Q u a t t r o

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Una boccuccia tanto carina, non dovrebbe dire simili oscenità

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Una boccuccia tanto carina, non dovrebbe dire simili oscenità.

Quelle parole gli riecheggiavano ancora tra i pensieri, come una lama affilata che lentamente sprofondava nel centro del suo petto.
Faceva maledettamente male; non solo l'orgoglio, ma anche la sua povera caviglia malconcia.
Quel maledetto bastardo aveva danneggiato gravemente entrambe quelle parti di lui.

Sei caduto dalla bici baby, dovresti fare più attenzione.
Felix sospirò.

L'aria intorno a lui era satura dell'odore acre ed intenso del disinfettante, le sedie ben disposte nella sala d'attesa del pronto soccorso erano dure e scomode, e in sottofondo poteva udire in modo ben distinto i bip insistenti dei macchinari presenti negli ambulatori e il vociare lontano dei numerosi pazienti in attesa di essere visitati.

Lasciò che il suo capo – appoggiato contro il muro freddo e sporco – ciondolasse un po' di lato, rivolgendo un'occhiata stanca alle cifre luminose raffigurate nel quadrante acceso del suo orologio digitale.
Le sei del mattino.

Gli sembravano passati dei giorni da quando stava pedalando in modo spensierato sulla sua splendida bici, in compagnia dei propri migliori amici, ed invece si trattava solo di una misera manciata di ore.
Gli si formò un piccolo groppo in gola.

«Cucciolo» mormorò una voce gentile e familiare al suo fianco, attirando la sua attenzione con una dolce carezza lungo il braccio.
Felix si voltò con lentezza, incontrando lo sguardo materno e premuroso di sua zia.

«Adesso è il nostro turno, entro a parlare con il medico per farmi lasciare i medicinali, e poi ti porto a casa a riposare, va bene? - domandò la donna con sguardo preoccupato – Abbi ancora un pochino di pazienza» sussurrò sporgendosi per lasciargli un piccolo bacio sulla tempia, per poi sollevarsi e andare incontro all'infermiera che la attendeva fuori dall'ambulatorio.
Felix sospirò per l'ennesima volta, e si domandò se tutti quei sospiri l'avrebbero fatto invecchiare più velocemente.

Qualche ora prima – dopo esser stato messo a letto dal proprio migliore amico – si era ritrovato a non saper bene come comportarsi, soprattutto quando il dolore era diventato ingestibile e il pulsare della sua caviglia parecchio intenso e preoccupante.

Era stato quasi sul punto di utilizzare il numero che Lee Minho gli aveva lasciato in caso di emergenza quando – nel cuore della notte – aveva sentito dei passi lungo il corridoio.
Il ticchettio forte e penetrante di un paio di alti tacchi da donna.
Sua zia era tornata a casa, e Felix ne fu subito sollevato.

L'aveva chiamata con voce flebile – carica di paura e sofferenza – ma nel silenzio di quell'immensa villa, la donna era riuscita ad udirlo comunque.
Quando il suo giovane volto aveva fatto capolino oltre la porta della sua camera, l'australiano aveva dovuto fare i colti con l'orrore che nell'immediato si era dipinto negli occhi della donna, quando aveva posato lo sguardo sulla caviglia gonfia e ormai sulle tonalità del nero.

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