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Quel giorno di metà estate non era una bella giornata. Lo sapeva bene la Bentley che stava sfrecciando per le strade di Londra a sessanta chilometri orari. Ecco, era questo il problema: il suo padrone non scendeva mai sotto gli ottanta. Ma quel giorno non era un buon giorno e la Bentley stessa si sentiva grigia come il cielo plumbeo che la sovrastava. Grigia come l'umore del demone che la stava guidando.

Crowley accostò con una brusca sterzata e spense il motore. Doveva bere. Si era allontanato il più possibile da Soho, ma, come temeva, questo non era stato sufficiente a permettergli di calmarsi. Calmarsi. Non gli sarebbero bastati altri seimila anni per farlo. Certo, si arrabbiava spesso, ma stavolta era diverso. Stavolta qualcosa si era rotto, dentro. Non si sentiva più come prima. Non era nemmeno sicuro di essere davvero arrabbiato. Magari era delusione, quella che provava, o magari odio. Oppure entrambe le cose e al contempo un sentimento del tutto diverso.

Scese dall'auto, sbattendo la portiera senza troppe cerimonie, dirigendosi verso il primo pub che catturò la sua attenzione. Non appena la porta del locale si fu richiusa alle sue spalle gli sovvenne l'amara considerazione che Aziraphale avrebbe odiato quel posto. Meglio così. Si sedette nell'angolo più buio del locale, dove si era miracolosamente liberato un tavolo proprio in quell'istante. Ordinò del whiskey, una bottiglia intera, e rimase a fissarne il colore per qualche secondo prima di scolarsi un bicchiere tutto d'un fiato. Il liquore scese come una fiammata giù per la sua gola, ma non c'era fuoco che Crowley potesse temere. Non c'era fuoco che potesse lasciargli bruciature peggiori di quelle che già gli ricoprivano il cuore.

Fece una smorfia disgustata. La qualità del whiskey lasciava molto a desiderare, era quasi tutto alcol. Poco male, si sarebbe ubriacato prima. Come un omicida pentito, anelava soltanto al dolce oblio dell'incoscienza, benché fosse dolorosamente consapevole che non sarebbe riuscito a dormire quella notte, e neanche le seguenti.

«Io non capisco», iniziò a borbottare tra sé dopo aver tracannato il settimo bicchiere. Appoggiò un gomito sul tavolo e si sostenne la fronte con la mano. «Non capisco, angelo. Avremmo potuto essere noi».

Gliele aveva dette, quelle parole, in un ultimo, disperato tentativo di convincerlo a restare. Vano. Neanche il bacio aveva distolto l'angelo dal suo proposito; era stato soltanto un errore, uno parecchio sciocco.

«Sei un vigliacco».

Aziraphale, Angelo del Cancello Orientale, era l'entità celeste più coraggiosa che avesse mai conosciuto, ma soltanto quando si trattava di esporsi per gli altri. Crowley aveva la sensazione che semplicemente non gli riuscisse di essere egoista, se non sulle inezie. Era un tratto caratteriale di Aziraphale che lo irritava e affascinava insieme, e forse per questo non si era reso conto di quanto potesse essere pericoloso. Il desiderio dell'angelo di fare del bene a tutti i costi aveva portato alla loro separazione e stroncato sul nascere i sentimenti appena venuti alla luce.

«Io non credo che sia stata una grande idea, sai?», continuò, come se Aziraphale fosse lì di fronte a lui. «Tornare Lassù ti spezzerà. Prima o poi riceverai un ordine che non vorrai assolutamente portare a termine, come quello sui figli di Giobbe. E allora... Be', angelo, allora ti guarderai intorno e capirai che hai fatto la scelta peggiore. Ma dovrai conviverci, perché non ci sarà più quell'idiota di Crowley a salvarti le ali. Io non ci sarò».

Appoggiò la fronte sul tavolino. Era freddo, di metallo. Lui, invece, scottava. Nel suo animo divampava il fuoco dell'amore tradito, il vero fuoco dell'Inferno.

 E davvero non avrei voluto lasciarti andare. Le parole gli si erano bloccate in gola, soffocate dall'incendio che lo stava dilaniando. Se soltanto se ne fosse accorto per tempo, se soltanto avesse trovato prima il coraggio di parlargli, di baciarlo, allora forse...

Solo un nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora