L'implacabile calore dell'estate va finalmente cedendo il passo alle prime avvisaglie d'autunno.
L'aria violetta del mattino risuona del richiamo delle rondini prossime a partire; i cortili sono pieni del profumo verde e pungente dei fichi maturi.
Ma dentro le case, i grandi telai e la lana da filare giacciono abbandonati nelle stanze ombrose; nessuna voce si ode cantare oltre i muri dei giardini; deserti i templi e i cortili del passo leggero di fanciulle e spose.
Le donne di Tebe non hanno ancora fatto ritorno.
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Dicono che un dio tiene corte fra i boschi, sul monte.
Dicono che Dioniso stesso abbia acceso la pazzia nelle donne della città, per punire chi dubitava della sua ascendenza divina; che chiunque sale la montagna cade preda del suo potere, e abbandona il mondo degli uomini per vivere fra le belve.
Dicono tutto questo; e intanto restano qui, intimoriti e stupidi come un gregge che spera di avere indietro le pecore prese dal lupo.
Gemono che è stato un dio a volerli punire; così non devono vergognarsi di restare qui, tremanti nelle loro case vuote.
Si danno per sconfitti, e inventano qualcosa di più grande di loro, per poter dire che solo pregando si può affrontare la sventura.
Dicono tutto questo, e io non credo a una parola.
Quel che ha rapito da Tebe le fanciulle e le madri può essere solo ottenebramento, o errore; o forse, se mai, uno spirito malvagio, che le tiene prigioniere come uccelli in una rete.
Nessuno lo saprà, se nessuno proverà a scoprirlo.
Ecco perché questa mattina sto salendo da solo sulla montagna.
Prima che sorgesse il sole sono uscito dalla città; prima che qualcuno potesse fermarmi, prima che i miei capelli rossi mi tradissero e qualcuno mi riconoscesse; perché un figlio di re non rischi di finire in pasto ai lupi o fatto a pezzi dalle menadi.
E forse sarà quello che accadrà; nessuno sa cosa tiene il Fato in serbo per me.
Ma certo non mi troverà inerme, a farmi piccolo di vigliaccheria e superstizione.Gli altri si affidino pure agli dei e alle preghiere.
Io, io voglio risposte.
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Ti sento.
Ho avvertito il tuo passo nervoso dal momento in cui hai cominciato a salire il sentiero sul fianco del monte.
Il profumo della tua irruenza tinge l'aria come vino nell'acqua, il sudore che cola sulla tua schiena brilla nel sole come oro.
Ti sento. Ti aspetto.
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Quando i primi raggi del sole mi toccano le spalle, mi trovo ormai sulle pendici della montagna.
Un alito lieve di brezza spira dal fondo del bosco; il suo fresco sussurro è un sollievo sulla pelle accaldata.
Mi fermo e respiro a fondo, per rallentare il cuore messo alla prova dalla salita, per contare i miei nervi tesi, che fremono nonostante tutto.
Il vento che mi solletica la nuca si porta dietro un profumo di resina e l'odore asciutto dell'erba ingiallita.
L'ombra del bosco non mi è mai apparsa più invitante.
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C'è qualcosa di diverso, nella luce, quando passa attraverso i rami.
Anziché effondersi in modo semplice e uguale, come sui tetti delle case di Tebe, si spezza in una raggiera di frecce, si riversa a macchie sul tappeto di aghi di pino, sui cespugli di mirto, sulle bacche rosse del lentisco.
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Breve racconto arcadico
FanfictionDicono che un dio tenga corte sul monte Citerone. ❦ Una brevissima AU, con un rapporto molto tenue con il materiale originale e un ancor più tenue rapporto con le Baccanti di Euripide. Molto meno tenue la mia thirst per Michael Sheen in questo anno...