Il chiodo fisso

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Sono una persona cattiva?

Da piccolo, i miei compagni di classe me lo ripetevano spesso.

Avevano giocattoli bellissimi: macchinine rosse, soldatini lignei e biglie colorate. Ne ero incantato: li volevo anch'io.

A ricreazione mi avvicinavo ai loro banchi, aspettavo che il giocattolo fosse lasciato incustodito e poi lo prendevo. Mi mettevo in un angolo nella stanza e ci giocavo.

Ci giocavo finché il proprietario non se ne accorgeva.

<<Sei cattivo>> mi diceva. E aggiungeva: <<Non devi prendere le cose degli altri>>.

Quando gli insegnanti se ne accorsero chiamarono i miei genitori e li informarono di questo mio vizio.

Fui sgridato, messo in punizione.

Smisi di voler prendere i giochi degli altri bambini.

Crescendo, tuttavia, iniziai a sviluppare un'altra ossessione: il denaro.

Intorno a noi si ergono alte mura, invalicabili. Ci sentiamo come uccelli in gabbia. Siamo costretti a sottostare alle decisioni prese da altri.

Il denaro, tuttavia, ci permette di soddisfare qualsiasi nostro desiderio: acquistare quello che vogliamo, e non solo quello che ci è necessario.

Ecco, allora, che quelle mura alte cominciano a sgretolarsi di fronte ai nostri occhi e noi intravediamo la nostra libertà.

Mia nonna, il giorno del mio sedicesimo compleanno, mi si avvicinò, una mano nella tasca della felpa e un sorriso furbo dipinto sul volto.

<<Stai diventando grande, eh. Qualche anno fa mi stavi attaccato alla gonna, chiedendomi di prepararti da mangiare. E ora eccoti qua!>> mi accarezzò con affetto la guancia. <<Ti devo ancora dare il mio regalo. Ho pensato a lungo cosa potevo comprarti, ma, non riuscendo a fare una scelta, ho preso una decisione che, spero, ti soddisfi>>.

La nonna mi porse una busta ingiallita. Io la presi e, attento a non rovinarla, la aprii.

Dentro, come un miraggio, scorsi diverse banconote.

Banconote di colore arancione.

Le fissai, come in trance.

Sentii la voce di mia nonna, un po' ovattata, dirmi: <<Sei abbastanza grande da comprarti quello che vuoi, fanne buon uso>>.

La ringraziai, distrattamente, i miei occhi ancora fissi sul contenuto della busta. Dentro c'era anche un bigliettino, probabilmente di felice compleanno, ma lo ignorai.

Appena mia nonna si allontanò, tirai fuori i soldi dalla busta e, con le mani tremanti, li contai: duecento euro. Quasi temendo di aver contato male rifeci il conto.

Cinquanta euro. Cento euro. Duecento euro. Una boccata d'aria fresca.

Stavo quasi per andarmene, quando i miei occhi catturarono uno scintillio dall'altro lato del tavolo: pochi spiccioli erano stati lasciati incautamente sulla tovaglia. Mi sentii attirare verso le monetine, il mio corpo si muoveva, sospinto da una forza quasi magnetica. Il mio braccio si alzò e, in un impeto fulmineo, presi i soldi di fronte a me. Mi appoggiai al tavolo, guardandoli. Tre euro e quaranta centesimi.

Li infilai nella tasca della tuta, attento a non lasciarli cadere.

La mano aveva un odore ferroso, un odore che avrebbe dato fastidio a molti, ma non a me. Quello era il dolce profumo della libertà.

Erano un piccolo portafortuna.

L'ultimo anno di liceo, dopo aver parlato con dei compagni di classe, decisi di diventare medico: i loro genitori lavoravano nel settore e avevo scoperto che venivano pagati profumatamente.

Vent'anni dopo quella scoperta, potevo dirmi veramente felice: portavo scarpe comode tutto il giorno, indossavo un bel camice bianco, e, cosa più importante, ogni mese mi accreditavano diverse migliaia di euro sul mio conto bancario.

Cosa si poteva desiderare di più?

<<Pasticcini!>>

<<Torta!>>

<<I pasticcini sono pratici, piacciono a più persone e costano di meno>>.

<<Sì, ma la torta è una tradizione. E poi, che festa di compleanno sarebbe senza torta?>>

I miei colleghi stavano litigando su non so cosa. Probabilmente sull'imminente compleanno di una nostra collaboratrice, non che mi importasse.

Io li ascoltavo solo distrattamente: la mia attenzione era rivolta a quello che tenevo stretto saldamente nelle mie mani: una moneta da due euro.

Poco prima li avevo trovati sulla scrivania, abbandonati da chissà chi. Osservai con attenzione la moneta: era del 2007, del principato di Monaco, e sopra vi era incisa l'effige della principessa Grace Kelly. Era probabilmente una delle monete più rare in circolazione, e valeva più di 2000 euro. E mi era capitata sotto il naso senza che facessi assolutamente nulla.

Mi venne da ridere.

<<Oh, guardate, il capo è di buon umore>>. commentò qualcuno alla mia sinistra. Rivolsi loro un sorriso smagliante: lo ero davvero.

A interromperci fu l'entrata di un'infermiera che ci informò di un incidente stradale: l'autista andava operato quanto prima o non ce l'avrebbe fatta.

L'umore della stanza cambiò immediatamente, tutti iniziarono a prepararsi per l'intervento, i discorsi sui pasticcini e sulle feste presto dimenticati. Li imitai, lanciando un'ultima occhiata ai due euro. Erano proprio belli.

Li infilai in un cassetto della mia scrivania, e mi avviai verso la sala operatoria.

Bruciava, le mani mi prudevano dal desiderio. Volevo riprendere la moneta e studiarla a fondo. Tracciare con la punta delle dita la figura di Grace Kelly: partire dal collo, poi il mento, il naso leggermente all'insù, l'elaborato chignon e poi la nuca.

Desideravo appoggiare il bisturi sul lettino e studiare ogni imperfezione del metallo.

Quanto mi avrebbero dato? Quanto avrei dovuto chiedere? Su internet si diceva che la moneta valeva circa duemila euro, ma erano sufficienti?

Mi pareva di vederla, Grace Kelly, di fronte a me; mi sorrideva, cospiratrice, e mi sussurrava all'orecchio:

"Duemila non sono abbastanza, valgo di più". Duemila non erano abbastanza, convenni. Forse tremila?

<<Dottore?>>

Grace Kelly arricciò le labbra in un adorabile broncio, e scosse la testa. Tremila no. Infondo... Grace Kelly era una principessa, e le principesse valgono molto. Quindi, più di tremila.

E cosa avrei detto al negoziante di numismatica? Come ero entrato in possesso di questo piccolo gioiello?

<<Dottore!>> l'esclamazione di una mia collega mi colse alla sprovvista. Mi girai verso di lei, infastidito, pronto a rimproverarla.

Con un secondo di ritardo mi accorsi che l'elettrocardiogramma non segnava alcuna attività cardiaca. Osservai, inebetito, il sangue sul camice, il bisturi nella mia mano ancora all'interno del corpo dell'automobilista.

Sentii dei piccoli colpetti compassionevoli sulla mia spalla, l'assistente dichiarare l'ora del decesso, gli altri colleghi parlare piano tra di loro.

Cosa era successo? Qualcosa di grave?

Ma la moneta dei due euro era ancora al suo posto, al sicuro nel mio ufficio, Grace Kelly mi sorrideva, spensierata.

E mi dimenticai del resto: andava tutto bene.  

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