Ho appena concluso il mio giro di perlustrazione sul sito della Road Mechanic quando la porta viene aperta di scatto e un ragazzo fa la sua comparsa. Porto istintivamente il taccuino al petto, le nocche bianche per quanto forte lo stringo.
Non mi rivolge nemmeno uno sguardo, troppo indaffarato a disfarsi delle cuffie alle orecchie che si lascia cadere attorno al collo. Si dirige subito verso la caraffa colma di caffè e se ne versa una tazza, poi recupera una ciambella ricolma di zucchero a velo e l'azzanna, l'attimo successivo lo sta leccando via dal pollice.
Scosta i capelli dello stesso colore del mare di notte già spettinati, un po' più corti ai lati, con un gesto del capo, ignaro della sottoscritta che lo sta studiando. Ha un fisico asciutto, sicuramente allenato e braccia grandi quando tronchi d'albero.
Non voglio fargli una radiografia, certo, ma è proprio lì davanti a me, a fletterli e... impossibile ignorare la sua stazza. È poco più basso di River ma più muscoloso, indossa un maglioncino nero, un chiodo – sì, a gennaio – e un paio di jeans grigi, ai piedi dei semplici sneakers. Mi domando come possa non sentire freddo vestito in questo modo e quanto forte debba essere la sua presa.
Questa mattina ho dovuto indossare una magliettina, un maglione, il cappotto e una sciarpa per riuscire a sentirmi più al caldo e lui se ne va in giro come fosse metà ottobre. Non sono affari miei, lo so, è solo che non posso fare a meno di pensarci. Al suo posto sarei già un perfetto ghiacciolo alla menta, il mio gusto preferito.
Si porta la tazza alle labbra, né troppo sottili né troppo carnose, e si blocca.
Mmh.
Credo adesso sappia della mia esistenza.
Ancora con il taccuino al petto, arcuo un sopracciglio. «Sai, è buona educazione controllare che si sia soli prima di comportarsi in quel modo.»
Ecco, probabilmente non è affatto la maniera corretta di approcciare uno dei due meccanici che attendo, ma è più forte di me. E se ci fosse stato qualche cliente? Che figura ci avrebbe fatto l'officina? Non è affatto carino.
«E tu chi saresti, gattina?» domanda.
Arcuo entrambe le sopracciglia, ignorando le palpitazioni accelerate del cuore. «Gattina?»
«Preferisci "Tigrotta"? Per me è uguale» si avvicina, scrollando le spalle. Ha una stazza parecchio notevole, tant'è che sono costretta a compiere un passo indietro per poterlo guardare negli occhi, scuri anch'essi.
«Preferirei che ti presentassi, così da potermi introdurre in modo educato a mia volta. E di sicuro non sono la tua gattina» sibilo, tenendogli testa.
«Non ho mai detto che fossi mia, non ancora» mi provoca. «Sono Xander» mi porge la mano che per sua fortuna non ha ancora leccato. «Con chi ho il piacere di parlare?»
«Mi chiamo Aira Santana, sono la nuova segretaria» ricambio la stretta con decisione. Mai mostrarsi impauriti, questa è una lezione che ho imparato bene. Anche se mi tremano le gambe.
«Aira. Un nome particolare, non l'avevo mai sentito. Ha un significato?» chiede, interessato.
Compio un altro passo indietro, colpita dalla sua domanda. Perché mai dovrebbe interessargli il mio nome? Nemmeno mi conosce.
"Rilassati, Aira. Volevi che fosse cortese? Eccoti accontentata. E ora rispondi alla domanda, prima di apparire come un'idiota."
«Significa onorevole, rispettosa. È filippino, una variante dei nomi islamici Aaira e Ayra. Ma l'aira è anche una pianta» spiego, stringendo il taccuino.
Il movimento non sembra sfuggirgli, tant'è che si scosta di qualche centimetro e prende un sorso di caffè. «Aira... suona bene. Ti si addice sicuramente. Quindi sei filippina? Dico, per il nome.»
Nemmeno River si è interessato così tanto a me. A dirla tutta, non mi ha proprio chiesto niente. Sa che la sua ragazza mi ha intervistata ed è stato abbastanza per assumermi.
«Sono le nove e dieci, la giornata è appena iniziata e tu già infastidisci la povera donna? Ti prego.» Xander viene spintonato da un uomo, con una risata.
«Non stavo infastidendo nessuno, idiota» borbotta Xander. «Stavo solo facendo due chiacchiere con la nuova segretaria.»
«Ah, finalmente ci conosciamo. Sono Lou Caville, un altro meccanico, lavoro qui da poco anch'io» si presenta, porgendomi una mano.
Ricambio la stretta, un po' più rilassata davanti alla sua espressione gentile. «Aira Santana, piacere mio.»
«Be', è un vero piacere, Aira. Adesso prendo il caffè e poi filo in officina. River si starà già chiedendo che fine abbiamo fatto e non ho intenzione di far arrabbiare il capo dopo a malapena due mesi di lavoro.»
«Che lecchino» sbuffa Xander. «Te lo sei lavorato già abbastanza, non temere.»
Lou ride divertito e si passa una mano tra i capelli corti. «Mai quanto te, campione» muove su e giù le sopracciglia e si sposta verso la solita postazione.
Xander alza gli occhi al cielo ma sorride. Lou si affretta a riempirsi la tazza di caffè e ci riserva un saluto prima di sparire oltre la soglia della porta.
«Allora?»
Aggrotto la fronte, confusa. «Allora, cosa?»
Mi scruta con attenzione. «Non hai risposto alla mia domanda. Sei filippina?»
Capisco che se non risponderò rimarrà qui e ho ancora parecchio lavoro da sbrigare, per non parlare del fatto che ho bisogno di respirare. Sento l'urgenza di concludere la conversazione e inalare una boccata d'aria fresca.
«Sì, per metà. Mia madre è filippina e mio padre americano, ma si è trasferito a Manila parecchi anni fa e non se n'è più andato» asserisco.
Non sono solita rivelare informazioni così personali in giro, soprattutto a un ragazzo che ho a malapena conosciuto, ma inizio a sentirmi sottopressione sotto il suo sguardo attento. Devo uscire per qualche secondo da questo posto, inalare aria, e il solo modo in cui posso farlo è facendolo allontanare.
«Capisco. Be', buon lavoro, ci vediamo in giro» mi rivolge un cenno con la testa e si allontana.
Crollo sulla sedia girevole con un profondissimo sospiro e chiudo gli occhi. Ho le mani che tremano leggermente e una leggera patina di sudore dietro la nuca.
Pizzico due volte l'elastico nero che tengo al polso, facendolo schioccare sulla pelle, poi mi alzo e raggiungo l'uscita.
Il freddo artico di gennaio mi schiaffeggia in pieno viso, eppure, allo stesso tempo si rivela essere una dolce carezza confortante.
Respiro, nutrendomi dell'aria gelida, inalando un paio di volte i profumi che mi circondano. Da qualche parte qualcuno sta già cucinando, ma non m'importa che sia presto, riesco solo a focalizzarmi sul calore che l'immagine di qualcuno che cucina riesce a trasmettermi.
Abbasso gli occhi sull'elastico che mi accompagna da anni e lo tiro due volte.
È reale, sono a Detroit.
Tutto. Bene.
Oggi ito ay maaraw.*
Nota*: "c'è il sole" in filippino.

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𝐔𝐍𝐓𝐎𝐋𝐃 [𝐃𝐞𝐭𝐫𝐨𝐢𝐭 𝐃𝐢𝐥𝐨𝐠𝐲 𝐕𝐨𝐥.𝟐]
ChickLitAira Santana si trasferisce a Detroit per lavoro. Elastico nero stretto al polso da pizzicare due volte, inizia una nuova avventura alla riscoperta di se stessa. Perché Aira ha bisogno di respirare, di stare in piedi sui suoi stessi piedi, ha bisogn...