Scaricai dal bagagliaio della mia mente quelle valige piene di sogni.
Finalmente ero su un treno diretto verso casa.
Pensavo che tutto quello che mi stava succedendo era uguale allo scenario che vedevo aldilà del vetro. Si alternavano vedute cupe ad immensi campi verdi, ma la velocità faceva si che non riuscissi a catturare per bene quelle immagini, e proprio come quei momenti, quegli anni sparirono dalla mia mente. Mi addormentavo spesso sul bracciolo del sedile con il sole che illuminava l'intero vagone. Spesso appoggiavo la faccia sul vetro e chiudendogli occhi mi soffermavo ad ascoltare le pulsazioni del treno, il ripetersi di quella voce meccanica che mi cullava fino all'arrivo. Quando poi sentivo le mani di mia madre che ancora mi sfioravano le guance con delicatezza per svegliarmi, aprivo gli occhi, come se fosse una scena irripetibile, mi gettavo al finestrino e con sorriso fiero leggevo "Roma Termini". Ero a casa.
Mio fratello continuava a dormire imperterrito, mentre io aiutavo mamma a scendere i bagagli, e solitamente ci aiutava anche un controllore dato che papà rimaneva a casa per lavorare. Respiravo profondamente e non lasciavo sfuggire nessun dettaglio, dai graffiti ai treni abbandonati, dai controllori indaffarati ai barboni ancora avvolti nei loro lenzuoli, stesi a scrutare il mondo da una scatola di sogni, con il cuore a spasso e i sorrisi pieni di soldi, quegli dei passanti che ne calpestavano le scarpe o delle madri che inorridite attiravano a se i propri figli, convinte che un abbraccio potesse eliminare dai loro ricordi quelle scene.
Così presimo l'ennesimo treno che segnava come meta Centocelle e io mi addormentai ancora pensando che le immense braccia di quella città mi avvolgessero e tenessero lontano da tutti i miei problemi. Una volta sveglio mancavano ancora due fermate e già sentivo l'adrenalina che prendeva il dominio del mio corpo. Ero ancora tra i palazzi che mi hanno visto crescere, di fronte allo skatepark e al campo di basket, ero di fronte alla mia vita, quella vera. Ma non ebbi nemmeno il tempo di salutare i miei vecchi amici perché nel giro di un giorno eravamo già a Ponza, una piccola e piacevole isola dove trascorrere le vacanze, e io mi ritrovavo tra le braccia di mia nonna che mi accarezzava le guance ripetendomi che ero diventato un ometto. Così la giornata volse al capolinea e l'orologio segnava già le undici e dalla strada arrivavano gli schiamazzi dei bimbi impegnati a giocare e le risate dei genitori troppo indaffarati ai pettegolezzi per curarsi di qualsiasi lamento o di preoccuparsi di un buco su un pantalone per qualche sgambetto di troppo.
In quei momenti fissavo il mare che accarezzava i ciottoli della spiaggia e pensavo a dove fosse Daniele in quella torrida sera di luglio.
(Scusate ancora la mia assenza,questo capitolo non mi entusiasma molto,ma vi prometto che tornerò a scrivere come so! Un abbraccio)
STAI LEGGENDO
I tempi duri dei sognatori
Short StoryUn pensiero di troppo per una parola in meno,il silenzio di una vita,la matita con cui Daniele disegna ogni giorno un sorriso sul suo volto,le lacrime di Marco,i pensieri che affollano la mente,le cicatrici delle bugie e le pallottole nel cuore da c...