Capitolo 2

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La giovane donna posò delicatamente il microfono in un vassoio alla sinistra della porta e si sedette, allacciandosi la cintura; Tristan e l'altra assistente di volo, che finora avevo malamente ignorato, fecero lo stesso.

Quest'ultima aveva i capelli castano scuro, con riflessi neri, e gli occhi dello stesso azzurro del cielo fuori dai finestrini.
Essendo seduta affianco a quel ragazzo tanto slanciato era inevitabile non notare quanto fosse bassa. Indossava la sua stessa uniforme e aveva i capelli lisci legati in una coda di cavallo a dir poco perfetta.

Stava bisbigliando chissà cosa verso l'orecchio di Tristan quando si accorse del mio sguardo.
All'inizio mi scrutò diffidente, poi mi indirizzó un sorriso che etichettai come confortante.
Feci un cenno del capo, tentando di ricambiare, poi eseguii le direttive che la hostess irritante aveva elencato poco prima.

Allacciai la cintura con facilità e mi voltai verso Connor, scoprendolo tentare inutilmente per via delle mani tremanti.

Mi allungai leggermente e lo aiutai, guadagnandomi un'occhiata piena di riconoscenza.

"Con, va tutto bene." Tentai di rassicurarlo, con una tonalità di voce dolce e un'imitazione del sorriso che avevo ricevuto un minuto prima.

Lui annuì, prendendomi la mano.

Non era la sua prima volta in aereo: era partito due anni prima per una gita scolastica ed era stato via per quasi tre settimane; non era spaventato dal volare, a differenza mia.

Capii all'istante che il suo nervosismo non era dovuto alla partenza, quanto al non ritorno.

Strinsi la sua mano, pensando che potesse essergli in qualche modo di conforto.
Lui fece lo stesso, mentre i motori dell'aereo si accendevano.

La stessa voce meccanica che avevo sentito già diverse volte nell'arco di quasi venti minuti parlò nuovamente.

"Pronti al decollo. Arrivo previsto ad Amsterdam alle ore 12:05. Durata del volo 1 ora e 15 minuti."

Strinsi un'altra volta, più forte, la mano di mio fratello, sentendo l'aereo che iniziava a muoversi.
Fissai gli occhi sulle mie Converse basse bianche, stringendo le labbra.

Sentii il mezzo camminare libero sulla pista per quello che mi parve un solo attimo, prima di sollevarsi.

All'inizio, il mio stomaco ne risentì; mi sembrò che qualcuno stesse bruscamente frugando nel mio intestino, alla ricerca di qualcosa che era da tutt'altra parte.

Alzai lo sguardo velocemente, cogliendo la figura rilassata di Tristan, indifferente a quello sbigottimento generale.

Vola ogni giorno; suvvia, è ovvio che questo trambusto per lui non è niente, mi rimproverai mentalmente, dandomi della stupida.

Perché continuavo a lanciargli occhiate di sottecchi? Non lo conoscevo neanche, diamine.

Facendo saettare lo sguardo fra i passeggeri che riuscivo a scorgere dalla mia postazione notai che erano in pochi ad avere un'espressione sconvolta, come pensavo fosse la mia.

Mi voltai infine verso Connor, trovando i suoi occhi chiari che mi fissavano preoccupati.

"Spencer, hai una strana cera. Stai bene?" Chiese, con tono leggermente ansioso.
Io annuii, con ancora le labbra serrate.

Dopo quelli che mi parvero secoli, riuscii a tranquillizzarmi.
L'aereo adesso volava ad una velocità costante; se non fossi stata lucida, avrei pensato di essere seduta su una semplice e comoda poltrona nel salotto della mia vecchia casa.

Allentai la presa sulla mano di Connor fino a lasciarla e, dopodiché, lo guardai, alzando gli angoli delle labbra in su.

"Non posso dire che sia stato gradevole, ma" osservai il cielo dal finestrino, due posti più in là, "ne è valsa la pena. È una sensazione... meravigliosa, l'essere consapevoli di volare." Conclusi, vedendo i suoi occhi farsi sereni e il suo volto aprirsi in un sorriso sincero.

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