Capitolo 1

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Fu strano, ma non difficile.
Lasciare tutto quello che conoscevo, per andare in un posto di cui sapevo solo il nome.

Cambiare città mi sembrò un'idea allettante, a primo impatto.

Quando io e mio fratello maggiore, Connor, venimmo a sapere di essere prossimi a lasciare Aberdeen, rimasi indifferente a quella notizia.
Non avevo nulla di significativo che mi legava a casa mia, che mi tratteneva dall'accettare il trasferimento, a differenza di Connor.
Lui aveva Luisa, la sua fidanzata, e poi il suo migliore amico, Jamie.
Erano cresciuti insieme, non c'era altro modo di definirli se non un terzetto inseparabile.
Vederli all'aeroporto di Bristol fu, quindi, più che straziante: nonostante la reputazione da duro che mio fratello vantava di avere in pubblico, le lacrime non gli mancarono.

Sapevo quanto era emotivo, con me non l'aveva mai nascosto.
Fin da piccoli, avevamo condiviso ogni segreto ed eravamo sempre stati l'uno la spalla su cui piangere dell'altra.

Fu piuttosto imbarazzante sciogliere il suo abbraccio con Luisa e James, per fargli notare che dovevamo consegnare i bagagli.
Lui aveva semplicemente annuito, stringendoli più forte un attimo prima di lasciarli andare.

A quel punto, aveva preso la sua valigia rossa, poggiata per terra, e non si era più voltato; capii che sapeva che se li avesse guardati un'altra volta ancora, non sarebbe mai riuscito a salire su quell'aereo.

I nostri genitori erano partiti due settimane prima, per sistemare la nuova casa e tentare di renderla meno estranea possibile ai nostri occhi.
Ero quindi sola con Connor, pronta per lasciare quel tutto che sapeva di niente mano nella mano con mio fratello.
Queste si divisero solo quando tirammo fuori biglietti e documenti dalle tasche, per poi riunirsi dopo averli riavuti indietro.

Arrivammo al nostro gate, giocherellando una con i pollici dell'altro per tutto il tragitto.

Appena mi affacciai dalla grande vetrata, scorgendo il mezzo per intero, e mi si mozzò il respiro. Era enorme.

I finestrini erano più grandi di quello che dimostravano le foto illustrative e il blu del logo della compagnia occupava tutta la fiancata.

Ci aspettava un viaggio di 29 ore, con due scali: saremmo arrivati ad Amsterdam intorno a mezzogiorno per ripartire tre ore dopo e atterrare a Hong Kong, nella costa sud della Cina, dodici ore dopo. Ad attenderci, oltre al buio della notte, avremmo trovato altre tre ore di attesa e solo a quel punto saremmo finalmente partiti alla volta di Sydney, la nostra destinazione finale.

"L'orario di arrivo previsto è impensabile", borbottai a voce bassa.

Avremmo raggiunto i nostri genitori soltanto alle 15:00 di giovedì. Era martedì.

Scossi la testa, concentrando tutta l'attenzione di cui ero capace su Connor. Osservava l'areo con aria corrucciata e le spalle rigide. Percependo il mio sguardo si voltò nella mia direzione, sforzando un sorriso.

"Sarà un viaggio lunghissimo e con ogni probabilità altrettanto noioso" convenne, stringendomi la mano.

"Puoi dirlo forte", sospirai. "Credo ci convenga entrare: prima partiamo, prima arriviamo."

"Ti piacerebbe. Ventinove ore, rimangono ventinove ore, Spen."

Sbuffai e decisi di trascinarlo ai controlli. Lo sentii ridacchiare. In men che non si dica ci ritrovammo ad attraversare il cortile e in pochi istanti sentii il cuore balzarmi in gola dall'agitazione.

Avevo i nervi a fior di pelle, la stretta salda sulla mano di Connor. In quel momento, mi sembrava l'unica certezza su cui potevo contare.

Raggiunsi le scale che portavano all'entrata dell'areo e le salii molto lentamente, seguendo mio fratello, con le nostri mani ancora intrecciate.

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