizzarsi la giornata. Sembra facile, ma solo nelle pubblicità dei biscotti ci riescono, tutti a tavola felici e rilassati, cantano pure.

Utopia.

Il mio risveglio è del tutto differente:

entro correndo in cucina, scaravento tutte le mie carte sul tavolo, accendo la macchina del caffè ed attendo la dannata spia che non diventa mai verde. Eccola finalmente! Cialda, colore a seconda dell'umore, schiaccio il pulsante e niente caffè, solo il gorgoglio che segnala la fine dell'acqua nel serbatoio. Mi domando come mai, all'interno di questo attrezzo infernale, non ci sia mai un goccio d'acqua. Se non avessi la certezza matematica di essere sola in questo appartamento avrei la netta sensazione che qualcuno la beva di soppiatto. Ormai è una sfida tra uomo e macchina, anzi tra donna e una stronza di macchinetta. Sono troppo ostinata, vincerò. Introduco l'acqua e attendo l'arrivo del famigerato liquido marrone, è arrivato. Habemus caffè, alleluia, alleluia.

Questo è l'iter della perfetta mattina di Carola Guicciardi. Se invece di perfetta la volessi strabiliante dopo aver preso la tazzina ustionante tra le dita la lascerei delicatamente piombare sul tavolo.

Metto le planimetrie paludose nella borsa da lavoro mentre scuoto la testa in segno di profondo dissenso nei miei confronti, dovrò nuovamente andare a stamparle prima di dirigermi alla villa dei Signori Safin. Se il buongiorno si vede dal mattino potrei tranquillamente tornare a dormire.

Qui a Firenze ci saranno centinaia di bar, senza contare che all'interno dell'ufficio c'è Tania, la mia segretaria, non sa fare il suo lavoro, ma il caffè si. Testarda che non sono altro, ben mi sta.

Metto la giacca che, miracolosamente, è uscita indenne pur essendo vicinissima al luogo del misfatto. Indosso le scarpe, oggi tacco per darmi un tono, agguanto le borse che, purtroppo, sono state colpite e le scartoffie ormai affondate, dirigendomi verso lo studio.

Dall'enorme vetrata fumé vedo Tania intenta a riporre i campionari di stoffe che avevo accatastato sabato sul divano della sala d'aspetto. Ricoperta da tessuti multicolore sembra una danzatrice del ventre ubriaca.

Il campanello avvisa del mio ingresso: «Tania sono io, perdona il disordine, ho lasciato un macello, poso le borse e ti do una mano».

Scaravento tutto quello che ho in braccio sul divano al mio fianco.

Si volta spaventata e lascia cadere delle stoffe, così mi avvicino per aiutarla. «Questo suono è terribile, ancora dopo due anni non mi sono abituata, mi spaventa sempre».

«Hai ragione, è un po' irritante» dico ridendo, non riesco a smettere, è troppo comica tappezzata in quel modo. Cerco di toglierle di dosso qualche cartella e andiamo insieme nel mio ufficio dove si trova il raccoglitore.

La mia felicità nel suo lettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora