CAPITOLO 4 - Evan

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I miei mi smollano davanti alle porte scorrevoli delle partenze domestiche come se fossi un fottuto pacco da spedire.

Raccolgo le mie borse e mi accingo ad entrare.

Assurdo, penso soltanto.

Il volo da Tampa a Chicago dura solo due ore e mezza, eppure mi sembra di allontanarmi dalla terra come se mi avessero rinchiuso in una capsula e spedito da qualche parte nello spazio.

Non appena i miei piedi toccano il suolo dell'aeroporto Midway, mi guardo intorno e scuoto il capo. Non posso davvero essere in questo posto.

Qualcuno mi urta, va di fretta, e allora mi rendo conto che ci sono eccome, cazzo.

Vado a recupere i miei bagagli e imbocco l'uscita.

Intravedo lo zio Nick in lontananza, che accenna ad un sorriso non appena si accorge di me.

«Ehi, campione, come te la passi?»

Afferra uno dei due borsoni che mi trascino sulle spalle, liberandomi di un po' di peso.

«Di merda.» Gli rispondo, senza guardarlo in faccia. Non sono in vena di convenevoli.

«Starai così per un po', temo.» Mi avverte sincero, e la sua onestà mi colpisce.

Lo seguo in silenzio fino alla sua auto, una Ford Mustang GT arancione che mi fa infervorire.

«Che sventola!» Fischietto, riferendomi all'auto, è ovvio.

«Ti piace?» Chiede lui, mentre butta le borse nel cofano.

«Cazzo, sì!» Esclamo esaltato, mentre monto dentro.

«Allora vedi di trattarla bene.» Dà un colpetto sul cruscotto.

«Cosa?»

«Ho promesso ai tuoi che potevano contare sul mio aiuto e che saresti stato il benvenuto a casa mia, che però dista mezz'ora da Evanston. Siamo d'accordo che dormi al campus, ma per qualsiasi cosa, voglio che tu possa raggiungermi senza problemi.»

«Cazzo, zio, sei un grande!» Mi agito in modo frenetico sul sedile per l'entusiasmo.

«Aspetta...» Mi rimbecca subito. Poi mi lancia un'occhiata severa. «Niente cazzate, Evan, siamo intesi?»

Ricambio il suo sguardo e annuisco. «Niente cazzate, zio.» Gli prometto solenne.

Percorriamo il resto del tragitto in silenzio. Guardo fuori dal finestrino e osservo qualche ritaglio di spiaggia innevata comparire lungo la strada panoramica, e d'un tratto mi manca casa. All'improvviso tutto appare diverso di fronte ai miei occhi. Il lago Michigan che brilla sotto i raggi del sole, mentre ripenso alla spiaggia di St. Pete, dove andavo a fare il bagno con i miei amici, amici che ora non vedrò più.

L'acqua calda e cristallina, che adesso si sostituisce ad una più fredda e scura.

Lo zio Nick al mio fianco, e i miei genitori lontano.

Io, che ancora sono vivo, e Shannon, che non lo è più.

Le mie pupille iniziano a luccicare, proprio come i frammenti di ghiaccio che galleggiano sulla superficie del lago che ho davanti. Ma ho smesso di piangere, e quelle lacrime tornano a nascondersi dietro i miei occhi, l'unico posto dove ancora gli è permesso di restare.

«Sicuro di non volere aiuto?» Mi chiede lo zio per la terza volta, quando siamo di fronte al dormitorio e insisto per raggiungere la mia stanza da solo.

Alzo gli occhi al cielo. «Sicuro, zio. Sono in grado di badare a me stesso.» Ribadisco, piccato. Non voglio la sua commiserazione.

Lui si lascia sfuggire una rauca risata. «Oh, lo vedo che sei grande e grosso.» Conviene con un sorrisino marcato, riferendosi al mio fisico imponente da giocatore di hockey. Poi, però, si fa più serio. «Ma non significa che tu non possa chiedere aiuto, Evan, ricordatelo.»

SIRIO - FRAMMENTI DI LUCEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora