"Di curiosità i bambini ne vanno ghiotti, sembrano fare come i capitalisti fanno con i prodotti. Mi spiego, ne cercan sempre uno nuovo voglio dire, al che ne trovan una per tutto, per il nascere, per il crescere e per il morire."
Si chiede in anticipo scusa per l'uso delle molte parentesi nel corso del testo (ma servivano riflessioni interne).
E' vero da bambini si è curiosi, estremamente curiosi e tutto filtra come da un, perdonate la triste metafora al giorno d'oggi, giacimento petrolifero. Ma è petrolio inteso come oro il materiale della ricerca che i bimbi vorrebbero poter fare. Dico vorrebbero, perché non tutti i bambini nascono" fortunati"; "guidati" verso questa loro ricerca. Ma è questo uno dei punti fondamentali che penso dovremmo come comunità avere il compito di garantire ai nostri neo-concittadini oggigiorno. La libertà della ricerca. Di libertà di ricerca volendo ce n'è tanta in giro, tuttavia, voglio esser chiaro... la tesi che voglio qui esporre è che ci sono degli usi sociali che portano a non renderla molto adatta all'apprendimento attraverso ricerca spontanea, indomita, curiosa appunto, come quella fatta da un bambino.
Anzitutto essa (la libertà) è tanta, veramente tanta. Gaber diceva che per esser liberi bisogna partecipare, ma come tante delle cose dette da Gaber credo che lasci spazio a parecchi margini interpretativi. Del resto era un artista, prima ancora di essere un uomo intellettuale (con questo voglio dire che le sue prese di posizione e quelle di cui ci è rimasta traccia oggi, non sono libri da lui scritti, articoli, paper, e simili, ma opere artistiche). E l'arte, come si sa in questa sorta di ontologia collettiva che è detta "saper comune", è pensiero prima di tutto incarnato (come direbbe Appino, "pensiero che esce dal corpo") e come tale lascia spazi, incertezze su cosa veramente sia stato detto. Ma, tornando a noi, a me piace interpretarla in questo modo: esser liberi significa dare il proprio contributo. Attenzione: il contributo di cui stiamo parlando è sentito, ricercato per l'appunto. Vi è, in questo contributo, un livello di analisi, di addentramento nell'oggetto del contributo, che nasce prima di tutto dalla ricerca di una curiosità, di un interesse. E' questa ricerca poi, che ti permette di dirti "libero".
Tornando quindi a noi ed ai bambini: la ricerca di un bambino dovrebbe (e dico dovrebbe perché non sempre le condizioni familiari, sociali, culturali lo permettono) essere prodotta naturalmente dal contesto in cui il bambino vive, sperimenta. E che contesto è quello in cui la libertà (quella non nel senso gaberiano dapprima descritto, ma quella del senso comune, o almeno, del senso comune nel 21esimo Secolo) è semplicemente poter farsi scegliere dall'algoritmo Instagram o Tik Tok, quale contenuto vedere, cosa scorrere sullo schermo, cosa far entrare nella propria testa e dunque da cui prendere interesse o meno verso qualcosa.
Non voglio dire che gioco forza Instagram e Tik Tok sono i demoni della nuova era, del nuovo secolo. Tik Tok è nato da poco, e Instagram saranno 5 anni che ha preso dominanza nei confronti di Facebook; il Secolo promette ancora cambiamenti e non è detto nemmeno che queste piattaforme restino ciò su cui i bambini e gli adolescenti di oggi spenderanno prevalentemente il loro tempo. Inoltre, se selezionano con cura i propri contenuti, anche delle piattaforme del genere sono in grado di dare, seppur scremata in pochi secondi, una certa dose di cultura, di soddisfazione alla domanda di curiosità interiore.
Però attenzione nuovamente: ciò su cui voglio portare la lancetta del mio orologio, il baricentro della mia tesi; è che questo è il Tempo in cui ahimè, oggi più che ieri, ci imbattiamo in cose (che siano decise da algoritmi o da palinsesti televisivi) in cui l'informazione (che intacca tutti, non solo i bambini, sebben questi sono purtroppo la categoria più a rischio poiché non ha ancora il potere di agire criticamente suoi contenuti) su cosa vogliamo sapere, e, in seconda analisi, su chi vogliamo diventare (e, in ultima analisi, su chi siamo), è sempre più decisa da altri.
Ognuno vorrebbe dirsi padrone delle conoscenze che ha e, al contempo, Signore indomito che ha intrapreso senza influenza alcuna, un proprio percorso di conoscenza; ma, miei cari, l'informazione ci giunge pur sempre da qualcuno. (E' questo il paradosso del sapere. E' sempre ereditario, non sei mai tu a saperlo e mai nemmeno colui che te l'ha detto).
E quel qualcuno sono esseri umani (o algoritmi che circolano informazioni di esseri umani o di IA, le quali ripropongono comunque dei Bias umani); che hanno i loro Bias, le loro deviazioni dalla norma di razionalità, il loro impeto (anche nei testi scientifici seppur meno) di soggettività (a volte più che necessario nei testi umanistici), e anche qui occorre fare attenzione, perché insegnare chessò, i propri principi etici e morali, ad un bambino, può intestardirlo, e sarebbe, come dice Gaber nella sua canzone, meglio, lasciar che questo li sviluppi da sé. Ci sono cose, mi ha fatto riflettere Gaber; che più che insegnate vanno lasciate vivere. "Forse una grave imprudenza è lasciarli in balia di una falsa coscienza". Che ci dice questa frase? Molto e niente a mio avviso. Molto perché la coscienza falsa, che li lascia in balia, potremmo esser noi ad avergliela distillata attraverso le nostre ideologie. Niente perché è una frase che non si esprime su cosa invece dovremmo fare per loro, su come, senza insegnare, insegnamo. Si perché se non gli insegnamo noi sarà il mondo laffuori ad insegnare, ma sarà comunque insegnamento: le tv, i giornali, i social soprattutto, i prof, il vicino di casa, gli amici, i genitori degli amici, i parenti, ecc. E' impossibile non distillare una qualche ideologia (o insieme di esse) in un qualcuno. E' semplicemente impossibile. Ecco perché dico che non da una risposta. Ma è solo apparente. Quello che Gaber secondo me vuol dire è di lasciare che la corrente dei nonni, cugini, sorelle/fratelli, amici del parchetto, dai guru su Youtube e santoni della Rete ai più attenti maestri e professori, dica la loro e che tuttavia, chiunque di loro debba vedersela con dei bambini/adolescenti, sia in grado di comprendere e far loro comprendere che la loro non è che un punto di vista, una prospettiva sulle "cose", sul Mondo, e che non deve in alcun modo diventare (più difficile dirlo a Guru e Santoni) un chiodo fisso nella mente di un bambino.
Il bambino deve continuare ad esplorare e con il suo vissuto scalfire tutte le varie Ideologie e teorie che gli vengono a raffica buttate in faccia (letteralmente se guarda uno smartphone) e, mano a mano, impadronirsi di quelle che, sulle sue esperienze, gli sembrano quelle che più calzano con lui, che più sono consone a far esprimere anche a lui a sua volta poi, un desiderio di esprimerne una.
Perché i bambini sono vita, i ragazzi sono vita e questa vita, signori, non dobbiamo fargliela sprecare dietro a quelle che sono state le nostre di esperienze, il loro futuro non dev'esser pieno di vecchi Ideali.
Così che, come dice Gaber, "giro giro tondo, cambia il Mondo".