IV

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Entrò senza preoccuparsi di annunciare la propria presenza, come faceva sempre. Ormai Muriel non si spaventava più, perché era uno dei pochissimi che ancora varcassero la soglia del negozio e l'unico a farlo durante l'orario di chiusura.

«Angioletto! Guarda che ho trovato», esordì Crowley, facendo trillare un paio di volte il campanello posato sulla scrivania con la mano libera. Era di buon umore quel giorno: decisamente insolito per i suoi standard demoniaci.

«Muriel?», la chiamò dopo un po', non avendo ricevuto risposta. Si accigliò, cominciando a preoccuparsi. Assunse una postura tesa e avanzò verso il centro del negozio. «Oh, ditemi che non è in cantina...», borbottò fra sé.

«Credo proprio che sia in cantina, invece».

Crowley si irrigidì. Le dita, divenute inerti, lasciarono cadere la tazza con le anatre sul tappeto.

Rumore di passi che si avvicinavano, leggeri e quieti. Conosceva la cadenza di quell'andatura, ne aveva ascoltato il suono innumerevoli volte. Rimase immobile, il cuore che batteva furiosamente contro la gabbia toracica.

«Crowley».

Quando i passi cessarono, il demone prese coraggio e si voltò.

«Aziraphale». Il nome gli scivolò dalle labbra senza che se ne accorgesse, quasi fosse una preghiera. Crowley percorse la sua figura con lo sguardo avido di un disperato. All'apparenza ben poco in lui era cambiato, ma i suoi begli occhi azzurri, ora incorniciati da rughe più accentuate, erano meno brillanti e gioviali di quanto il demone ricordasse, e il suo profumo era soltanto un ricordo. Crowley sentì una fitta al petto quando se ne accorse. Finalmente si erano rincontrati, ma quello non era più il suo angelo.

Il Cielo ha un suo prezzo ed è un esattore puntuale.

Seguì un silenzio denso epesante. Nessuno dei due pareva sapere cosa dire, troppo stupefatto e sollevatodalla presenza dell'altro. Era come riprendere a respirare dopo una lunga apnea.

Il demone strinse la lingua tra i denti, imponendosi di non iniziare a parlare per primo. Non voleva quell'onore, non quella volta.

«Sono felice di vedere che stai bene», cominciò l'angelo dopo un po', esaudendo la sua supplica silenziosa. «Muriel mi ha tenuto aggiornato sull'andamento della libreria. Mi ha detto che l'hai aiutata ad ambientarsi. Ti ringrazio. Sei stato davvero-»

«Non provare a dire "gentile"», cercò di minacciarlo. «L'ho fatto soltanto perché mi annoiavo». Era una bugia bella e buona, ma Crowley sperò che ci credesse. Si chinò per raccogliere i cocci della tazza, riparandola con un miracolo prima di posarla sulla scrivania. «Perché sei qui?», trovò infine il coraggio di chiedere, quando si fu raddrizzato.

«Muriel mi ha chiesto di venire, le serviva aiuto con l'inventario». Aziraphale si torceva le dita, nervoso.

Bugiardo.

Crowley sollevò un sopracciglio. «L'arcangelo supremo ha tempo per dedicarsi alla sua libreria, dopotutto», commentò, scettico come chi ha fiutato una menzogna. Tuttavia dirlo lo ferì, perché non fece che ribadire l'enorme distanza che ora si frapponeva tra loro.

L'angelo strinse le labbra. I suoi occhi si colmarono di dolore, lo stesso che il demone sentiva annidarsi nei propri. Eppure c'era anche qualcos'altro, in quello sguardo: l'ingenua purezza d'animo che da sempre caratterizzava Aziraphale, l'incrollabile certezza di chi è in pace con se stesso.

No, non con se stesso. Con la sua coscienza, forse, ma non con se stesso. C'è qualcosa che lo sta consumando. Il demone non volle illudersi di essere proprio lui, quella cosa. Aveva smesso di sperare anni prima, non avrebbe ricominciato adesso.

Solo un nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora