Prologo

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Minnesota, Helmich
Linda
Mi affaccio dalla finestra della mia camera ormai spoglia: il sole spicca in cielo obbligandomi a socchiudere gli occhi. Beato lui che è tanto felice. Io ci ho anche provato, ma non ci riesco, non riesco a mandar giù il fatto di dover lasciare questo posto, insomma l' aria del mattino che sa di rugiada, le mura color cielo della mia stanza, persino il vento è speciale qui. Come farò ad abituarmi a Chicago? Mhh...non mi piace, per niente, anzi lo odio. Per di più non c'è nemmeno una nuvola stamattina. Fantastico, non riuscirò nemmeno a salutarla.
<Linda! Scendi asociale!> La voce di mio fratello mi risveglia, sempre il solito. Butto un ultimo sguardo alla camera: il letto bianco, gli armadi in legno, le nuvole dipinte sulle pareti e la sua immagine.
< Oh ti muovi o no?!> urla mio fratello da sotto
< Arrivo,cavoli!> urlo
Passo una mano sopra la tela e le rivolgo uno sguardo colmo di affetto. < Addio > sussurro dolcemente < Non dimenticarti di me>
Scendo le scale a chiocciola <Oh, ma allora sei viva!?>
<Ti dà proprio fastidio portare pazienza, vero Edmund?> sbraito
<Potrebbe anche darsi, ma sai com'è tra un po' quelli partono e io qui non ci rimango!> sbuffa lui. "Non sai quanto vorrei rimanerci io..."
<Edmund, Linda muovetevi!> dice papà abbassando il finestrino del auto.
<È Linda, non si da mai una mossa> si giustifica mio fratello
<Edmund...> lo rimprovera mamma
<Già Edmund fai il bravo>dico mentre salgo in macchina e gli scompiglio il ciuffo castano.
<Linda ti prego, è già abbastanza difficile così> ammette papà: è inutile discutere o scherzare con loro. Guardo fuori dal finestrino mentre infilo le cuffie e l' ultima cosa che vedo prima di chiudere gli occhi è casa nostra, le nuvole, il suo volto, gli alberi, l' erba e il suo sorriso, il suo bellissimo, dolce sorriso.

*

L' auto si blocca bruscamente, sento il suono del freno a mano solleticarmi i timpani: apro gli occhi e ciò che vedo mi fa rabbrividire: una condominio in mattoni nella fascia centrale di Chicago ci attende. No, non può essere casa mia... vediamo di scendere da questo rottame puzzolente d'auto. Fosse facile. Mio fratello infatti scalpita per scendere per primo, tira pugni e calci <Edmund!> e... rimane incastrato tra le valigie. Lo sorpasso con lo sguardo di chi è superiore a tutta questa stupidità e gli soffio queste parole: <Hai quindic' anni Edmund, non tre!>
Comunque se la caverà, sono valigie non pezzi di lava! La prima cosa che faccio scesa dal auto è volgere lo sguardo al cielo: nuvole. Ma non belle nuvole. Tutte accatastate sembrano quasi uniformi tingendo il cielo d' un grigio triste.
Che incubo.

Edmund
Che figata! Chicago! Voglio dire... Chicago! Non riesco a crederci, vorrei osservare meglio il tutto, ma quella ebete di mia sorella mi incastra tra delle valigie! Come le vengono in mente certe robe... oh sì! Uscito da questa come posso dire... sottospecie di auto? Massí dai, andrà bene. Cavolo però... da Helmich a Chicago... non riesco a capacitarmene! "Oh-oh guarda chi è di spalle...Linda??? Pronta ad un infarto di quelli pesanti?"
Mi avvicino a lei di soppiatto e...
<Ed, sei dietro di me, non sono cieca>
Che palle!
<Ma possibile che devi rovinare sempre tutto!? E poi... cosa sei, un' aliena, hai gli occhi dietro la testa?!> esclamo
Prima che lei possa ribattere però, la voce di mamma ci arriva alle orecchie:< Invece di litigare, Linda prendi lo scatolone della tua stanza e tu, Ed, le cose del salotto>
< Sai mamma, se tieni tanto ai tuoi bicchieri ti consiglio di non lasciarli in mano ad Edmund Finnagal> ridacchia Linda, la fulmino con lo sguardo
<Già...già Ed non le cose in vetro> riflette mamma. Sbuffo, mia sorella è una palla a volte!
Ci ritroviamo tutti e quattro davanti al cancello d' entrata con papà che cerca- in qualche sconosciuto modo- di aprire la serratura. Qualcosa mi dice che resteremo qui ore... sospiro. E dopo cinque minuti Linda si avvicina, prende il mazzo di chiavi e apre senza difficoltà il primo cancello, il secondo e la porta di casa. Fastidiosamente mitica.

Linda
Apro la porta del appartamento: che tristezza . Pareti bianche,tutto vuoto, una sola libreria vuota. Passo alla cucina: tutto bianco, il frigo staccato, i fornelli che praticamente non funzionano, il piano per cucinare sporco.
Camera di mamma e papà,due parole: vuoto e sporco.
Ok, la parte difficile,camera mia:
Il parquet marcio scricchiola sotto i miei piedi, il letto ha un materasso duro come la pietra e la finestra da direttamente sul cielo grigio di Chicago... ma perché siamo qui?...

7 mesi prima

<No! Io questo posto non lo lascio! Sognatevelo!> urlo a mamma e papà, le lacrime mi pungono le palpebre, minacciano di strabordare sulle guance.
< Linda, ragiona, è un modo per ricominciare, non devi preoccuparti > dice mamma cercando di riappacificare la situazione.
<No, come potete anche solo pretenderlo! Ma non vi rendete conto che non cambi...> grido
<Linda...>
< Non cambierò idea!!!> le lacrime rotolano sulle gote
<Avanti, Lilla>
Mi blocco. La rabbia mi ribolle nelle vene come mai prima d' ora.
<Lilla? Lilla? Sapete che c'è? Andatevene dove vi pare, io da qui non mi schiodo! > Faccio per salire le scale, ma mi fermo e sibilo le ultime parole con una crudeltà che non pensavo nemmeno di avere <E vi giuro, vi giuro su Dio, che se osate chiamarmi ancora così non mi rivedrete mai più > Salgo le scale e sbatto la porta senza degnarli di uno sguardo. Tanto lo so già che mamma sarà in lacrime e papà pronto a sbranarmi, perciò chiudo a chiave la porta:li odio.
Ad un certo punto la serratura fa un piccolo scatto e la porta si apre.
<Edmund, io ti giuro che se stavolta l' hai rotta, l' aggiusti tu con le tue manine sante!>
<Non preoccuparti, me l' hai insegnato tu> sussurra mio fratello mentre si siede accanto a me sul letto.
< Non è bastato.>mormoro
< Non basterà mai> dice Ed mentre prende la mia testa e l' appoggia sulla sua spalla, mi accarezza la schiena. Anche se è lui il più piccolo- e nonostante tutta la sua stupidità- mi aiuta più di quanto io voglia ammettere.

Già, che litigata... Lilla! Come possono pretendere che io qui stia bene?
Dei passi alle mie spalle mi fanno voltare
<Però, che stanza!> ridacchia Edmund
<Ma stai zitto và! La tua sarà un rottame con le pareti!>
Alza il dito medio sfoggiando un falso sorriso e se ne va. Sorrido.
< Linda, Edmund preparatevi per andare a letto che è tardi!> urla papà dal piano di sotto
Butto un occhio all' orologio che ho sul polso: già le 22:40! Cavolo com' è passato in fretta il tempo... mi sposto dalla finestra, dirigendomi in bagno: spazzolino, dentifricio e mi lavo i denti. Pigiama e m' infilo sotto le coperte, che stanchezza. Chiudo gli occhi e mi addormento...

La ragazza che leggeva le nuvole Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora