Anni senza fine.

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Dedicato a te, che di dediche ne hai avute tante, ma mai sincera come questa. Da parte mia che ti amo tanto, e che tanto prima o poi ci ritroveremo.
Proteggimi ovunque tu sia.
19-9-92/24-5-10

Eravamo faccia a faccia,come 6 anni prima,ma la storia era diversa. Non si reggeva più sulle sue gambe, le sue ossa erano come una clessidra, man mano il tempo le trasformava in sabbia, ma, anche se avessi girato quella clessidra, quella sabbia non sarebbe tornata a vivere.
E alla sua fine mancava poco, lasciavo che quei granelli scorressero tra le mie mani. Nonostante tutto mi tiró un pugno. Ne ebbe ancora la forza, e io ebbi la forza di capire il dolore, non quello della carne, ma quello dell'anima, e il dolore delle lacrime, le sue che si erano impresse su quel gesto.
Mi cadde la sigaretta di bocca,non ebbi nemmeno il tempo di abbassarmi sulla mia felpa di tre taglie più grande che ne partì un secondo. Mi urlò contro. Con le mani sul mio petto, e quella forza che andava via via maggiorando.
"Non devi fumare tu"- avevo le lacrime agli occhi, nemmeno mio padre si sarebbe comportato così, ma da lui lo accettavo- "come quattro anni fa" riprese "questo è il tuo sangue, questo è il mio sangue, come quando ti tagliasti un dito, e lo feci anch'io, come quando appoggiandolo sul mio dicesti di essere mio fratello per il tempo che mi restava e...". Chiuse gli occhi in segno di sconforto e mandò giù un groppo in gola.
"E oltre" conclusi io, bruciando quell'insulso pacchetto e buttando a terra quel bastoncino che stava divorando la mia vita.
Era un patto di sangue. Avevo solo 8 anni e lui 13, eravamo sempre lì, dove lo conobbi due anni prima. Nulla di che, era seduto in un angolino del terrazzo delle case popolari in cui vivevo, aveva un paio di cuffie enormi, era tutto enorme rispetto a lui, le scarpe, i pantaloni, la maglietta, ma soprattutto il cuore. Alzó le cuffie, e stringendomi una guancia mi chiese il nome, timido e con la spensieratezza di un bimbo risposi: "Marco"-e ridendo continuai- "tu mongolfiera come ti chiami? ".
Mia mamma intenta ad appendere i panni, scoppiò in una fragorosa risata senza distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo. Anche lui scoppiò a ridere, per me non era più che un semplice "estraneo". Rideva fino allo stremo, forse perché avevo l'espressione di chi, come lui,era curioso di conoscere la vita, ricordo quello sguardo, d'un tratto finii di ridere e disse:
"Piacere mi chiamo Daniele. Ma attenzione che la mongolfiera in questione potrebbe essere molto pericolosa.".
Incuriosito ancora di più, m'avvicinai a lui, e con piena ingenuità ribattei: "Sì?! E come fai se sei seduto a terra e io corro come un fulmine?".
Di scatto si alzò, e afferrandomi mi fece volare in aria sorridendo, ma le sue forze venivano a mancare, e il giro su quella giostra finì ben presto. Nelle cuffie suonava " Big Poppa " di Biggie, ancora non ne capivo molto, lo scoprì dopo, come scoprì che quella mongolfiera prima o poi sarebbe scesa a valle.
Scendendo dal terrazzo scoprì che abitava due piani più su del mio, era nuovo di lì. Aveva un accento troppo milanese per essere di Centocelle, ma in fondo, i suoi avevano un accento troppo siciliano per appartenere a quella vita. Tornato nell' appartamento , mio fratello dormiva ancora, ed erano ancora le sei del pomeriggio, ma a Cento il cielo già imbruniva e i primi ragazzi già si appartavano nel parcheggio, io meditavo guardandoli, in ginocchio sulla sedia con i gomiti sul davanzale, pensavo a cosa sarebbe stato della loro vita, ma non trovavo risposte. Accesi la TV e chiamai mio fratello. Era l'ora dei Digimon e di Monster Rancher, era il 2003, e ancora, più di ora, la mia vita era un'incognita da svelare. Mia madre cucinava i pop corn, nella casa si diffondeva quell'odore delizioso; io intanto aspettavo sul divano. Erano accese solo le luci del piano cottura, in casa regnava il chiaroscuro, quell'atmosfera mi riparava dalle grida della strada, intanto iniziavano i cartoni, mio padre non era ancora a casa, non sarebbe tornato prima delle 20.30, e fino a quell'ora, pace.
La strada brulicava di vita, tra schiamazzi e strette di mano, tra le auto e i motori modificati,tra gli skate e le bmx. Io ero già sotto le lenzuola, era una fresca giornata di settembre, e io riconoscevo già l'aria nell'ambiente che non mi apparteneva, i miei stavano litigando, ancora, di nuovo,come sempre.
Erano già passati tre giorni da quando conobbi Daniele, e mi chiedevo dove fosse finito. A casa ero rimasto solo, così bloccai Tony Hawk e lasciai il Joystick grigio della mia Ps1, varcai l'uscio della soglia di casa e arrivai vicino al suo appartamento. Suonai diverse volte,ma nulla. Appena voltai le spalle però, si spalancò la porta, e una bella signora, con dei capelli castano scuro sui 35 anni, mi disse che se cercavo Daniele era in terrazza, ringraziai e mi catapultai da lui.

I tempi duri dei sognatoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora