Zane

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-364 giorni

Fu buffo quando passai dall'essere invisibile all'essere notato in ogni angolo della scuola. Non importava che cosa indossassi, che cosa facessi, loro erano sempre lì a parlottare tra di loro, indicandomi con lo sguardo.
Mi immaginavo le loro parole che nascevano come piccole serpi e poi scappavano dalle bocche dischiuse.
Oh mi dispiace così tanto Zane, eravate legati...
Ehi tutto bene amico?
Come stai ragazzo? Sei riuscito a studiare per il test?
Erano solo le domande che mi venivano poste, poi vi era il brusio nell'ambiente circostante, che era sconsideratamente aumentato dopo il funerale.
Si dice che avessero appena litigato... Oh no io non c'ero ma sicuramente...
Ha un bel coraggio nel tornare ogni giorno, così come l'altro...
Come potevano le persone pensare di poter dire tutto ad alta voce? Pretendevano forse una mia qualche reazione? Non mi suscitavano nulla.
Bisbìgli e risate, così andavano avanti le mie giornate.
Quella mattina Arthur mi accompagnò a scuola e anche se non avevo alcuna voglia di metterci piede mi sforzai.
Arthur mi stette affianco nei corridoi, sorridendo fintamente a chiunque provasse a rivolgerci la parola.
Inevitabilmente però giunse il momento di separarci. Arthur sembrò sofferente all'idea di non vedermi per qualche ora ma non ci feci poi così tanto caso. Avevo già il mio dolore da gestire, che in qualche modo era scomparso, o mai completamente manifestatosi. Sentivo un macigno sul petto che non voleva dissolversi. Arthur prima di andarsene nella sua classe mi prese il viso e appoggiò la fronte sulla mia, e per qualche secondo esistemmo solo noi due, in un limbo sereno. Fece dei respiri profondi prima di lasciarmi andare, facendo giungere nuovamente il peso familiare.
<< Ci vediamo in mensa, ok? >> mi provò a chiedere Arthur.
Io annuii distrattamente ma non staccai gli occhi da lui.
Mi accennò un sorriso e, voltandosi, proseguì lungo il corridoio diretto verso la sua classe.
Non avendo altro da fare anche io feci lo stesso, guardando a terra per non incontrare con la vista nessuno. Quando arrivai all'aula, la trovai semivuota e presi posto affianco alla finestra. Se c'era una cosa che mi piaceva, o per lo meno sopportavo a scuola, era poter guardare il paesaggio esterno. Sicuro che i professori non avrebbero potuto dirmi niente rimasi fermo così, con lo sguardo perso tra il cielo e le piccole rondini che certe volte attraversavano la mia visuale. Non mi mossi quando la campanella segnò l'inizio della lezione, e nemmeno quando si concluse.
Mi ero così completamente estraniato del mondo circostante da non accorgermi che il professore mi si era avvicinato e mi stava guardavo quasi sicuramente con gli occhi ricolmi di compassione.
Peccato che non me ne sarei fatto niente dei suoi sentimenti, a malapena mi servivano i miei. Sbuffai cercando di intimargli di non andare oltre ma i passi sul pavimento mi avvisarono del contrario.
Erano decisi e ritmici, erano di una persona sicura sulla propria meta e non esitante. Nell'ultimo periodo chiunque mi passaste accanto era traballante, insicuro se fermarsi o meno.
Improvvisamente ero diventato una lastra di vetro, estremamente fragile ma troppo affilata.
<< Zane sei stato distratto durante tutta la lezione oggi... >> iniziò il professore. Il signor Black era un uomo a posto. Mostrava una cinquantina d'anni, portava sempre i capelli all'indietro, servendosi di una buona dose di gel, e si vestita elegante, con maglioni sui colori del marrone e cravatte fantasiose nascoste dietro loro. Non lo avevo odiato la prima volta che lo incontrai, quasi tre anni fa. Al tempo non conoscevo Arthur, non conoscevo nessuno in realtà. Con il signor  Black ci presentammo, io e gli altri studenti del corso. Ci obbligò a descriverci tramite il nostro libro preferito e io non ne avevo. Quando fu il mio turno non lo nascosi, mi alzai e con la schiena dritta dichiarai di non averne mai preferito nessuno, che mi piaceva tutti allo stesso modo. Il signor Black mi aveva guardato interessato e, concluso il mio coraggioso sproloquio, perché fu ciò che alla fin fine diventò, mi sorrise e mi fece riaccomodare.
Da quel momento nacque uno strano equilibrio tra di noi. Ogni anno finivo nel suo corso e ogni anno mi faceva sempre la stessa domanda. Ogni volta sorrideva e non diceva altro. Insegnava letteratura e non aveva mai preteso che leggessimo qualcosa. Nelle vacanze ci forniva una lista infinita di libri dei più svariati generi ed eravamo liberi di decidere ciò che volevamo leggere e ciò che invece probabilmente avremmo solo distrutto presi dalla noia o dall'esasperazione.
Non mi era dispiaciuto come professore, mai fino ad allora. La sua voce spezzò il mio fiume di pensieri e mi portò alla realtà. Distolsi lo sguardo dalla finestra, abbandonavo temporaneamente quel mondo, e incontrai i suoi.
Erano solo occhi dolci. Forse un po' preoccupati ma non comparivano altre emozioni. Per un attimo pensai che avrei potuto anche essere gentile e aprirmi con lui.
Poi l'attimo passò.
<< Non volevo mancarle di rispetto. Posso assicurarle che non accadrà più >> tagliai corto.
Il professore accennò un sorriso ma non sembrò aver capito che volevo concludere lì conversazione. Non distogliendo gli occhi dai miei si sedette nel posto affianco al mio, probabilmente rimasto vuoto per tutto il tempo.
<< Hai lezione ora? >> mi chiese.
Presi il cellulare per controllare gli orari e appena trovai il file che stavo cercando imprecai mentalmente.
Ora buca.
<< In realtà no... ma avevo intenzione di andare in biblioteca e studiare chimica, sa ho una verifica importantissima in terza ora. Non vorrei che andasse male >> gli risposi.
Il signor Black mi rispose con un sospiro rassegnato e si alzò. Prima di allontanarsi definitivamente però mi osservò ancora un attimo.
<< Come va con Arthur, dopo... >> cercò di domandarmi. Il solito tentennamento inutile mi provocò un brivido di fastidio.
<< Tutto alla grande, davvero. Mai stati così uniti>> gli risposi ironicamente e anche un po' troppo tagliente per i miei gusti.
Sembrò in qualche modo ferito dalla mia risposta, ma lo nascose quasi subito. Si avviò verso la cattedra e, presa la borsa, uscì dall'aula.
Un lutto può avvicinare due persone, ma anche allontanarle.
Con Arthur dopo l'incidente si era istaurato un rapporto strano. Non parlavamo dell'accaduto, non seriamente.
Eravamo come una luna e un pianeta, gli orbitavo intorno senza mai toccarlo davvero.
Mi accasciai sul banco e nascosi la testa fra le braccia. Era tutto più difficile, e non trovavo una soluzione.
Non per noi, ci saremmo rialzati, fasciati le ferite e avremmo ammirato l'enorme cicatrice che solcava i nostri cuori.
Ma come si fa quando si viene privati del sole? Come si può annullare la vastità di ghiaccio che ci ricopriva?
Era sempre stato assurdo da pensare, eppure era successo.
Sol era morta, e il nostro fuoco si era spento.

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