❝ your kisses burn into my skin, only love can hurt like this. ❞♡
Casa di Ansu rappresentava quell'angolo sicuro, quel piccolo - ma grande, rifugio dove potevo sentirmi finalmente a casa. Era impossibile sentirsi altrimenti, il proprietario faceva di tutto per mettermi a mio agio e la sua famiglia altrettanto; ogni qualvolta venissi a fargli visita chiedevano di me, m'invitavano a pranzo e Lurdes, la capofamiglia, tentava, seppur con scarsi risultati, d'insegnarmi a cucinare qualche piatto tipico della Guinea-Bisáu, come gli spiedini di pesce ed il cuscus di miglio. L'arte dei fornelli non era mai stato il mio forte, ero pessima in tutto ciò che preparavo, per questa ragione ero costretta a cibarmi solo ed esclusivamente alla pizzeria sotto casa o al cinese takeway. Il primo pensiero arrivati a casa Fati fu buttarmi in piscina, sprofondare e risalire solo dopo aver affogato ogni mio pensiero negativo, sopratutto in quegli ultimi giorni. Avrei voluto farlo per restare da sola, almeno per qualche secondo, chiudere gli occhi e sentirmi piena ma svuotata allo stesso tempo. Sentivo Ansu parlare ma non gli prestavo molta attenzione, il cellulare tra le mani continuava a vibrare per via dei messaggi infiniti di Adrian, mi chiedeva dove fossi, se a lavoro era andato tutto okay, se avessi pranzato, li leggevo uno dietro l'altro mentre avanzavamo verso l'ingresso. Mi chiese di non fare tardi stasera, dato che il giorno dopo sarebbe partito per un mese per una specializzazione in oncologia medica presso l'ospedale di Bilbao. Dopo quello che era successo la sera prima, dopo gli insulti, le urla, i suoi occhi scuri come la pece carichi d'odio, i piatti ed i bicchieri rotti gettati contro il muro con rabbia. Non volevo rispondergli, non avevo ancora digerito le sue parole, c'avrei impiegato un infinità di tempo. Non volevo parlargli, ma dovevo farlo, non avevo scappatoie. Mi passai una mano sul viso, pronta a rispondergli che sarei arrivata in orario ma non mi fu possibile.
—''Eh, basta. Niente telefoni, niente distrazioni, solo puro relax.''
Il mio amico mi strappò il telefono dalle mani, spegnendolo e posandolo in un cassetto in cucina. Mi sorrise, aprendo le braccia, contento del suo gesto proprio come un bimbo, non consapevole del danno che avesse appena fatto. Alzai un sopracciglio, impaurita, con la mano a mezz'aria dove una secondo prima era posato il cellulare, esterrefatta non riuscendo a elaborare cosa era accaduto.
—''Ma sei impazzito? Cazzo!''
—''Che? No, solo che non hai mollato il cellulare neanche per un secondo da quando siamo usciti da Ciutat, voglio solo che ti rilassi un po'.''
Come facevo ad arrabbiarmi se ogni qualvolta alzassi la voce lo vedevo rimpicciolirsi e metter su quello sguardo da cane bastonato. Non lo faceva di proposito, era una sua caratteristica, mi metteva in difficoltà in un secondo e lo odiavo. Ma in quel momento non potevo affatto cedere e il sol pensiero che Adrian stesse aspettando dall'altro lato un mio segno di vita non faceva altro che farmi alzare la pressione sanguigna ed accelerare i battiti. Lo spostai in malo modo tentando di riavere il mio cellulare quanto prima.
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enchanted | pablo gavira.
Fanfiction#𝑷 - ''Mi aspetteresti? Solo per qualche anno.'' my thoughts will echo your name, until i see you again. #𝑴 - ''Ci rivedremo, se non in questa vita, sarà in un'altra.'' Analizzare gli schemi, studiare tattiche, decifrare ogni mossa, ogni movimento...